mercoledì 9 ottobre 2013

Qual è la fonte della nostra gioia di educatori?

Mi è capitato tante volte di chiedermi quale sia la fonte della gioia, della felicità, di quanti svolgono un ruolo educativo, in particolare di chi segue gruppi di ragazzi e di giovani; una domanda che non sta per aria ma che si nutre del mio vissuto e dell’incontro con tanti educatori nell’aiutarli a gioire del proprio servizio all’interno di un’opera che non sempre è semplice.
Tante volte il confronto su questo si sposta velocemente alla situazione concreta che si vive, cioè guardando alle belle esperienze, al successo con i ragazzi, agli incontri popolati, al servire i piccoli, a che tutto vada come avevamo previsto, e così via. Non dico che queste cose non ci rendano felici, ma mi chiedo se sia questa la fonte della gioia di chi educa.
Mi è capitato troppe volte di incontrare tanti che cercandola solo in queste cose, identificando la gioia con il successo, hanno avuto bisogno più di una volta di essere sorretti e consolati nel loro agire e nel senso che cercavano di dare al loro servire, infatti puntando solo su queste cose ci si accorge presto quanto siano alterne a seconda del tempo, degli umori, delle generazioni, del tipo di gruppo… e questo non può che portare a una gioia ondulante, intermittente, a volte momentanea, limitata al momento del solo “successo” o di quando le cose funzionano; ma quando qualcosa non va come doveva, dentro di noi qualcosa ci rimette in discussione e credo ci chieda di cercare altrove quella stabile gioia che giustamente cerchiamo e che ci parla di Dio.
Credo che come per ogni cristiano, così per un educatore ancor di più, la gioia vera non viene dal successo dell’impegno, ma nello stare faccia a faccia con Dio, sperimentare quella comunione intima descritta in Esodo: “Così il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla con un altro” (Es 33,11), solo così riusciremo a risplendere di lui e come lui “Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti” (Sal 33,6), vivere una esperienza così intima che ci coinvolge totalmente “Gustate e vedete quanto è buono il Signore; beato l'uomo che in lui si rifugia” (Sal 33,9). Una minaccia a tutto questo sono, a volte, le troppe cose che facciamo nella misura in cui ci distraggono da Dio e da ciò che conta veramente, con il rischio di operare come se dovessimo essere noi a salvare il mondo e i
nostri giovani con la quantità delle nostre opere, mentre per fortuna siamo già stati salvati da un Altro.
Occorre tornare a splendere come Gesù, risplendere come lui, come in uno specchio; metterci davanti a lui nella Parola, nell’Eucaristia, nella Confessione… non si tratta di calare queste cose ma di aumentarle per riscoprire il volto di Gesù in noi e noi sul suo volto. In questo specchiarci in lui sono chiamato a identificarmi con Dio, essere Cristo, cioè la persona che Dio ha voluto in­carnare venendo al mondo. Io sono il Cristo, il Cristo è la mia immagine, io mi specchio in lui e lui diventa me.
Qua io ho trovato la fonte stabile della mia gioia, della mia felicità, aldilà delle alternanze delle iniziative, delle mia voglia, del mio carattere, la solida certezza di non essere da solo nella mia opera.

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