venerdì 18 ottobre 2013

MICHEL QUOIST: Parlami d’amore - Introduzione

Avevo vent’anni... oppure venticinque, o più, o meno... Non importa! Volevo vivere ma non sapevo per che cosa vivere, né come vivere. Cercavo. Cercavo fino all'angoscia, sbattendo contro i miraggi dei miei deserti.

Avevo fame.
Il mio corpo aveva fame. La mia carne viva, come milioni di bocche folli, cercava di divorare fin le più piccole briciole di piacere raccolte ai margini della mia strada.
Il mio spirito aveva fame. Per nutrirlo, raccoglievo alla rinfusa tutte le idee che vagavano nei libri, nelle immagini, nelle parole sulle bocche degli uomini, ma la mia testa era un alveare ronzante che non dava miele.
Talvolta, un po' più in là in quella povera testa, dove — lo presentivo — finisce la terra e comincia un altro universo, qualche raggio di sole illuminava la mia notte, ma subito le nuvole venivano a cancellare la luce.
Mi restava il sogno. Mi portava molto lontano...
Ma sognare la propria vita è ancora vivere? E subito si annunciava la tempesta. Scoppiava. Mi stracciava le vesti del sogno e mi lasciava nudo, disteso sul mio letto, come un folle amante che non ha nessuna amata.
Avevo sete.
Soprattutto il mio cuore aveva sete, giù, in fondo, ben al di là della carne e del sangue, in quel retroterra misterioso del quale io misuravo l'infinità, inquieto e tremante, misurando l'infinità della mia sete.
Oh, la sete ardente che incendia l'essere intero come un fuoco che vaga in un abisso senza fine!

Eppure vivevo. Ma come continuare a vivere se non si sa per che cosa si vive e come nutrire la propria vita?
La mia vita la trascinavo come un pacco ingombrante che dei burloni maligni si passano dall'uno all'altro perché non sanno che farsene ed è troppo pesante da portare.
I miei genitori mi avevano detto: noi abbiamo fatto il nostro dovere. Ti abbiamo "dato" la vita come l'hanno data a noi. Generosi e bene intenzionati, mi avevano anche dato una "morale", vecchie istruzioni per l'uso, avvisi semicancellati che io decifravo a stento. Ma mi avevano insegnato bene a leggere?
Le istruzioni dicevano: bisogna fare questo e non fare quest'altro. Io domandavo perché. I miei genitori rispondevano: «Perché è bene», oppure, «perché è male». Ma io non sapevo perché era bene e perché era male. Neanche i miei genitori lo sapevano. Quando, testardo, li interrogavo, rispondevano: «Perché è così».
L'importante è vivere, dicevano, visto che oggi nulla è proibito: è lecito calpestare le aiuole o raccogliere a nostro piacimento tutti i fiori del giardino: «Fa' tutto ciò che hai voglia di fare, e sarai felice!»
Così ho fatto.
Ho percorso molti giardini, spesso li ho calpestati e ho raccolto i fiori del piacere. Ma non ho trovato affatto vera felicità. Qualche volta l'ho sfiorata in certi momenti fuggitivi. E, come bocconi che si scioglievano nella mia bocca troppo avida, quelle magre felicità sparivano senza intaccare la mia fame.

E voi, amici, provate ancora in cuor vostro il tormento della fame e della sete? O, troppo presto rassegnati, avete raggiunto la moltitudine di figli prodighi che, allontanatesi dal Padre, e poveri della loro ricca eredità, si soddisfano ora con il cibo rubato ai porci della città?
... E anche se, figli fedeli, felici privilegiati che da lungo tempo stanno nella Casa, voi conoscete il gusto del pane e il sapore del vino, non avete forse, ogni giorno, fame e sete? Adesso lo so, l'uomo è così fatto — ed è la sua grandezza ma anche il suo tormento — che la sua fame e la sua sete, quali che siano, non sono mai dome. Nel momento in cui crede di averle domate, esse sfuggono e rinascono ancora più vive. Stanno davanti a lui, ed egli si logora nell'inseguirle senza mai raggiungerle.
L'uomo è fame e sete inappagate. Muore quando muoiono i suoi desideri.

Avevo fame.
Avevo sete, ma non sapevo di quale cibo e di quale bevanda. Nulla è più crudele che aver fame senza conoscere il pane. Nulla è più crudele che aver sete senza conoscere il vino. E pensavo: «Chi mi libererà da questa tortura?»
Un primo amico mi disse: «Non è guardando te stesso che potrai trovare la tua strada. Esci da te stesso! Se tu rimani in porto, non conoscerai nulla del mare infinito».
Ma non avevo bussola e non sapevo navigare.

Un secondo amico mi disse: «Tu troverai la tua strada nel "Libro". Qui sono riposte le parole di Dio che guidano gli uomini e li nutrono nel viaggio».
Qualche volta avevo aperto "il Libro". Ne rispettavo le parole perché mi sembravano belle, ma ogni volta queste parole misteriose mi sfuggivano, chicchi dalla scorza troppo dura per offrirmi la loro sostanza.

Un terzo amico mi disse: «Hai bisogno di qualcuno che ti spieghi le parole. Qualcuno che le abbia mangiate e che, nutrito della loro sostanza, possa renderti in parole di oggi la vita che esse hanno».
Va' a trovare il Saggio! Tutti raccontano che parla come il Libro e che le sue parole sono semente nel cuore di quelli che lo ascoltano. Se la terra è fertile porterà frutto centuplicato.

Decisi di andarci...

Nessun commento:

Posta un commento