Da
alcuni anni abbiamo stabilizzato la pastorale sulla formazione di gruppi
animati da educatori senza accorgerci che abbiamo relegato il vangelo a recinti
sacri, a luoghi sicuri, a condizioni talora impossibili. Senza accorgerci lo
abbiamo fatto diventare un premio per i buoni piuttosto che una speranza per
tutti, una offerta a chi lo merita piuttosto che un dono gratuito, una
consolazione per chi ne sa parlare, piuttosto che una luce per chi cerca senza
saperlo. Abbiamo offerto il vangelo solo a chi ci avrebbe offerto la garanzia
di venire dalla nostra parte, entro i nostri schemi, le nostre mura e non tra
le braccia di un Padre.
A
un gruppo di ragazzi del muretto, a giovani di una squadra di calcio, a ragazzi
che vanno in discoteca, ad adolescenti che si cimentano in avventure
impossibili, a giovani che fanno le ore piccole a mettere assieme una band
musicale sembra uno spreco offrire il vangelo, certo a livello di principio
nessuno lo direbbe, ma allora perché poi nessuno lo fa? Abbiamo già deciso noi
che per loro il vangelo ha niente da dire, perché non riusciamo a immaginarne
la forza dirompente, perché non viene collocato entro i nostri modelli
culturali o comportamentali. Invece non è una ideologia, nè una parola che si
consuma, ma una vita che sconvolge.
Il
gruppo, pur restando condizione necessaria per educare i giovani alla fede, non
è più sufficiente per fare incontrare il Signore della vita ai molti. Sono
cambiati i giovani e gli adolescenti, sono distribuite su più fonti le
appartenenze, si è approfondita la sfera della soggettività, si è ampliato il
campo delle proposte della società al mondo giovanile, si è diffuso
capillarmente il modello comunicativo “isolante e autosufficiente”; per
comunicare coi miei amici non mi occorre andare al gruppo, mi basta lanciare
dal mio loculo mail, chat e sms, iscrivermi a facebook. Ne è risultato che il
gruppo si è fatto eccessivamente selettivo per poter essere l’unico strumento
formativo.
Il
rischio è di perdere la tensione formativa che si era acquisita e sostenuta con
il gruppo e optare per l’improvvisazione o la massa, o l’occasione o la cultura
anziché la fede, accontentarsi della socializzazione religiosa anziché
impegnarsi per l’educazione alla fede, offrire informazione al posto della
formazione, accontentarsi del presenzialismo invece che puntare sulla
continuità. Si fa presto a scrollarsi di dosso un cammino serio, settimanale,
per una serie di incontri improvvisati sulla piazza o in discoteca che forse
colpiscono, ma che sicuramente non sono capaci di sostenere una conversione.
Molti
adolescenti e giovani infatti non riescono a passare dai nostri gruppi
formativi e questo non perché non hanno domande religiose o voglia di
rispondere generosamente, ma perché provengono da altre impostazioni di vita,
hanno un altro modo di sentire, di vivere, di riflettere.
Occorre
dimostrare che è possibile contribuire alla formazione delle giovani generazioni
con nuovi strumenti, che il vangelo non può mai essere imbrigliato in nessun
mezzo, che abbiamo tantissime energie nel nostro mondo giovanile che aspettano
solo di essere stimolate a esplodere.
Nessun commento:
Posta un commento