domenica 29 maggio 2016

L'abilità di educare

Intorno al termine “educare” girano tanti termini che cercano di indirizzarne l’opera: tecnica, modo, metodo, lavoro, regole, professione, ingegno, arte… A mio parere al centro e prima di tutto viene la domanda “chi è l’adolescente a cui ci rivolgiamo?”, ossia chiarire quale sia l’impostazione antropologica, l’immagine di persona, che ci guida nella nostra opera. Non si può separare l’azione educativa dal chi si educa, rischieremmo di creare una scienza astratta senza radici.
Se per me l’essere umano è costituito di sola materia senza dimensione spirituale, sarà normale che l’impegno a servizio dei giovani diventerà pressappoco quello dell’addestratore di animali, ci sono degli istinti da incasellare e delle abitudine da innescare legate al premio/punizione, non ci sarà inoltre problema a variare l’impostazione dell’opera educativa secondo le voghe del momento. Mi sembra che questo rischio sia tutt’altro che teorico, in passato spesso si sono cavalcate le più svariate mode facendo nascere diversi tentativi più o meno improvvisati, concentrati molto su una determinata ideologia che non entrava in contatto e non si lasciava convertire dalla concretezza del giovane concreto che era chiamato a servire, lui rimaneva un accessorio.
Se invece si accoglie che nella struttura propria di ogni persona, insieme alla materia, sussistono, integrate, altre dimensioni come quella valoriale e anche quella spiccatamente spirituale che dice della nostra relazione con il divino, se si tiene conto di tutto questo allora l’educazione prende strade ben diverse dal modello precedente.
Intelligenza, volontà e coscienza, diventano realtà e la materia non è più solo tale. Così il tutto colloca la nostra opera in un ascolto che fin dall’inizio guarda alla persona del ragazzo, e lo farà in ogni giovane, anche in chi più ci sembrerà problematico, anche nel diverso e nell’ultimo arrivato. Ogni ragazzo è mosso da qualcosa, non è fredda creta nelle mani di un vasaio, ma pianta in crescita che si nutre e cresce secondo tanti elementi positivi e negativi che può trovare intorno a sé, essa è parte di un ambiente.
Ad ogni educatore credo sia necessario porre la domanda: ma per te chi è, cosa è un adolescente? Dalla risposta emergeranno gli scenari che saranno intrapresi nell’opera accanto ai giovani, su di essi si potrà lavorare aiutando a crescere in un servizio sempre più aderente alla verità e al bello di quello che un ragazzo è. Infatti ciascun uomo, per realizzarsi, occorre che segua la propria natura, essa non può essere da nessuno bypassabile.
Suppongo che voi ammettiate esservi una natura umana e che questa natura umana è la stessa presso tutti gli uomini. Suppongo che voi ammettiate anche che l’uomo è un essere dotato di intelligenza, e che, in quanto tale, agisce comprendendo quello che fa e quindi ha il potere di determinare se stesso ai fini che egli persegue. D’altra parte, avendo una natura, essendo costituito in un certo determinato modo, l’uomo ha evidentemente dei fini che rispondono alla sua costituzione naturale e che sono gli stessi per tutti [...] Ma poiché l’uomo è dotato di intelligenza e determina a se stesso i propri fini, tocca a lui accordare se medesimo ai fini necessariamente voluti dalla sua natura. Ciò vuol dire che vi è, per virtù stessa della natura umana, un ordine o una disposizione che la ragione umana può scoprire e secondo la quale la volontà umana deve agire per accordarsi ai fini necessari dell’essere umano. La legge non scritta o diritto naturale non è altro che questo[1].
C’è un disegno complessivo che riguarda il destino di ogni ragazzo nel suo cammino per diventare adulto, il tutto non si esaurisce in semplici principi morali, ma si riferisce ad una identità umana più profonda che è oltre le specifiche appartenenze sociali e religiose. C’è un unicum che fonda la dignità dell’essere persona che trova nel mistero dell’incarnazione e della redenzione il proprio programma di vita: Dio si è fatto uomo, perché l’uomo potesse diventare come Dio.
Oggi questo modello fatica ad essere accolto in un mondo che ragiona secondo altri criteri, che ci accusa di essere troppo moralisti o tradizionalisti. Non me ne stupisco, non credo sia neanche salutare che tutti si sia sempre concordi sugli stessi elementi di discussione, occorre impegnarsi in una dialettica costruttiva, capace di comunicare e chiarire i fondamenti di quanto ci guida.
Dopo quella che è stata fino a qua una semplice e stringata introduzione, ci si dovrebbe chiede ora: e quindi, come si realizza l’abilità propria dell’educatore? La risposta è molto ampia, tante cose le trovate in quanto scritto in altri interventi, ad essi vi rimando, qua mi interessava chiarire un presupposto che mi sono accorto dar troppo per scontato e che non permetteva ad alcuni di comprendere e ad altri di condividere la mia impostazione.




[1] J. Maritain, I diritti dell’uomo e la legge naturale, Vita e Pensiero, Milano, 1993, p. 56.

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