Nella mia esperienza di prete mi capta spesso di incontrare educatori
che vengono da me sperando di trovare una qualche formula magica su come
riuscire a parlare oggi di Dio ai giovani; chiaramente li deludo in quanto non
ho una risposta, tanto più che non credo ne esista una unica: i tempi cambiano,
le persone pure, per non dire i luoghi… insomma non possiamo arrenderci e
dobbiamo provarci, ma ogni risposta sarà provvisoria .
Visto che i “come” parlare di Dio sono tanti, un buon punto di partenza
che potrebbe trovarci uniti insieme nella ricerca indipendentemente dai luoghi
e tempi che abitiamo, è chiederci il “perché” parlare di Dio, una questione
tanto scontata quanto lascia a bocca aperta e senza parole quando viene fatta;
prima di affrontare il “perché” credo sia importante anche dirsi “cosa è” per
noi parlare di Dio, cioè svelare il pensiero di riferimento (pedagogia) che ci
guida nelle nostre proposte, questo anche per evitare il disorientamento nei
più giovani che rischiano di trovarsi destinatari di una cerca confusione
pastorale in questo.
Questa prima è importante altrimenti cadiamo nell’errore della scienza
moderna che ci riempie la testa di “come” succedono le cose, non preoccupandosi
più di pensare al “perché” succedono; ecco perché il cammino da fare in ambito
di annuncio, non è solo quello di migliorare delle tecniche, ma riscoprire il
fine che deve guidarci.
Una cosa è certa, non è possibile parlare di Dio come un qualcosa che
si attacca dall’esterno alla vita, a volte si dicono cose giuste ma che
rimangono fuori, non basta dire che Dio è buono, che perdona, che è vicino… queste
cose mi dicono poco se non le sento dentro a quello che vivo. Troppe volte
parto con il presupposto che nei ragazzi Dio non c’è o è lontano e quindi glielo
devo portare, quando poi mi accorgo stupendomene che già Dio è presente nella
loro vita nonostante accada spesso di essere anche in un atteggiamento di
rifiuto nei confronti della salvezza.
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