giovedì 26 dicembre 2013

Prima educazione e poi annuncio o prima annuncio e poi educazione?

Mi capita spesso di confrontarmi con educatori su questi temi, da una parte il forte desiderio di parlare di Dio, dall’altro una non disponibilità o incapacità ad accogliere questo annuncio; credo sia una questione da spostare dall’ambito teorico a quello pratico, dal principio alla necessità. Una cosa certa è che questi momenti sono entrambi necessari, occorre anche che assumiamo la consapevole che il cammino a servizio dei ragazzi non è solo nelle nostre mani e non è neanche determinabile solo da noi, si può preparare il calendario degli incontri, ma non si può fissare il calendario del cammino di fede, tantomeno fissare il calendario di Dio.
Occorre comunque dire che di solito l’educazione di per sé dovrebbe venire prima dell’evangelizzazione, allo stesso tempo essa non può dirsi finita nel momento in cui comincia l’annuncio, ogni cammino di proposta di fede è sempre anche educazione, infine essa continua anche al termine del cammino di “iniziazione” e l’invio alla missione.
Come fare allora? Qui emerge la capacità dell’educatore di farsi carico del cammino e delle esigenze di chi concretamente si trova davanti, guidato dall’amore per i giovani scopre una necessaria elasticità e spirito di adattamento come via per rendere unico il cammino fatto insieme.
Chi è impegnato nel cammino di fede accanto ai giovani è chiamato a muoversi in contemporanea sia sull’annuncio che sull’educazione, è chiamato ad aiutare il ragazzo perché recuperi il senso bello della vita e nel contempo a cercare modalità per dire la fede in modo che si venga coinvolti nel mistero di amore di Dio. Alcune cose sono richieste all’educazione, altre richiedono di essere sperimentate oppure di essere raccontate o testimoniate attraverso un racconto di vita.
«Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta». (1Gv 1)
Il parlare in modo chiaro di Gesù è una esigenza che sentiamo forte, essa però si deve integrare con il bene che voglio ai giovani, posso impostare il confronto snocciolando fior fiore di belle esperienze con la gioia che si portano dietro, posso però anche decidere di aspettare il momento giusto per quella persona, aspettare che cresca lui e la domanda di vita che si porta dentro; è sempre l’amore dell’altro che mi guida, ma è impossibile in anticipo definire quale delle due scelte concretizzerà questo amore. Chi educa è limitato dal concreto delle scelte, a stare tra la parola e il silenzio, tra l’annuncio esplicito e la vicinanza quotidiana di vita che faccia sorgere quelle domande a cui l’annuncio diventa preziosa e gradita risposta.
Così l’annuncio di Gesù diventa il modo nel quale posso vivere il mio amore per i giovani, non mi importa se succede che loro rifiutino il suo nome, non importa se l’unica reazione che sperimento come risposta al mio darmi da fare risulta il distacco, impegnati come sono in tante altre cose; non importa e continuo ad esserci per non lasciarli lì dove sono, per provocarli, punzecchiarli, perché io lo so che solo con Gesù possono trovare la vera speranza che stanno cercando per dar senso alla loro vita. Far scoprire che per vivere certe cose occorre lasciarne delle altre, questo non si qualifica tanto come una rinuncia, ma la scoperta di come esprimere in modo pieno la propria vita: se il chicco di grano, caduto a terra, non muore, non potrà mai diventare spiga.

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