Avevo vent’anni... oppure venticinque, o
più, o meno... Non importa! Volevo vivere ma non sapevo per che cosa vivere, né
come vivere. Cercavo. Cercavo fino all'angoscia, sbattendo contro i miraggi dei
miei deserti.
Avevo fame.
Il mio corpo aveva fame. La mia carne
viva, come milioni di bocche folli, cercava di divorare fin le più piccole
briciole di piacere raccolte ai margini della mia strada.
Il mio spirito aveva fame. Per nutrirlo,
raccoglievo alla rinfusa tutte le idee che vagavano nei libri, nelle immagini,
nelle parole sulle bocche degli uomini, ma la mia testa era un alveare ronzante
che non dava miele.
Talvolta, un po' più in là in quella
povera testa, dove — lo presentivo — finisce la terra e comincia un altro
universo, qualche raggio di sole illuminava la mia notte, ma subito le nuvole
venivano a cancellare la luce.
Ma sognare la propria vita è ancora
vivere? E subito si annunciava la tempesta. Scoppiava. Mi stracciava le vesti
del sogno e mi lasciava nudo, disteso sul mio letto, come un folle amante che
non ha nessuna amata.
Avevo sete.
Soprattutto il mio cuore aveva sete,
giù, in fondo, ben al di là della carne e del sangue, in quel retroterra
misterioso del quale io misuravo l'infinità, inquieto e tremante, misurando
l'infinità della mia sete.
Oh, la sete ardente che incendia
l'essere intero come un fuoco che vaga in un abisso senza fine!
Eppure vivevo. Ma come continuare a
vivere se non si sa per che cosa si vive e come nutrire la propria vita?
La mia vita la trascinavo come un pacco
ingombrante che dei burloni maligni si passano dall'uno all'altro perché non
sanno che farsene ed è troppo pesante da portare.
I miei genitori mi avevano detto: noi
abbiamo fatto il nostro dovere. Ti abbiamo "dato" la vita come
l'hanno data a noi. Generosi e bene intenzionati, mi avevano anche dato una
"morale", vecchie istruzioni per l'uso, avvisi semicancellati che io
decifravo a stento. Ma mi avevano insegnato bene a leggere?
Le istruzioni dicevano: bisogna fare questo
e non fare quest'altro. Io domandavo perché. I miei genitori rispondevano:
«Perché è bene», oppure, «perché è male». Ma io non sapevo perché era bene e
perché era male. Neanche i miei genitori lo sapevano. Quando, testardo, li
interrogavo, rispondevano: «Perché è così».
L'importante è vivere, dicevano, visto
che oggi nulla è proibito: è lecito calpestare le aiuole o raccogliere a nostro
piacimento tutti i fiori del giardino: «Fa' tutto ciò che hai voglia di fare, e
sarai felice!»
Così ho fatto.
…
Ho percorso molti giardini, spesso li ho
calpestati e ho raccolto i fiori del piacere. Ma non ho trovato affatto vera
felicità. Qualche volta l'ho sfiorata in certi momenti fuggitivi. E, come
bocconi che si scioglievano nella mia bocca troppo avida, quelle magre felicità
sparivano senza intaccare la mia fame.
E voi, amici, provate ancora in cuor
vostro il tormento della fame e della sete? O, troppo presto rassegnati, avete
raggiunto la moltitudine di figli prodighi che, allontanatesi dal Padre, e
poveri della loro ricca eredità, si soddisfano ora con il cibo rubato ai porci
della città?
... E anche se, figli fedeli, felici
privilegiati che da lungo tempo stanno nella Casa, voi conoscete il gusto del
pane e il sapore del vino, non avete forse, ogni giorno, fame e sete? Adesso lo
so, l'uomo è così fatto — ed è la sua grandezza ma anche il suo tormento — che
la sua fame e la sua sete, quali che siano, non sono mai dome. Nel momento in
cui crede di averle domate, esse sfuggono e rinascono ancora più vive. Stanno
davanti a lui, ed egli si logora nell'inseguirle senza mai raggiungerle.
L'uomo è fame e sete inappagate. Muore
quando muoiono i suoi desideri.
Avevo fame.
Avevo sete, ma non sapevo di quale cibo
e di quale bevanda. Nulla è più crudele che aver fame senza conoscere il pane.
Nulla è più crudele che aver sete senza conoscere il vino. E pensavo: «Chi mi
libererà da questa tortura?»
Un primo amico mi disse: «Non è
guardando te stesso che potrai trovare la tua strada. Esci da te stesso! Se tu
rimani in porto, non conoscerai nulla del mare infinito».
Ma non avevo bussola e non sapevo
navigare.
Un secondo amico mi disse: «Tu troverai
la tua strada nel "Libro". Qui sono riposte le parole di Dio che
guidano gli uomini e li nutrono nel viaggio».
Qualche volta avevo aperto "il
Libro". Ne rispettavo le parole perché mi sembravano belle, ma ogni volta
queste parole misteriose mi sfuggivano, chicchi dalla scorza troppo dura per
offrirmi la loro sostanza.
Un terzo amico mi disse: «Hai bisogno di
qualcuno che ti spieghi le parole. Qualcuno che le abbia mangiate e che,
nutrito della loro sostanza, possa renderti in parole di oggi la vita che esse
hanno».
Va' a trovare il Saggio! Tutti
raccontano che parla come il Libro e che le sue parole sono semente nel cuore
di quelli che lo ascoltano. Se la terra è fertile porterà frutto centuplicato.
Decisi di andarci...
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