martedì 28 marzo 2017

Educare non è un lavoro ma un modo di vivere

«L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi» (don Bosco).
Fare l’educatore non è un lavoro, diventa un vero e proprio modo di vivere che ha la conseguenza non di produrre dei beni ma di costruire persone. Per questo gli vengono chieste non solo capacità per saper realizzare un buon incontro e delle belle attività, ma la comprensione di una identità precisa che lo porta a crescere nel saper “essere per” chi gli è affidato.

venerdì 17 marzo 2017

La sfida educativa

Mi capita spesso come prete impegnato in particolare nella pastorale giovanile, di incontrare persone che mi parlano di “emergenza” educativa, io preferisco parlare di SFIDA; forse la differenza sta tra chi rimpiange i tempi del passato e chi invece tutto sommato è felice o meglio ancora speranzoso nel guardare avanti. Credo che “emergenza” dica una situazione che vorremmo vedere risolta in un certo modo e che invece sta andando in una direzioni opposta fuori dal nostro controllo, mentre “sfida”  ci invita maggiormente a cogliere i segni di novità presenti guardando ad essi come contributo e provocazione. Da questo dovrebbe sorgere il desiderio come Chiesa di metterci in ascolto di quelli che il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes ci indica come segni dei tempi: “Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico”. (GS 4)

lunedì 6 marzo 2017

Mio figlio non vuole più andare a Messa

Ho perso ormai il conto delle volte in cui, genitori o educatori, mi hanno posto la questione riferita a quanti, ormai non più bambini, entrando nel periodo dell’adolescenza, scelgono di allentare o abbandonare la frequenza della Messa.
Come mi piace fare di solito, credendolo un approccio corretto, m’interrogo innanzitutto io come educatore adulto, chiedendomi prima per me che senso ha la partecipazione alla Messa, che sapore dà al mio cammino da cristiano. Risulta un aspetto tutt’altro che secondario, se nella teoria siamo tutti d’accordo, quando scendiamo a un livello esistenziale la cosa rischia di esserci meno chiara. I nostri ragazzi sono molto svegli nel cogliere anche i non detti della nostra vita, i nostri appelli alla partecipazione alla Messa cadranno quindi nel vuoto se vien percepito in noi una debolezza di motivazione e quindi un riferimento che diventa moralistico, orientato cioè all’obbedienza a una regola che ormai è svuotata personalmente dal valore che voleva preservare.