venerdì 16 settembre 2016

Aggressività e bullismo

Un giorno un ragazzo mi raccontò di quanto gli era capitato a scuola. Un gruppetto di ragazzi quando lo incontravano gli si facevano intorno e pretendevano da lui un euro per lasciarlo andare, la cosa non è mai degenerata in atti di violenza, del resto lui acconsentiva anche perché sia il numero che l’atteggiamento del gruppo invitava a farlo.
La cosa non durò molto, nel senso che i soldi non sempre li aveva e cambiando un po’ modo di vivere, la cosa venne a conoscenza dei suoi genitori che si attivarono per coinvolgere gli altri adulti responsabili. Il tutto finì senza strascichi.
Non sapevo se essere più in pena per chi aveva ricevuto il sopruso oppure per questi che si facevano forti con i deboli, ma sono poi deboli con i forti e che mostrano tutto il disagio e il bisogno di essere messi nella condizione di usare bene le loro forze, così come il desiderio di sentirsi realizzati, cosa che sembra fino ad ora non essere riuscita al mondo che frequentano.
Il tema in oggetto chiama in causa la questione dell’aggressività, essa è presente in ogni persona e nei ragazzi assume un significato particolare, occorre prestare attenzione a non confonderne l’eccesso con il bullismo, sono fenomeni diversi.
Nei gruppo di coetanei c’è una gran “confusione” di compiti e poteri, questo spesso scatena una certa lotta che di per sé è positiva e da leggersi all’interno del disegno più ampio del cammino di crescita. In questa età l’unione crea appartenenza e identità, percepita anche attraverso linguaggi e altri aspetti comuni insieme a modi di porsi e nel come presentarsi.
Quando gruppi differenti si incontrano le dissomiglianze vengono a galla, forse non ai nostri occhi di adulti, ma certamente a quelli dei ragazzi. Succede allora che il diverso da sé dà un po’ fastidio, infatti in un momento nel quale si è molto concentrati a definire la propria identità, questo può essere percepito come un ostacolo, come un attacco a quello che mi sento di essere; questo può trascinarsi dietro tanti altri stati caratterizzati da paura, incertezza, aggressività e violenza. L’apice negativo di questo fenomeno lo si può cogliere nelle guerre tra bande e nella violenza contro chi è diverso, in quest’ultimo aspetto ricadono tanti degli episodi definiti di bullismo.
Quando capita qualcosa del genere, il primo impulso di ogni genitore è quello di dare la colpa alle compagnie sbagliate che il figlio frequenta; ahimè, questo porta spesso fuori strada e sicuramente non aiuta a capire il tutto, inoltre rappresenta indirettamente un giudizio svalutativo che considera il ragazzo come se non avesse la capacità di scegliere o la “spina dorsale” per poterlo fare. Sarebbe meglio invece accettare e accogliere che nostro figlio è diverso da come pensavamo, perché solo all’interno di questa logica virtuosa, sarà possibile aiutare il ragazzo ad andare oltre le apparenze e capire che chi è diverso ha diritto di essere sé stesso. L’adulto prima di aiutare i più giovani, deve riuscire a vincere i propri pregiudizi, altrimenti l’opera educativa ne sarà seriamente minata.
Gli atti definiti abitualmente “bullismo”, vedono al loro interno diversi protagonisti che vanno al di là di quei pochi immediatamente coinvolti, il riferimento di tutto è il gruppo, non il singolo; questo dice che anche l’intervento educativo dovrà essere ampio tanto quanto lo è l’origine del tutto.
Occorre subito differenziare, per evitare un linguaggio che si presta troppo ad essere frainteso, quei litigi comuni definibili come “normali” anche se pesanti, pur mantenendosi all’interno dei una sporadicità, dagli atti di bullismo che sono invece prolungati nel tempo, nei confronti della stessa persona e portati avanti con il desiderio di fare del male. Entrambe queste categorie di atti portano conseguenze dolorose, occorre però darne una interpretazione diversa.
Spesso, dietro i comportamenti violenti del forte contro il debole in età adolescenziale, c’è una aggressività non tanto rivolta alla persona, ma guidata dalla paura che il più vigoroso ha del difetto che coglie nell’altro; il violento non riesce ad identificarsi con il debole perché non vuole essere come lui, questa distanza empatica facilita l’accanimento che ne nasce.
Succede così che sia il carnefice che la vittima si trovano accomunati dal medesimo disagio: il non sentirsi adeguati; quando tutto questo degenera nasce il vero e proprio bullismo. Un ragazzo rimane certamente responsabile dei comportamento violenti e del male che causa all’altro, ma non per questo ci si può spingere tanto in là da affermare che sia una persona “cattiva”, ma molto più spesso uno che come gli altri sta facendo fatica a capire come sopravvivere a questo pezzo della sua vita. Ogni evento di bullismo ci consegna protagonisti fragili, tutti da aiutare e accompagnare secondo i propri bisogni specifici.
Mi viene in mente un episodio capitato a Gesù[1], un giorno in cui incontrò due indemoniati, due tipi un po’ strani, vivevano a modo loro, camminavano verso di lui gridando e con una espressione tutt’altro che rassicurante, avevano una cattiva fama tanto che tutti giravano al largo. Il racconto prosegue con quello che tecnicamente viene definito un esorcismo, ossia la cacciata dello spirito impuro che viveva dentro le due persone, tenendole prigioniere ai propri voleri.
L’adolescenza è una età nella quale tanti “spiriti” girano dentro il cuore dei nostri ragazzi, voci a volte confuse che non sanno ancora bene comprendere, ricerche che nonostante diversi tentativi rimangono inappagate.
Non sto dicendo che sia “posseduti” da qualche entità, ma sicuramente in loro c’è la paura di essere inadeguati, non all’altezza della vita; qualcuno vive tutto ciò in modo attivo diventando carnefice e altri in modo passivo subendo come vittime, in entrambi i casi con un forte dolore che se pur in modi diversi, ognuno di essi cerca di far tacere.
Queste sono situazioni difficili da affrontare, non sempre siamo disposti a vedere la violenza di nostro figlio, tantomeno dare fondo a tutte le nostre attenzioni per accorgerci di cosa sta subendo da altri, anche perché andare a “piangere” dai genitori sarebbe confermare la paura della propria debolezza. Occorre allora tenere gli occhi aperti per saper cogliere i segni di sofferenza che in questi casi sicuramente si presentano, il passaggio più difficile sarà quello di cercare di capire il perché ciò avviene, cosa ci sta sotto. Per questo sarà necessario attivare tutta la rete educativa che gira intorno all’adolescente, compreso anche lo strumento dello sportello psicologico scolastico. In ogni caso occorre che gli interventi presi siano concordati e condivisi.
Senza voler generalizzare, un tema rilevante da prendere in considerazione, riguarda il peso al quale sono esposti da richieste eccessive di “successo” nelle sue varie forme, questo può venire dall’ambiente interno o extra famigliare e far nascere difficoltà ad accettare di poter essere fallibile. Insieme a questo può avere una influenza anche l’angoscia che può venire dal non volere deludere i genitori o altre figure significative. In tutto questo il contesto attuale non aiuta, spesso si caricano i ragazzi di aspettative affinché siano i migliori, sappiano fare tutto, i più bravi della classe, più atletici, insomma più in tutto. Occorre invece essere capaci di introdurre una logica nuova, che afferma che non tutti per forza dobbiamo essere uguali, che chi è diverso non per questo non ha qualità o difetti, che abbiamo bisogno degli altri e che non esiste una divisione tra belli e brutti o buoni e cattivi.




[1] Cfr. Mt 8,28-34

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