Rinnovare la celebrazione della salvezza
Mi capita spesso per via del mio ministero di passare in modo
consecutivo da oratorio a messa o viceversa, chiaramente sono luoghi diversi e
con funzioni diverse, ma ugualmente mi viene da porre una riflessione riguardo
all’eccessiva distanza che rischia di crearsi tra la celebrazione della
salvezza durante la liturgia e la vita vera.
Chiedo di portare pazienza nei miei confronti, non è mia intenzione
ironizzare sulla messa che rimane un incontro privilegiato con il Signore fatto
di riti e linguaggi che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che abbiamo anche
il compito di custodire, celebrare e tramandare; ugualmente però pongo il
problema che ormai, almeno per il mondo giovanile, è sotto gli occhi di tutti e
diventa ancora più chiaro quando se ne parla in modo sereno e libero con i
ragazzi.
Ciò che mi colpisce è la differenza che c’è tra dentro e fuori: il
clima, la luce, i colori, l’ambiente, i linguaggi… tutte cose che capisco
richiamino il trascendente, ma credo debbano rimanere incollate anche al
vivente; capisco che sia il luogo dove lodare Dio, ma so anche che per tanti
sono l’unico momento per incontrare in modo concreto la comunità cristiana e ci
vuole quindi una grande attenzione perché siano esperienze di riferimento nel
sostenere la vita cristiana di comunità; se la celebrazione oltre che lode a
Dio è anche espressione della comunità che si riunisce visibilmente intorno
alla mensa credo sia difficile aiutare tutti a farlo iniziando con un canto
meditativo da ascoltare e finendo con un canto in latino che pur rispettando i
canoni del messale non credo rispetti i canoni della vita della gente che
celebra la messa.
La messa rimane la messa, ma rischia di perdere parte della sua
capacità di mediare la salvezza nella vita della gente; lo so e me lo dicono in
tanti, occorre riabituare, rieducare, insistere sui linguaggi, i gesti, i riti,
i significati… capisco… ma è sempre la solita logica che sono gli altri a dover
fare, gli altri a dover cambiare, la vita della gente a doversi adeguare alle
nostre richieste… spero si sia capito che la prospettiva emersa in questa mia
breve riflessione porta invece il desiderio opposto, ossia anche per la messa
l’andare incontro alla vita concreta della gente e alle gioie e problemi che la
caratterizzano quotidianamente.
Organizzazione istituzionale
La nostra diocesi vede una divisione di uffici pastorali secondo una
pastorale d’ambiente: scuola, salute, famiglia, lavoro, catechesi, giovani…; il
fine è quello che aiutare le comunità a entrare in dialogo e mettersi a
servizio dei vari luoghi di vita. In tale direzione il Convegno Ecclesiale di
Verona fece emergere una rilettura con diverso approccio individuando cinque
diversi ambiti: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione,
cittadinanza; questa nuova impostazione è stata ripresa anche dai vescovi
italiani all’interno di “Educare alla vita buona del Vangelo”.
Mi chiedo se non sia forse giunto il momento di rivedere anche l’impostazione
dei vari uffici pastorali per contribuire a un cambio di impostazione della
pastorale delle singole comunità, probabilmente non strettamente come indicato
sopra, ma con un tentativo di essere maggiormente incidenti in una impostazione
missionaria e di presenza nel mondo e nella vita delle persone.
Ci tengo a sottolineare anche alcuni tentativi eroici, non sempre
andati a buon fine, di persone che ci hanno indicato anche altri e nuovi luoghi
educativi, luoghi che attendono progetti per educare: il muretto, la discoteca,
la curva nord, internet…
Due esempi
Faccio solo due casi indicativi senza presunzione di completezza,
vogliono essere terra terra il più possibile, vogliono indicare, semplificando
molto, alcuni aspetti.
In occasione della giornata del ringraziamento i vescovi italiano hanno
scritto un messaggio contenente una parte rivolta in particolare ai giovani e
pubblicato in prima pagina sulla “Libertà”. Sono parole belle, giuste e
ortodosse. Ma crediamo veramente che la necessità per il mondo giovanile sia
che i vescovi incoraggino i giovani agricoltori, posto che i giovani impegnati
in agricoltura sono pochi, non mi sembra che l’argomento sia così centrale. Mi
viene da chiedermi quali giovani, quale vita, quali problematiche avevano in
mente i vescovi quando hanno scritto questo; penso un mondo un po’ diverso da
quello in che vedo io a Novellara in oratorio e nel dialogo con tanti giovani.
Non voglio mancare di rispetto a nessuno, è il solito modo di fare; c’è una occasione,
un evento, una ricorrenza che arriva e allora ci diciamo ma perché non facciamo
qualcosa per i giovani, o scriviamo qualcosa per le famiglie… è evidente che il
punto di partenza non è la vita di colui a cui parlo, ma la ricorrenza che devo
celebrare . qualcuno mi dirà che non c’è niente di male, sono d’accordo, ma
questo non vuol dire che ci siamo qualcosa di buono. Non c’è niente di male a
rivolgersi ai giovani, ma visto che non possiamo farlo sempre, che le occasioni
non sono infinite forse è il caso di partire da ciò che è centrale e non
periferico alla loro vita. mi fermo qua perché sento che sto entrando in
risonanza da polemica.
Nella nostra diocesi esiste da pochi anni l’ufficio per la pastorale
universitaria con un prete come responsabile, mi sembra una cosa buona, del
resto tante diocesi ce l’hanno, ma ogni diocesi è a sé e la storia accademica
della nostra provincia e molto recente. Comunque mi chiedo quando è stato
istituito questo nuovo ufficio pastorale e incaricato un responsabile, quale
sia stato il desiderio di incontro tra l’investimento che ci mettevamo e la
domanda di vita propria degli studenti universitari, quale desiderio o bisogno
desideravamo intercettare. Mi sembra si sia detto indirettamente: visto che c’è
l’università, ci deve essere un ufficio pastorale che se ne occupa, lo facciamo
e ci incarichiamo qualcuno, a cui poi chiediamo di fare anche da parroco e di
impegnarlo come assistente di AC, vivendo inoltre in comunità di preti non
nella parrocchia non nell’università ma in un altro posto. Sarò io che non ci
arrivo, ma se la priorità era la vita dei giovani universitari e del dialogo
con il luogo e le persone che vi lavorano, penso ci siano stati una sfilza di
altri aspetti e bisogni messi davanti a questi, ovviamente posso sbagliare, ma
se fosse così è un modo di essere Chiesa che mi da un po’ da fare, con una
mentalità che ritengo più diffusa di quanto si pensi.
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