Perché i giovani lasciano la
Chiesa? Onestamente non è una domanda che ritengo così centrale anzi penso sia una
questione deviante nel senso che ci porta fuori strada; personalmente la
sostituirei invece con una esclamazione di stupore: “che bello, ci sono ancora
giovani che scelgono Dio e la Chiesa!”, mi sembra una prospettiva migliore per
affrontare la questione e non solo, come potrebbe ritenere qualcuno, un
semplice gioco di parole.
A chi viene da me lamentandosi dell’abbandono che segue alla cresima,
del fatto che la frequenza cala di oltre la metà, dico la mia e lo invito a
contattare chiunque si intenda di psicologia dello sviluppo, così potrà essere
informato che la presa di distanza in ambito adolescenziale rispetto a quanto
richiama al periodo dell’infanzia è un fenomeno normalissimo e i nostri cammini
parrocchiali non posso semplicemente bypassare questa istanza legata a un
periodo concreto della fase del cammino di maturità; inoltre se tanti prendono
il volo, e dovrebbe essere nostro compito chiederci come offrire un riaggancio,
rimane il fatto che capita anche che tanti restino nei nostri ambienti
parrocchiali, per me questo è qualcosa di cui ringraziare e anche una energia
forte per le nostre comunità su cui puntare.
Proprio per questo spesso tanti sono i tentativi di offrire cammini di
fede agli adolescenti, questi sforzi non sempre sono ricompensati nei fatti e
spesso corrono il rischio di lasciare un po’ il tempo che trovano, quindi si
decide come reazione o di abbandonare o di concentrarsi ancora di più sul mondo
giovanile; arrivati a questo punto sarebbe il caso che ci rendessimo conto come
comunità che finché gli unici destinatari della pastorale giovanile rimarranno
i giovani ci sarà sempre qualcosa che non funziona, è la Chiesa che viene
chiamata in causa nel tutto. Non serve una pastorale rivolta ai giovani che non
sia anche capace di fare delle nostre comunità delle realtà interessanti, belle,
dal volto giovane, che sanno accogliere, perdonare, essere missionarie, povere
e capaci di parlare un linguaggio moderno. Non sto dicendo che sia necessario
inventare cose nuove, sono dell’opinione che è ora di finirla di fare sempre
cose nuove in più, risulta a mio parere necessario rinnovare quel che c’è per
avvicinarsi al modo di fare di Gesù, il quale: non impone ma propone, non esige
ma offre, non trattiene ma ha il coraggio anche di lasciare andar via, non da
per scontato un vivere la fede in modo perfetto ma accoglie anche quella
vissuta in modo parziale aiutandolo a camminare verso la pienezza. Troppe volte
invece abbandoniamo la nave perché saper guardare con simpatia e avere a cuore
i giovani non è semplice; quante volte capita di farlo con un po’ di arroganza
o disagio, quante volte il tutto può diventare anche irritante nel cercar di
cogliere in modo sereno le loro provocazioni nel chiedere.
È da tempo che nella Chiesa si è cominciato a parlare di nuova
evangelizzazione, questa a volte è obbligata a diventare una necessaria pre-evangelizzazione,
che cerca di attirare l’attenzione su Dio perché prima di portare il Vangelo serve
il preparare le persone a riceverlo. A volte si tratterà semplicemente di farlo
desiderare, ma sempre più spesso richiede anche di ricucire le ferite che
vengono da false immagini che nella propria esperienza ci si è fatti
dell’ambito religioso.
Nessun commento:
Posta un commento