Un giorno un ragazzo mi raccontò di quanto gli era capitato
a scuola. Un gruppetto di ragazzi quando lo incontravano gli si facevano
intorno e pretendevano da lui un euro per lasciarlo andare, la cosa non è mai
degenerata in atti di violenza, del resto lui acconsentiva anche perché sia il
numero che l’atteggiamento del gruppo invitava a farlo.
La cosa non durò molto, nel senso che i soldi non sempre li
aveva e cambiando un po’ modo di vivere, la cosa venne a conoscenza dei suoi
genitori che si attivarono per coinvolgere gli altri adulti responsabili. Il
tutto finì senza strascichi.
Non sapevo se essere più in pena per chi aveva ricevuto il
sopruso oppure per questi che si facevano forti con i deboli, ma sono poi
deboli con i forti e che mostrano tutto il disagio e il bisogno di essere messi
nella condizione di usare bene le loro forze, così come il desiderio di
sentirsi realizzati, cosa che sembra fino ad ora non essere riuscita al mondo
che frequentano.
Il tema in oggetto chiama in causa la questione
dell’aggressività, essa è presente in ogni persona e nei ragazzi assume un
significato particolare, occorre prestare attenzione a non confonderne
l’eccesso con il bullismo, sono fenomeni diversi.
Nei gruppo di coetanei c’è una gran “confusione” di compiti
e poteri, questo spesso scatena una certa lotta che di per sé è positiva e da
leggersi all’interno del disegno più ampio del cammino di crescita. In questa
età l’unione crea appartenenza e identità, percepita anche attraverso linguaggi
e altri aspetti comuni insieme a modi di porsi e nel come presentarsi.
Quando gruppi differenti si incontrano le dissomiglianze
vengono a galla, forse non ai nostri occhi di adulti, ma certamente a quelli
dei ragazzi. Succede allora che il diverso da sé dà un po’ fastidio, infatti in
un momento nel quale si è molto concentrati a definire la propria identità,
questo può essere percepito come un ostacolo, come un attacco a quello che mi
sento di essere; questo può trascinarsi dietro tanti altri stati caratterizzati
da paura, incertezza, aggressività e violenza. L’apice negativo di questo fenomeno
lo si può cogliere nelle guerre tra bande e nella violenza contro chi è diverso, in quest’ultimo aspetto ricadono tanti degli episodi definiti di
bullismo.
Quando capita qualcosa del genere, il primo impulso di ogni
genitore è quello di dare la colpa alle compagnie sbagliate che il figlio
frequenta; ahimè, questo porta spesso fuori strada e sicuramente non aiuta a
capire il tutto, inoltre rappresenta indirettamente un giudizio svalutativo che
considera il ragazzo come se non avesse la capacità di scegliere o la “spina
dorsale” per poterlo fare. Sarebbe meglio invece accettare e accogliere che
nostro figlio è diverso da come pensavamo, perché solo all’interno di questa
logica virtuosa, sarà possibile aiutare il ragazzo ad andare oltre le apparenze
e capire che chi è diverso ha diritto di essere sé stesso. L’adulto prima di
aiutare i più giovani, deve riuscire a vincere i propri pregiudizi, altrimenti
l’opera educativa ne sarà seriamente minata.
Gli atti definiti abitualmente “bullismo”, vedono al loro
interno diversi protagonisti che vanno al di là di quei pochi immediatamente
coinvolti, il riferimento di tutto è il gruppo, non il singolo; questo dice che
anche l’intervento educativo dovrà essere ampio tanto quanto lo è l’origine del
tutto.
Occorre subito differenziare, per evitare un linguaggio che
si presta troppo ad essere frainteso, quei litigi comuni definibili come
“normali” anche se pesanti, pur mantenendosi all’interno dei una sporadicità,
dagli atti di bullismo che sono invece prolungati nel tempo, nei confronti
della stessa persona e portati avanti con il desiderio di fare del male.
