È inverno, fa buio molto presto, fuori negli spazi della
parrocchia anche per via del freddo tutto tace prima del solito. Si prepara una
di quelle serate in cui è forte il desiderio di starsene sul divano, coperti,
davanti al caminetto acceso, accanto a una persona alla quale si vuole bene o
in mancanza di lei con il gatto in braccio.
Qui in parrocchia nulla di tutto questo, fuori si sentono
dei passi, in una delle stanze si accende la luce, bagliori di una macchina che
arriva di corsa illuminano il mio ufficio; le voci mi sembra di riconoscerle,
esco e mi unisco anch’io al gruppo, sono sei o sette, poi se ne aggiunge
qualcun altro in ritardo per via del lavoro o della famiglia, sono tutti
giovani (diciamo anche quelli che non lo sono più, avendo ormai figli grandi).
Sono tutti educatori in parrocchia, qualcuno comincia a
ricordare qualche evento particolare di un campeggio o del Grest, ma presto si
passa all’ordine del giorno che prevede di pensare alla preparazione del Natale
per i propri ragazzi e al campo invernale da fare insieme. Non sono lì per
pensare ai regali e alla settimana bianca, non che nessuno ci vada, ma perché
le cose non si possono improvvisare, se a volte lo fanno con la propria vita,
non credono sia giusto con quella preziosa dei ragazzi loro affidati.
Fino a l’anno scorso non si conoscevano ancora, poi alcune
parrocchie sono state messe insieme chiedendo loro di camminare unite, diventa
l’occasione perché si conoscano anche fra di loro, ne sentono per sé il bisogno
tanto quanto lo sanno per i propri ragazzi. Non è sempre scontato andare
d’accordo solo perché lo si deve fare, vogliono capire come essere ora, cosa
cambia, come procedere; mi sembrano persone con i piedi per terra, sanno che le
difficoltà non mancano avendole sperimentate sulla propria pelle, eppure sono
ancora qui e al momento sembra non desiderino essere da nessun’altra parte.
Non è così solo qui, un po’ dappertutto è possibile
osservare e vivere situazione simili, diverse forse per attività e forme
concrete vissute, ma uguali dal punto di visto di quello che muove: il
desiderio di servire le giovani generazioni. Occupandosi della loro crescita
sia spirituale che umana.
Questo permette a tanti giovani di sentirsi accolti, cercati
e amati in una età nella quale di tutte questo cose sono molto assetati, un
periodo non scontato come sanno bene tutti coloro che vivono accanto ad
adolescenti. Questi educatori hanno qualcosa da dare, lo hanno trovato in Gesù
e nella vita nuova che ha indicato ai suoi amici, in un luogo concreto che è
quello della parrocchia, vivono nella convinzione che possa essere utile anche
per i propri giovani.
Sanno di impegnarsi per una impresa che economicamente
sarebbe da classificare come in “perdita”, spesso dopo la Cresima sono più i
ragazzi che lasciano che quelli che continuano, ma invece di chiudere baracca
come ogni tanto qualcuno sembra ragionare con loro, ritengono che abbia senso
continuare ad andare avanti vedendo un positivo futuro per il proprio gruppo.
Durante la GMG in Polonia, al termine della messa per la
festa degli italiani, il cardinal Bagnasco invitò tutti a ringraziare in modo
particolare i sacerdoti che avevano reso possibile portare così tanti giovani a
questo evento. Come prete mi sono sentito un po’ a disagio, senza “leccare”
nessuno, devo onestamente riconoscere che il vero merito è degli educatori,
loro senza di me sarebbero venuti ugualmente, io da solo invece non sarei
riuscito.
Mi perdoni quindi Bagnasco se mi permetto di correggerlo, ma
qui come in altri campi della pastorale giovanile, il merito va dato ai tanti
educatori senza i quali noi preti non arriveremmo da nessuna parte.
A tutti loro il nostro ringraziamento, con l’impegno da
parte di noi sacerdoti e genitori di appoggiarli in questo loro servizio. Forse
i loro nomi non finiranno sui giornali, ma rimarranno scritti per sempre nella
vita dei ragazzi.
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