Intorno al termine “educare” girano tanti termini che
cercano di indirizzarne l’opera: tecnica, modo, metodo, lavoro, regole,
professione, ingegno, arte… A mio parere al centro e prima di tutto viene la
domanda “chi è l’adolescente a cui ci rivolgiamo?”, ossia chiarire quale sia
l’impostazione antropologica, l’immagine di persona, che ci guida nella nostra
opera. Non si può separare l’azione educativa dal chi si educa, rischieremmo di
creare una scienza astratta senza radici.
Se per me l’essere umano è costituito di sola materia senza
dimensione spirituale, sarà normale che l’impegno a servizio dei giovani
diventerà pressappoco quello dell’addestratore di animali, ci sono degli
istinti da incasellare e delle abitudine da innescare legate al premio/punizione,
non ci sarà inoltre problema a variare l’impostazione dell’opera educativa
secondo le voghe del momento. Mi sembra che questo rischio sia tutt’altro che
teorico, in passato spesso si sono cavalcate le più svariate mode facendo
nascere diversi tentativi più o meno improvvisati, concentrati molto su una
determinata ideologia che non entrava in contatto e non si lasciava convertire
dalla concretezza del giovane concreto che era chiamato a servire, lui rimaneva
un accessorio.