mercoledì 2 aprile 2014

Studiare sì, ma non da solo!

Poi il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile». (Gn 2,18)
In questi giorni mi trovo a vivere una settimana comunitaria residenziale con un gruppo di seconda superiore; si vive insieme, ognuno va a scuola, si rinuncia a qualcuna delle proprie attività extra e si condivide un po’ tutto: tempo, cibo, bagni, docce, camere, aule studio, giochi, preghiera, ecc.
È un’esperienza molto bella, e anche i ragazzi tirano fuori, insieme alle fatiche, la loro parte migliore; di tutto questo vorrei però ora affrontare solo un aspetto, quello dello studio.
Alcuni di loro, soprattutto maschi, hanno abitualmente una gestione dello studio spostata verso sera, mi dicono “fino alle 17 io non riesco a rendere”, confrontandomi in passato con i genitori si evidenzia come il rapporto con lo studio sia uno dei tasti dolenti nella gestione del tempo degli adolescenti.
Sento tanti che giustificano la cosa dicendo che a loro “sa fatica” studiare, credo in parte possa essere vero come del resto sono faticose anche tante cose nella vita degli adulti, ci sono sicuramente anche altri motivi e vorrei fermarmi su uno poco considerato e che emerge visibilmente durante l’esperienza che sto vivendo con loro.
Durante questa settimana passata insieme è stato normale sentire frasi del tipo: “quando fai geometria chiamami”, “aspetto lui per studiane matematica”, “mi dai una mano”, “studiamo insieme”, “vieni a tenermi compagnia”, “preferisco studiare qua con voi che chiacchierate piuttosto che di la da solo”, ecc; forse non ci rediamo conto di quanto ci si possa sentire soli e a disagio davanti a un libro o a un quaderno dopo che per un’intera mattinata ci siamo stati insieme ad altri. La solitudine è uno dei tasti dolenti nella vita dei nostri ragazzi, lo è anche per gli adulti anche se il cammino di maturità dovrebbe dare gli strumenti per saperne portare il peso; per noi educatori di adolescenti è anche questa una sfida da affrontare, senza dare per scontato, come lo può essere per noi, che sia già un traguardo raggiunto da tutti.
Parlando con un ragazzo gli chiedevo se durante la settimana uscisse, mi ha risposto “cosa vuol dire”, gli ho spiegato che io alla sua età avevo una compagnia di amici di varie età del mio quartiere e ci trovavamo a giocare insieme, chiarita la cosa mi disse di no, che le uniche uscite erano per lo sport, solo il sabato sera o la domenica poteva funzionare in modo diverso. Con un altro chiedevo quando si vedeva con la propria ragazza partendo dal presupposto personale che io lo facevo sempre quando potevo, invece incontrai la stessa espressione del ragazzo di prima e dovetti spiegarmi meglio per poi comprendere che la frequenza durante la settimana era saltuaria se non ridotta a un momento, per essere concentrata recuperata o al sabato o alla domenica.
Non voglio entrare nel merito delle scelte, delle priorità da dare, ecc.; è certo comunque che i giovani di oggi fanno tante cose in più rispetto ai loro coetanei del passato, nonostante questo sono molto più soli rispetto a loro. Non sentirsi così è uno dei principali ingredienti per consentire alla crescita di compiere il suo cammino, avviarsi e procedere con successo, trovarsi in casa in compagnia di libri silenziosi può allora risultare non molto semplice; a volte per evitare questa ci si rifugia nell’ascolto di musica che diventa compagna dello studio, oppure nella ricerca di relazione virtuale attraverso i vari social network e se proprio non si trova altro nella televisione. Questo porta spesso noi educatori a scagliarci in solenni crociate contro questi mezzi di distrazione dello studio, come del resto sono, rischiando però di non affrontare la questione centrale; occorre ricordarsi i motivi che hanno guidato i nostri ragazzi a corazzare la propria vita di tutti questi oggetti a nostro giudizio disturbanti, comprenderne le ragioni basilari è anche accogliere il fatto che sono diversi da noi e da come noi eravamo alla loro età, occorre cercare di non condannare semplicemente il loro modo di fare altrimenti si sentirebbero ancora più soli e avremmo così fatto più danni che altro.
Ho visto concretamente come la presenza dell’altro possa essere di aiuto a studiare, un genitore raramente è messo nelle condizioni di potersi far carico di questo compito, si possono però trovare degli alleati. I numerosi universitari che seguono i ragazzi nei compiti pomeridiani o in materie specifiche, non necessariamente devono fare da insegnanti, a volte funziona anche la semplice solidarietà di una figura che non mi lascia da solo davanti al libro e che mi incoraggia; altro aiuto può venire dall’aggregarsi con altri studenti con i quali condividere questa opera di costruzione della propria identità futura, potrebbero essere della stessa classe ma non necessariamente, per alcuni anche il solo stare con altri giovani in fase di studio (vedi in biblioteca) può aiutare in questo compito.
Questo intervento vuole concludersi con il desiderio di aiutare ad aprire gli occhi sulle tante interferenze della crescita che posso influenzare il cammino scolastico, e mettere al centro il fatto che non sempre un brutto voto corrisponde alla sola poca voglia di studiare o al non volersi applicare di più secondo quello che è un “lite motive” comune tra molti docenti che sintetizzano in questo modo il loro parere durante il ricevimento dei genitori “è bravo ma non si applica”.

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