Mi capita spesso di confrontarmi con educatori su questi temi, da una
parte il forte desiderio di parlare di Dio, dall’altro una non disponibilità o
incapacità ad accogliere questo annuncio; credo sia una questione da spostare
dall’ambito teorico a quello pratico, dal principio alla necessità. Una cosa
certa è che questi momenti sono entrambi necessari, occorre anche che assumiamo
la consapevole che il cammino a servizio dei ragazzi non è solo nelle nostre
mani e non è neanche determinabile solo da noi, si può preparare il calendario
degli incontri, ma non si può fissare il calendario del cammino di fede,
tantomeno fissare il calendario di Dio.
Occorre comunque dire che di solito l’educazione di per sé dovrebbe
venire prima dell’evangelizzazione, allo stesso tempo essa non può dirsi finita
nel momento in cui comincia l’annuncio, ogni cammino di proposta di fede è
sempre anche educazione, infine essa continua anche al termine del cammino di
“iniziazione” e l’invio alla missione.
Chi è impegnato nel cammino di fede accanto ai giovani è chiamato a
muoversi in contemporanea sia sull’annuncio che sull’educazione, è chiamato ad
aiutare il ragazzo perché recuperi il senso bello della vita e nel contempo a
cercare modalità per dire la fede in modo che si venga coinvolti nel mistero di
amore di Dio. Alcune cose sono richieste all’educazione, altre richiedono di
essere sperimentate oppure di essere raccontate o testimoniate attraverso un
racconto di vita.
«Ciò che era fin da principio,
ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò
che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il
Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di
ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il
Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo
annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra
comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo,
perché la nostra gioia sia perfetta». (1Gv 1)
Il parlare in modo chiaro di Gesù è una esigenza che sentiamo forte,
essa però si deve integrare con il bene che voglio ai giovani, posso impostare
il confronto snocciolando fior fiore di belle esperienze con la gioia che si
portano dietro, posso però anche decidere di aspettare il momento giusto per
quella persona, aspettare che cresca lui e la domanda di vita che si porta
dentro; è sempre l’amore dell’altro che mi guida, ma è impossibile in anticipo
definire quale delle due scelte concretizzerà questo amore. Chi educa è limitato
dal concreto delle scelte, a stare tra la parola e il silenzio, tra l’annuncio
esplicito e la vicinanza quotidiana di vita che faccia sorgere quelle domande a
cui l’annuncio diventa preziosa e gradita risposta.
Così l’annuncio di Gesù diventa il modo nel quale posso vivere il mio
amore per i giovani, non mi importa se succede che loro rifiutino il suo nome,
non importa se l’unica reazione che sperimento come risposta al mio darmi da
fare risulta il distacco, impegnati come sono in tante altre cose; non importa
e continuo ad esserci per non lasciarli lì dove sono, per provocarli, punzecchiarli,
perché io lo so che solo con Gesù possono trovare la vera speranza che stanno
cercando per dar senso alla loro vita. Far scoprire che per vivere certe cose
occorre lasciarne delle altre, questo non si qualifica tanto come una rinuncia,
ma la scoperta di come esprimere in modo pieno la propria vita: se il chicco di
grano, caduto a terra, non muore, non potrà mai diventare spiga.
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