Mi piace leggere e scrivere sui giovani per conoscerli e
aiutarli sempre meglio, essi però diventano spesso così una categoria di
indagine un po’ impersonale, non lo si fa apposta, è che a un certo punto per
riuscire a dire qualcosa su di loro occorre entrare in un discorso generale. È
impossibile non farlo, occorre però averne una lucida consapevolezza, capita di
parlare a genitori e occorre chiarire che non stiamo parlando in specifico di
loro figlio, così con altri operatori che si trovano a intersecare per vari
motivi i sentieri percorsi da tanti adolescenti.
Occorre per questo che chi si trova “sul campo”, accanto
alla riflessione necessaria da portare avanti, vigili affinché mente e cuore
siano popolati da nomi e storie, ciò fa uscire un giovane dalla categoria nella
quale fino ad ora lo abbiamo rinchiuso, per riportarlo al posto che gli spetta,
quello di una persona con un accaduto, un presente e dei desideri specifici.
Solo percorrendo questa strada riusciremo a ricercare non il bene in generale,
ma il bene per lui.
Così facendo, sperimenteremo presto che il nostro slancio
educativo animato da buon cuore, si scontra con i limiti della nostra umanità
incapace di intessere infinite relazioni autentiche, spesso tentata di
lasciarsi distrarre dagli incontri che facciamo trasformati in folla vociante.
Un giorno[1] un tipo
certamente famoso di nome Gesù, che per chi ha fede in lui è anche il figlio di
Dio ed esempio di una umanità vissuta in pienezza secondo la sua vera bellezza,
stava ripartendo da una città dove aveva compiuto certi segni potenti, ma che
la gente aveva faticato ad afferrare nel loro significato. Un tipo che girava
raramente da solo, spesso attorniato dai suoi discepoli e da altra folla che lo
seguiva; mentre se ne andava non del tutto soddisfatto e di certo pensieroso
per quello che era accaduto, la sua attenzione cade su una persona in
particolare, di lei ci viene detto prima di tutto il nome, Matteo, poi la sua
professione, pubblicano (esattore delle tasse al soldo dei romani, ritenuti
dagli abitanti del luogo degli occupanti e quindi nemici).
Mi sono sorpreso di questa cosa, io quando parto per un
viaggio sono molto concentrato su quello che devo fare, se poi vengo da una situazione
complicata essa continua ancora ad occuparmi i pensieri. Non mi importa di chiamare
per nome il benzinaio anche se porta una bella targhetta sul petto, né sapere
la storia della commessa che mi fa lo scontrino, così al ristorante se ho
bisogno chiamo chi serve col termine “cameriere” identificandolo con il lavoro
che svolge e non con la storia che si porta dietro. Questo è inevitabile, l’ho
detto anche prima, ma chi ha a che fare con adolescenti dovrebbe porsi in modo
diverso nei loro confronti, un po’ come Gesù, mentre tutti gli altri vedono un
odioso pubblicano identificando quella persona con il lavoro che fa, lui invece
vede prima un nome e una storia precisa dietro a quell’incontro.
Certamente il lavoro che fa lo rende un alleato dei nemici,
un escluso dalla società, uno del quale dubitare, ma sembra che il Nazzareno
non dia particolare importanza a questo. Spesso mi capita di incontrare
ragazzi, li frequento per un piccolissimo tratto della loro vita, a volte
arrivano perché i genitori pensano abbiano dei problemi e il parlare con un
prete possa aiutarli, capita anche che prima di incontrarli già qualcuno mi
anticipi cosa va o no in loro. Che bello poter incontrare Matteo e chiamarlo
per nome come se per il momento le sue scelte sbagliate siano messe da parte,
credo sia stata una cosa emozionante anche per lui.
Penso che questo uomo sentendosi chiamato, abbia alzato gli
occhi con la rassegnazione che fosse un altro dei “rabbi” di turno che voleva
rimproverarlo se non sputargli in faccia, ben altra offerta si sente rivolgere,
il desiderio di poter iniziare con lui una relazione, il potersi conoscere
meglio. Questa cosa lo lascia così stupito che si prende su e segue Gesù. Ho
conosciuto tanti ragazzi in queste condizioni, consapevoli che quando l’adulto
di turno pronunciava il loro nome era per un rimprovero; Corrado rifiutava
regolarmente gli inviti che gli facevo per trovarci a parlare, finalmente
condivise con me che temeva che gli volessi parlare di certi suoi comportamenti
fuori luogo, mentre io lo vedevo un po’ triste e volevo semplicemente sentire
come stava, garantendogli la mia amicizia.
Spesso mi capita di girare posti nuovi, mi spiace quando interessandomi
di certi ragazzi mi sento dire ancora prima di chi sono, che è meglio lasciare
perdere perché sono dei pochi di buono, oppure che è tanto che non vengono in
chiesa oppure fumano droga. Gesù non lascia che il lavoro di quest’uomo e
l’idea che gli altri si sono fatti, passi davanti al riconoscere che anche in
lui c’è vita e una ricerca che se aiutata può venire a galla.
Chiamare per nome, l’attenzione anche a solo uno, fa sì che
altri si uniscano all’opportunità proposta da un pasto condiviso, sono tanti i
giovani che cercano di essere incontrati non per quello che sembrano, ma per
quello che sono. La cosa lascia parecchio spaesati alcuni della compagnia di
Gesù, non riescono a capire come sia possibile che perda tempo e si rovini la
reputazione con chi ormai è dato per perso; la risposta che ricevono è molto
chiara. Non sono i sani che hanno bisogno
del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io
voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i
peccatori (Mt 9,13).
Un principio chiarissimo in teoria, tanto quanto disatteso
nella pratica; sono quelli che nessuno chiama per nome che hanno bisogno che
gli venga restituito, coloro che sono prigionieri dei pregiudizi degli altri
che vengano liberati. Non viene messa in discussione la loro condotto
oggettivamente sbagliata e il loro limite, ma il fatto che li si abbandoni a se
stessi, giovani lasciati in balia di una vita non semplice da decifrare o da
riscattare.
Occorre allora che impariamo anche noi che la misericordia
viene prima del giudizio, prima del dover fare quelle tante cose che ci
distraggono da chi ha veramente bisogno e che ci serve come scusa per poi
sentirci in pace.
A noi tutti alle prese con la vita di tanti giovani nelle
varie curve che essa prende, il compito di chiamare per nome proprio il
prossimo ragazzo rumoroso, insolente o pericoloso che incontreremo.
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