Cosa si potrebbe provare a fare
1.
Quando si progetta e si decide sul cosa fare e
cosa scegliere non guardare solo a casa propria, alla proprie logiche e
necessità pastorali, ma partire andando incontro ai luoghi della vita ordinaria
raccogliendone le sfide: ad esempio il problema dei giovani non nasce dal
fatto, come dicono molti, che non vengono più a messa o in oratorio (questa è
una prospettiva sviante), la questione giovanile nasce perché la loro felicità,
il loro cammino di maturità è messo in pericolo, perché sono ragazzi tristi che
perdono la speranza. Voglio dire che si parte dalla gente e dai problemi della
gente e non dai problemi nostri troppe volte arroccati nel difende o riproporre
modelli che ormai sono lontani. A parlare con i preti spesso si sente che i
problemi sono: non si viene più a messa, non ci si sposa in chiesa, i funerali
civili sono in aumento, nessuno si confessa, i genitori non portano i figli al
catechismo, … ma questi sono i falsi problemi in quanto sono conseguenze dei
problemi veri che sono altri, come Chiesa dobbiamo riformare le nostre strutture
perché siano capaci di mettere al centro i problemi veri non quelli falsi: la
questione non è che le famiglie non si sposano più in chiesa, è che le famiglie
sono incasinate come non mai, ma non si risolve il problema facendo il corso
obbligatorio prematrimoniale. Una analisi del genere andrebbe applicata negli
esempi concreti di tutti i settori della vita di fede.
2.
Sapendo dunque dopo il cammino fatto sopra quali
sono i nodi centrali da cui attingere occorre individuare e dare dei nomi ai
luoghi veri della vita dei giovani nella consapevolezza che lì è la terra da
impastare e su cui soffiare lo Spirito come in una nuova Creazione; questo
chiede di evitare una cosa che mi da molto fastidio, ossia sentire la gente che
grossolanamente affronta le questioni scagliandosi contro mode e situazioni che
diventano filo conduttore stabile della vita dei giovani, a parte che la storia
insegna che a volte ciò contro cui si spendevano paroloni è poi diventato
patrimonio di tutti, inoltre si rischia di passare facilmente al giudizio
personale, è ora di piantarla di impostare la pastorale come contrapposizione a
qualcosa o qualcuno; altra cosa che mi fa torcere le budella è il continuare
troppo spesso a sentir parlare solo in teoria delle cose concrete: famiglia,
lavoro, soldi, amore, sesso… sono fatti concreti persone concrete fatiche e
gioie concrete; ci si spendono spesso bei e giusti proclami, ma non si possono
lasciare fuori i problemi pesanti e i dubbi che li attraversano, facendo finta
di avere facile risposte immediate a tutto.
3.
La dimensione formativa fortunatamente è da
tempo che viene messa in campo e ricercata, occorre vigilare che l’impostazione
non sia di chi si vuole preparare o vuole preparare altri a una specie di
“difesa” dagli inganni del mondo concentrando le rimanenti energie per rendere
l’interno delle nostre comunità come luoghi sicuri e interessanti in
contrapposizione a quanto sta fuori; possa capire questa tentazione, ma la
responsabilità del cristiano dovrebbe essere proprio quella di rendere sicuro e
interessante il mondo tutto perché è dono di Dio a noi affidato.
4.
Lascio per ultimo un punto che faccio io per
prima fatica a scrivere e concepire perché tanti preti ne fuggono come il
diavolo l’acqua santa; occorre far sì che i giovani migliori, più formati e
impegnati siano indirizzati non nelle strutture nostre ma lasciati nel mondo,
nei luoghi della vita quotidiana perché servano lì come il lievito per la
pasta, lasciati lì con un preciso compito di animazione, o rianimazione a
seconda di come siamo messi. Il loro compito non è quello di infiltrarsi per
modificare da dentro le cose volgendole perché diventino come le nostre
strutture ecclesiali, ma mettersi a servizio di questi luoghi perché mantengano
la loro specificità ma crescano perché da luoghi di disagio diventino occasioni
di agio, spazio di ascolto, solidarietà e accoglienza. Quindi i nostri “luoghi”
dovrebbero diventare capaci di essere di riferimento e appartenenza per quanti
poi sono inviati ad animare quelli che sono gli spazi della vita quotidiana.
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