giovedì 14 novembre 2013

È la comunità intera chiamata in ballo

Perché i giovani lasciano la Chiesa? Onestamente non è una domanda che ritengo così centrale anzi penso sia una questione deviante nel senso che ci porta fuori strada; personalmente la sostituirei invece con una esclamazione di stupore: “che bello, ci sono ancora giovani che scelgono Dio e la Chiesa!”, mi sembra una prospettiva migliore per affrontare la questione e non solo, come potrebbe ritenere qualcuno, un semplice gioco di parole.
A chi viene da me lamentandosi dell’abbandono che segue alla cresima, del fatto che la frequenza cala di oltre la metà, dico la mia e lo invito a contattare chiunque si intenda di psicologia dello sviluppo, così potrà essere informato che la presa di distanza in ambito adolescenziale rispetto a quanto richiama al periodo dell’infanzia è un fenomeno normalissimo e i nostri cammini parrocchiali non posso semplicemente bypassare questa istanza legata a un periodo concreto della fase del cammino di maturità; inoltre se tanti prendono il volo, e dovrebbe essere nostro compito chiederci come offrire un riaggancio, rimane il fatto che capita anche che tanti restino nei nostri ambienti parrocchiali, per me questo è qualcosa di cui ringraziare e anche una energia forte per le nostre comunità su cui puntare.

Proprio per questo spesso tanti sono i tentativi di offrire cammini di fede agli adolescenti, questi sforzi non sempre sono ricompensati nei fatti e spesso corrono il rischio di lasciare un po’ il tempo che trovano, quindi si decide come reazione o di abbandonare o di concentrarsi ancora di più sul mondo giovanile; arrivati a questo punto sarebbe il caso che ci rendessimo conto come comunità che finché gli unici destinatari della pastorale giovanile rimarranno i giovani ci sarà sempre qualcosa che non funziona, è la Chiesa che viene chiamata in causa nel tutto. Non serve una pastorale rivolta ai giovani che non sia anche capace di fare delle nostre comunità delle realtà interessanti, belle, dal volto giovane, che sanno accogliere, perdonare, essere missionarie, povere e capaci di parlare un linguaggio moderno. Non sto dicendo che sia necessario inventare cose nuove, sono dell’opinione che è ora di finirla di fare sempre cose nuove in più, risulta a mio parere necessario rinnovare quel che c’è per avvicinarsi al modo di fare di Gesù, il quale: non impone ma propone, non esige ma offre, non trattiene ma ha il coraggio anche di lasciare andar via, non da per scontato un vivere la fede in modo perfetto ma accoglie anche quella vissuta in modo parziale aiutandolo a camminare verso la pienezza. Troppe volte invece abbandoniamo la nave perché saper guardare con simpatia e avere a cuore i giovani non è semplice; quante volte capita di farlo con un po’ di arroganza o disagio, quante volte il tutto può diventare anche irritante nel cercar di cogliere in modo sereno le loro provocazioni nel chiedere.

È da tempo che nella Chiesa si è cominciato a parlare di nuova evangelizzazione, questa a volte è obbligata a diventare una necessaria pre-evangelizzazione, che cerca di attirare l’attenzione su Dio perché prima di portare il Vangelo serve il preparare le persone a riceverlo. A volte si tratterà semplicemente di farlo desiderare, ma sempre più spesso richiede anche di ricucire le ferite che vengono da false immagini che nella propria esperienza ci si è fatti dell’ambito religioso.

Nessun commento:

Posta un commento