martedì 19 novembre 2013

Giovani e fede - Prof. Alessandro Castegnaro

Alcuni spunti interessanti ripresi da un convegno organizzato dalla pastorale giovanile diocesana.
Occorre ritrovare l’equilibrio ed essere consapevoli che la realtà della situazione giovanile in Italia non è quella rappresentata dai raduni di massa tipo GMG, questo non vuol dire che sia come descritto da una visione pessimista che si sta diffondendo anche in ambito ecclesiale riguardo una generazione ritenuta incredula; rimanendo consapevoli della situazione, occorre però recuperare quello sguardo ottimista che dovrebbe essere proprio di ogni cristiano che sa di non essere sole ad affrontare le situazioni contingenti, che sa di essere chiamato a vivere anche di speranza… occorre saper puntare sul potenziale che ancora esiste nei giovani.
Se da un lato assistiamo ad un allontanamento dalla Chiesa, dall’altro regge il radicamento alla fede, certo tutto da verificare, forse imperfetto qualche volta deviante, ma rimane; c’è qualcosa su cui lavorare, questo è da tenere presente per evitare un approccio troppo spesso moralistico che vede nei giovani dei contenitori vuoti da dover riempiere, mentre la prospettiva giusta è quella dell’educazione, del tirare fuori, del fare emergere.
Lo stacco che segue alla Cresima è una cosa “normale” da mettere in conto visto come viene organizzata la catechesi e come funziona lo sviluppo maturativo dei ragazzi nel passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza, anche chi rimane è chiamato a porsi nuove domande, a vivere la propria ricerca fatta anche di crisi; il vero problema non è l’abbandono e il mettere in dubbio quanto fino ad ora gli era stato insegnato, ma la nostra incapacità ad intercettarne i motivi rispettarne i tempi e sorvegliarne i possibili ritorni.
Credo interessante un termine a me nuovo emerse nella discussione, quello di “fede in standby” che richiama a un momento concreto della fase evolutiva dove i giovani sono impegnati ad occuparsi di altre cose così che la pratica della fede con le sue scelte viene spostata in avanti; fa emergere la sindrome “da lavatrice”, di ragazzi centrifugati in tante cose e così distratti da quello che conta veramente che si allontanato da ciò che è centrale, si tratta di attuare un lento cammino di ricentramento che chiede sia alle famiglie che anche alle comunità di aiutare i giovani a non perdersi in una moltitudine di opportunità e attività.
Occorre uscire da una logica eccessivamente matematica, la dimensione di fede non può essere precisamente misurata, non può essere un fenomeno di cui si dice che c’è o non c’è, nasce una terra di mezzo del credere che si manifesta come indeterminatezza: è una specie di possibilismo, capace di mantenere aperte le porte. Spesso si tratta di un bisogno di personalizzazione del credere, infatti c’è difficoltà oggi ad aderire ad un sistema di credenza così che solo chi è in grado di personalizzare l’esperienza di fede la vive a pieno.
Il credere oggi è fatto più di inquietudini che di certezze e di tranquillità, da qui ci viene chiesto di vedere le persone che la pensano diversamente da noi non come nemici da combattere ma come persone in cammino in un processo che è dinamico, all'interno del quale ci possono essere scelte diverse nell'identificarsi con la fede della Chiesa. E’ necessario lasciare le porte aperte. I giovani ragionano in termini di fasi, di tappe di percorso che può durare per l’intera vita. È necessario rimanere aperti a una dimensione di appartenenza che prevede vari livelli d'ingresso dove al centro c'è il soggetto con il suo cammino a volte lungo e che non sempre permette un'unica definizione del credente di oggi. Se lo si volesse definire con un termine che rimanda alle pari opportunità, si dovrebbe dire che i giovani non sono increduli, ma diversamente credenti e spiritualmente sensibili.

Nessun commento:

Posta un commento