lunedì 21 ottobre 2013

Gruppi ma non solo

Da alcuni anni abbiamo stabilizzato la pastorale sulla formazione di gruppi animati da educatori senza accorgerci che abbiamo relegato il vangelo a recinti sacri, a luoghi sicuri, a condizioni talora impossibili. Senza accorgerci lo abbiamo fatto diventare un premio per i buoni piuttosto che una speranza per tutti, una offerta a chi lo merita piuttosto che un dono gratuito, una consolazione per chi ne sa parlare, piuttosto che una luce per chi cerca senza saperlo. Abbiamo offerto il vangelo solo a chi ci avrebbe offerto la garanzia di venire dalla nostra parte, entro i nostri schemi, le nostre mura e non tra le braccia di un Padre.
A un gruppo di ragazzi del muretto, a giovani di una squadra di calcio, a ragazzi che vanno in discoteca, ad adolescenti che si cimentano in avventure impossibili, a giovani che fanno le ore piccole a mettere assieme una band musicale sembra uno spreco offrire il vangelo, certo a livello di principio nessuno lo direbbe, ma allora perché poi nessuno lo fa? Abbiamo già deciso noi che per loro il vangelo ha niente da dire, perché non riusciamo a immaginarne la forza dirompente, perché non viene collocato entro i nostri modelli culturali o comportamentali. Invece non è una ideologia, nè una parola che si consuma, ma una vita che sconvolge.

Il gruppo, pur restando condizione necessaria per educare i giovani alla fede, non è più sufficiente per fare incontrare il Signore della vita ai molti. Sono cambiati i giovani e gli adolescenti, sono distribuite su più fonti le appartenenze, si è approfondita la sfera della soggettività, si è ampliato il campo delle proposte della società al mondo giovanile, si è diffuso capillarmente il modello comunicativo “isolante e autosufficiente”; per comunicare coi miei amici non mi occorre andare al gruppo, mi basta lanciare dal mio loculo mail, chat e sms, iscrivermi a facebook. Ne è risultato che il gruppo si è fatto eccessivamente selettivo per poter essere l’unico strumento formativo.
Il rischio è di perdere la tensione formativa che si era acquisita e sostenuta con il gruppo e optare per l’improvvisazione o la massa, o l’occasione o la cultura anziché la fede, accontentarsi della socializzazione religiosa anziché impegnarsi per l’educazione alla fede, offrire informazione al posto della formazione, accontentarsi del presenzialismo invece che puntare sulla continuità. Si fa presto a scrollarsi di dosso un cammino serio, settimanale, per una serie di incontri improvvisati sulla piazza o in discoteca che forse colpiscono, ma che sicuramente non sono capaci di sostenere una conversione.
Molti adolescenti e giovani infatti non riescono a passare dai nostri gruppi formativi e questo non perché non hanno domande religiose o voglia di rispondere generosamente, ma perché provengono da altre impostazioni di vita, hanno un altro modo di sentire, di vivere, di riflettere.

Occorre dimostrare che è possibile contribuire alla formazione delle giovani generazioni con nuovi strumenti, che il vangelo non può mai essere imbrigliato in nessun mezzo, che abbiamo tantissime energie nel nostro mondo giovanile che aspettano solo di essere stimolate a esplodere.

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