venerdì 18 ottobre 2013

Verità e Significatività

L’altro giorno sono rientrato in oratorio e ho incontrato il gruppo di ragazzi di prima superiore con i loro educatori che si erano trovati a fare una serata insieme per vedere un film, a metà tempo si erano fermati e stavano mangiando la pizza per poi riprenderne la visione, si sentiva però da alcuni che il film non era molto apprezzato. Gli educatori erano un po’ dispiaciuti di questo, ci avevano messo tanto impegno per organizzare la serata, avevano addirittura telefonato all’ufficio Caritas per un consiglio riguardo un bel film sul “servizio” che aiutasse a introdurre l’esperienza estiva che avrebbero passato con i ragazzi al Sermig. Una domanda nasce spontanea: da dove il rischio che la proposta non funzioni nonostante l’impegno, il consiglio della Caritas e l’indubbio valore del film in sé?
Ahimè qua scatta un cortocircuito in noi generazione adulta, o cresciuta in un altro “mondo”; non è sufficiente annunciare, presentare, far sperimentare… qualcosa di vero in sé perché tutto vada a posto e funzioni; forse in passato poteva essere così, ma ora non più. Non è sufficiente solo orientarsi su quanto è vero e importante in sé, questo bisogna farlo, ma anche chiedendosi se la verità, il messaggio che presento sia colto come significativo per coloro a cui lo porto, questa non è una cosa scontata né tantomeno automatica.
Mi preoccupa una pastorale orientata solo ad annunciare il vero senza chiedersi se questo venga sperimentato anche come bello oltre che in sé anche per me, una pastorale fatta di tante parole vere, ricca di Parola di Dio e di insegnamento della Chiesa ma che non riflette sul fatto che non bastano parole vere ma è richiesto ciò che tocca la vita di chi abbiamo davanti, una pastorale che propone esperienza forti ricche di valori ma che non si chiede come queste possano incontrare la vita dei destinatari perché non siano solo esperienze vere ma soprattutto esperienze che danno vita.
Credo allora che ci venga chiesto una grande conversione, è la conversione dell’entrare nella logica dell’incarnazione, di Dio che vive in sé l’esigenza di farsi uomo per essere realmente vicino e significativo per le persone e quindi solo così vero al cento per cento.
Come Gesù che aveva una parola non solo vera, ma anche significativa per ciascuno di coloro che incontrava, non proponeva un insegnamento generico e teorico ma che nasceva dall’incontro tra il mistero e la persona: alla samaritana che incontra al pozzo gli offre quell’acqua che veramente cercava e non una bella parabola di cui ora non aveva bisogno, con la gente che lo segue ormai stanca condivide-moltiplica il pane e non fa loro una bella omelia o una veglia di preghiera, ai dieci lebbrosi che gli si avvicinano dona la guarigione non dà loro da mangiare… e così potrei continuare. Ognuno ha bisogno di incontrare Gesù nel vangelo, ma attraverso una parola che sia bella per la sua vita ora, una parola interessante, vicina, sperimentata come propria.
Lo so non è semplice, ci chiede di conoscere bene i nostri ragazzi, di entrare in sintonia con loro, di lasciarsi potare e mettere in discussione, di accettare che come educatori abbiamo ancora tanto da imparare, che la Parola non ci appartiene e non possiamo usarla come ci pare e che non è come una formula magica che basta pronunciare perché funzioni. Come fare allora? Non voglio essere frainteso in una conclusione che può sembrare scontata o sentimentale, ma occorre voler bene ai ragazzi, volere il loro bene e non voler bene al mio successo, al mio progetto, alla mia ricetta di verità, a ciò che piace a me, a ciò che per me conta. Occorre voler loro bene, accoglierli in tutto quello di cui sono portatori anche se a me non va bene, dar loro sempre e nuove opportunità, fidarsi anche quando tutto dice il contrario… non ho abbastanza parole o esempi per spiegarlo, ma credo che ogni educatore che ha a cuore i propri ragazzi abbia pienamente capito cosa intendo.

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