domenica 24 novembre 2013

Ripensare i luoghi ecclesiali - parte 2

Cosa si potrebbe provare a fare
1.       Quando si progetta e si decide sul cosa fare e cosa scegliere non guardare solo a casa propria, alla proprie logiche e necessità pastorali, ma partire andando incontro ai luoghi della vita ordinaria raccogliendone le sfide: ad esempio il problema dei giovani non nasce dal fatto, come dicono molti, che non vengono più a messa o in oratorio (questa è una prospettiva sviante), la questione giovanile nasce perché la loro felicità, il loro cammino di maturità è messo in pericolo, perché sono ragazzi tristi che perdono la speranza. Voglio dire che si parte dalla gente e dai problemi della gente e non dai problemi nostri troppe volte arroccati nel difende o riproporre modelli che ormai sono lontani. A parlare con i preti spesso si sente che i problemi sono: non si viene più a messa, non ci si sposa in chiesa, i funerali civili sono in aumento, nessuno si confessa, i genitori non portano i figli al catechismo, … ma questi sono i falsi problemi in quanto sono conseguenze dei problemi veri che sono altri, come Chiesa dobbiamo riformare le nostre strutture perché siano capaci di mettere al centro i problemi veri non quelli falsi: la questione non è che le famiglie non si sposano più in chiesa, è che le famiglie sono incasinate come non mai, ma non si risolve il problema facendo il corso obbligatorio prematrimoniale. Una analisi del genere andrebbe applicata negli esempi concreti di tutti i settori della vita di fede.
2.       Sapendo dunque dopo il cammino fatto sopra quali sono i nodi centrali da cui attingere occorre individuare e dare dei nomi ai luoghi veri della vita dei giovani nella consapevolezza che lì è la terra da impastare e su cui soffiare lo Spirito come in una nuova Creazione; questo chiede di evitare una cosa che mi da molto fastidio, ossia sentire la gente che grossolanamente affronta le questioni scagliandosi contro mode e situazioni che diventano filo conduttore stabile della vita dei giovani, a parte che la storia insegna che a volte ciò contro cui si spendevano paroloni è poi diventato patrimonio di tutti, inoltre si rischia di passare facilmente al giudizio personale, è ora di piantarla di impostare la pastorale come contrapposizione a qualcosa o qualcuno; altra cosa che mi fa torcere le budella è il continuare troppo spesso a sentir parlare solo in teoria delle cose concrete: famiglia, lavoro, soldi, amore, sesso… sono fatti concreti persone concrete fatiche e gioie concrete; ci si spendono spesso bei e giusti proclami, ma non si possono lasciare fuori i problemi pesanti e i dubbi che li attraversano, facendo finta di avere facile risposte immediate a tutto.
3.       La dimensione formativa fortunatamente è da tempo che viene messa in campo e ricercata, occorre vigilare che l’impostazione non sia di chi si vuole preparare o vuole preparare altri a una specie di “difesa” dagli inganni del mondo concentrando le rimanenti energie per rendere l’interno delle nostre comunità come luoghi sicuri e interessanti in contrapposizione a quanto sta fuori; possa capire questa tentazione, ma la responsabilità del cristiano dovrebbe essere proprio quella di rendere sicuro e interessante il mondo tutto perché è dono di Dio a noi affidato.
4.       Lascio per ultimo un punto che faccio io per prima fatica a scrivere e concepire perché tanti preti ne fuggono come il diavolo l’acqua santa; occorre far sì che i giovani migliori, più formati e impegnati siano indirizzati non nelle strutture nostre ma lasciati nel mondo, nei luoghi della vita quotidiana perché servano lì come il lievito per la pasta, lasciati lì con un preciso compito di animazione, o rianimazione a seconda di come siamo messi. Il loro compito non è quello di infiltrarsi per modificare da dentro le cose volgendole perché diventino come le nostre strutture ecclesiali, ma mettersi a servizio di questi luoghi perché mantengano la loro specificità ma crescano perché da luoghi di disagio diventino occasioni di agio, spazio di ascolto, solidarietà e accoglienza. Quindi i nostri “luoghi” dovrebbero diventare capaci di essere di riferimento e appartenenza per quanti poi sono inviati ad animare quelli che sono gli spazi della vita quotidiana.

Nessun commento:

Posta un commento