Poi il Signore Dio
disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia
simile». (Gn 2,18)
In questi giorni mi trovo a vivere una settimana comunitaria
residenziale con un gruppo di seconda superiore; si vive insieme, ognuno va a
scuola, si rinuncia a qualcuna delle proprie attività extra e si condivide un
po’ tutto: tempo, cibo, bagni, docce, camere, aule studio, giochi, preghiera,
ecc.
È un’esperienza molto bella, e anche i ragazzi tirano fuori,
insieme alle fatiche, la loro parte migliore; di tutto questo vorrei però ora
affrontare solo un aspetto, quello dello studio.
Alcuni di loro, soprattutto maschi, hanno abitualmente una
gestione dello studio spostata verso sera, mi dicono “fino alle 17 io non
riesco a rendere”, confrontandomi in passato con i genitori si evidenzia come
il rapporto con lo studio sia uno dei tasti dolenti nella gestione del tempo
degli adolescenti.
Sento tanti che giustificano la cosa dicendo che a loro “sa
fatica” studiare, credo in parte possa essere vero come del resto sono faticose
anche tante cose nella vita degli adulti, ci sono sicuramente anche altri
motivi e vorrei fermarmi su uno poco considerato e che emerge visibilmente
durante l’esperienza che sto vivendo con loro.
Durante questa settimana passata insieme è stato normale
sentire frasi del tipo: “quando fai geometria chiamami”, “aspetto lui per
studiane matematica”, “mi dai una mano”, “studiamo insieme”, “vieni a tenermi
compagnia”, “preferisco studiare qua con voi che chiacchierate piuttosto che di
la da solo”, ecc; forse non ci rediamo conto di quanto ci si possa sentire soli
e a disagio davanti a un libro o a un quaderno dopo che per un’intera mattinata
ci siamo stati insieme ad altri. La solitudine è uno dei tasti dolenti nella
vita dei nostri ragazzi, lo è anche per gli adulti anche se il cammino di
maturità dovrebbe dare gli strumenti per saperne portare il peso; per noi
educatori di adolescenti è anche questa una sfida da affrontare, senza dare per
scontato, come lo può essere per noi, che sia già un traguardo raggiunto da
tutti.
Parlando con un ragazzo gli chiedevo se durante la settimana
uscisse, mi ha risposto “cosa vuol dire”, gli ho spiegato che io alla sua età
avevo una compagnia di amici di varie età del mio quartiere e ci trovavamo a
giocare insieme, chiarita la cosa mi disse di no, che le uniche uscite erano
per lo sport, solo il sabato sera o la domenica poteva funzionare in modo
diverso. Con un altro chiedevo quando si vedeva con la propria ragazza partendo
dal presupposto personale che io lo facevo sempre quando potevo, invece
incontrai la stessa espressione del ragazzo di prima e dovetti spiegarmi meglio
per poi comprendere che la frequenza durante la settimana era saltuaria se non
ridotta a un momento, per essere concentrata recuperata o al sabato o alla
domenica.
Non voglio entrare nel merito delle scelte, delle priorità
da dare, ecc.; è certo comunque che i giovani di oggi fanno tante cose in più
rispetto ai loro coetanei del passato, nonostante questo sono molto più soli rispetto
a loro. Non sentirsi così è uno dei principali ingredienti per consentire alla
crescita di compiere il suo cammino, avviarsi e procedere con successo,
trovarsi in casa in compagnia di libri silenziosi può allora risultare non
molto semplice; a volte per evitare questa ci si rifugia nell’ascolto di musica
che diventa compagna dello studio, oppure nella ricerca di relazione virtuale
attraverso i vari social network e se proprio non si trova altro nella
televisione. Questo porta spesso noi educatori a scagliarci in solenni crociate
contro questi mezzi di distrazione dello studio, come del resto sono,
rischiando però di non affrontare la questione centrale; occorre ricordarsi i
motivi che hanno guidato i nostri ragazzi a corazzare la propria vita di tutti
questi oggetti a nostro giudizio disturbanti, comprenderne le ragioni basilari
è anche accogliere il fatto che sono diversi da noi e da come noi eravamo alla
loro età, occorre cercare di non condannare semplicemente il loro modo di fare
altrimenti si sentirebbero ancora più soli e avremmo così fatto più danni che
altro.
Ho visto concretamente come la presenza dell’altro possa essere
di aiuto a studiare, un genitore raramente è messo nelle condizioni di potersi
far carico di questo compito, si possono però trovare degli alleati. I numerosi
universitari che seguono i ragazzi nei compiti pomeridiani o in materie
specifiche, non necessariamente devono fare da insegnanti, a volte funziona
anche la semplice solidarietà di una figura che non mi lascia da solo davanti
al libro e che mi incoraggia; altro aiuto può venire dall’aggregarsi con altri
studenti con i quali condividere questa opera di costruzione della propria
identità futura, potrebbero essere della stessa classe ma non necessariamente,
per alcuni anche il solo stare con altri giovani in fase di studio (vedi in
biblioteca) può aiutare in questo compito.
Questo intervento vuole concludersi con il desiderio di aiutare
ad aprire gli occhi sulle tante interferenze della crescita che posso
influenzare il cammino scolastico, e mettere al centro il fatto che non sempre
un brutto voto corrisponde alla sola poca voglia di studiare o al non volersi
applicare di più secondo quello che è un “lite motive” comune tra molti docenti
che sintetizzano in questo modo il loro parere durante il ricevimento dei
genitori “è bravo ma non si applica”.
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