Entrambe queste categorie di atti portano conseguenze dolorose, occorre però
darne una interpretazione diversa.
Spesso, dietro i comportamenti violenti del forte contro il
debole in età adolescenziale, c’è una aggressività non tanto rivolta alla
persona, ma guidata dalla paura che il più vigoroso ha del difetto che coglie
nell’altro; il violento non riesce ad identificarsi con il debole perché non
vuole essere come lui, questa distanza empatica facilita l’accanimento che ne
nasce.
Succede così che sia il carnefice che la vittima si trovano
accomunati dal medesimo disagio: il non sentirsi adeguati; quando tutto questo
degenera nasce il vero e proprio bullismo. Un ragazzo rimane certamente responsabile
dei comportamento violenti e del male che causa all’altro, ma non per questo ci
si può spingere tanto in là da affermare che sia una persona “cattiva”, ma molto
più spesso uno che come gli altri sta facendo fatica a capire come sopravvivere
a questo pezzo della sua vita. Ogni evento di bullismo ci consegna protagonisti
fragili, tutti da aiutare e accompagnare secondo i propri bisogni specifici.
Mi viene in mente un episodio capitato a Gesù[1], un
giorno in cui incontrò due indemoniati, due tipi un po’ strani, vivevano a modo
loro, camminavano verso di lui gridando e con una espressione tutt’altro che
rassicurante, avevano una cattiva fama tanto che tutti giravano al largo. Il
racconto prosegue con quello che tecnicamente viene definito un esorcismo,
ossia la cacciata dello spirito impuro che viveva dentro le due persone,
tenendole prigioniere ai propri voleri.
L’adolescenza è una età nella quale tanti “spiriti” girano
dentro il cuore dei nostri ragazzi, voci a volte confuse che non sanno ancora
bene comprendere, ricerche che nonostante diversi tentativi rimangono inappagate.
Non sto dicendo che sia “posseduti” da qualche entità, ma
sicuramente in loro c’è la paura di essere inadeguati, non all’altezza della
vita; qualcuno vive tutto ciò in modo attivo diventando carnefice e altri in modo
passivo subendo come vittime, in entrambi i casi con un forte dolore che se pur
in modi diversi, ognuno di essi cerca di far tacere.
Queste sono situazioni difficili da affrontare, non sempre
siamo disposti a vedere la violenza di nostro figlio, tantomeno dare fondo a
tutte le nostre attenzioni per accorgerci di cosa sta subendo da altri, anche
perché andare a “piangere” dai genitori sarebbe confermare la paura della
propria debolezza. Occorre allora tenere gli occhi aperti per saper cogliere i
segni di sofferenza che in questi casi sicuramente si presentano, il passaggio
più difficile sarà quello di cercare di capire il perché ciò avviene, cosa ci
sta sotto. Per questo sarà necessario attivare tutta la rete educativa che gira
intorno all’adolescente, compreso anche lo strumento dello sportello
psicologico scolastico. In ogni caso occorre che gli interventi presi siano
concordati e condivisi.
Senza voler generalizzare, un tema rilevante da prendere in
considerazione, riguarda il peso al quale sono esposti da richieste eccessive
di “successo” nelle sue varie forme, questo può venire dall’ambiente interno o
extra famigliare e far nascere difficoltà ad accettare di poter essere
fallibile. Insieme a questo può avere una influenza anche l’angoscia che può
venire dal non volere deludere i genitori o altre figure significative. In tutto
questo il contesto attuale non aiuta, spesso si caricano i ragazzi di
aspettative affinché siano i migliori, sappiano fare tutto, i più bravi della
classe, più atletici, insomma più in tutto. Occorre invece essere capaci di
introdurre una logica nuova, che afferma che non tutti per forza dobbiamo
essere uguali, che chi è diverso non per questo non ha qualità o difetti, che
abbiamo bisogno degli altri e che non esiste una divisione tra belli e brutti o
buoni e cattivi.
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