L’adolescenza è stata definita in tanti modi, tra di essi
troviamo anche chi la vedeva come una malattia; mettetevi voi nei pani di un
ragazzo quindicenne che veniva dato per malato quando invece si sentiva
benissimo!
Se mai è stato così, oggi gli adolescenti possono essere
dichiarati sani, la loro non è una età piena di problemi da risolvere: è vita e
basta; anzi forse anche di più: un periodo splendido da riscoprire perché possa
portare il frutto che custodisce in sé. Questo periodo della loro vita non è un
tempo a parte.
Che apertura chiede tutto questo a noi adulti? Il riuscire a
passare dal giudizio sui giovani, all’impegno nel comprenderli, perché sia
accettata la complessità di questa fase evolutiva che ha tanto da offrire anche
al mondo dei grandi. Occorre saper dare fiducia in questo momento di passaggio
dove ancora la maturità risulta solo un orizzonte, evitando che le nostre
numerose paure sul futuro condizionino la ricerca in corso e accettare che
nella vita dei ragazzi abbia diritto di esistenza anche un certo margine di
rischio o di errore.
Mi ricordo di un marito che consolava la moglie riguardo
certe vicissitudini recenti avute con il figlio quindicenne, aveva spesso un
leitmotiv che suonava circa così: porta pazienza è solo una crisi adolescenziale.
Indirettamente il suo consiglio era quello di aspettare, quasi in apnea, che il
tempo passi e tutto si risolverà, come se fossero tipo i sintomi di una
malattia che avrebbe avuto il suo inesorabile decorso verso la guarigione,
ossia prima o poi passerà. Io li
ascoltavo un po’ stupito e dentro di me avevo la consapevolezza che questi
genitori non avevano capito, o forse avevano interpretato male il grido della
vita che abitava in loro figlio.
Il lavoro interessante con tanti genitori è il cammino per riuscire
ad accettare che i propri figli adolescenti non siano degli extraterrestri.
Capita spesso che la loro vita esploda e possa diventare un qualcosa di
incomprensibile, a volte anche violento o all’opposto apatico verso tutto,
certe volte succede che si manifesti con sintomi di disagio che possono
richiedere di ricorrere a uno specialista. Ma la fonte di tutto rimane la
stessa, quella vita che preme per uscire e portare frutto.
Come adulti che vivono accanto a loro, dovremmo condividere
la stessa aspirazione, il sogno di trovare un senso alla ricerca; per questo
far loro coraggio assicurandoli che non sono sbagliati, non sono “malati”, che
i loro desideri sono giusti anche se può capitare di averne paura, che noi siamo
lì perché non vediamo l’ora che diventino l’uomo o la donna che stanno
crescendo in loro.
Come educatori cristiani, il più che possiamo offrire, è il
saper indicare che c’è qualcuno che può aiutare a soddisfare questa tensione di
ricerca infinita presente in ognuno di noi, che lo stare e scommettere su di
lui ne vale la pena, non perché Gesù sia magicamente capace di rispondere a
tutte le domande, ma perché con lui si può camminare nella direzione giusta
sotto una sguardo che da senso alla ricerca che fino ad ora ci trovava un po’
sperduti.
E i genitori messi un po’ da parte, hanno ancora un ruolo in
questo itinerario? Certo, spesso sono loro che aiutano i figli a incontrare
quelle nuove figure che li possono accompagnare e che diventano mediatori e facilitatori
dell’incontro con Dio; padri e madri, che dietro le quinte, continuano a essere
essenziali per la vita dei figli.
Ecco allora il nostro impegno, che ogni ragazzo possa
incrociare il proprio sguardo con chi sappia dare senso nuovo ad una vita buona,
come è successo a Levi. Dopo questo egli
uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli
disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì (Lc 5,
27-28).
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