Intorno al termine “educare” girano tanti termini che
cercano di indirizzarne l’opera: tecnica, modo, metodo, lavoro, regole,
professione, ingegno, arte… A mio parere al centro e prima di tutto viene la
domanda “chi è l’adolescente a cui ci rivolgiamo?”, ossia chiarire quale sia
l’impostazione antropologica, l’immagine di persona, che ci guida nella nostra
opera. Non si può separare l’azione educativa dal chi si educa, rischieremmo di
creare una scienza astratta senza radici.
Se per me l’essere umano è costituito di sola materia senza
dimensione spirituale, sarà normale che l’impegno a servizio dei giovani
diventerà pressappoco quello dell’addestratore di animali, ci sono degli
istinti da incasellare e delle abitudine da innescare legate al premio/punizione,
non ci sarà inoltre problema a variare l’impostazione dell’opera educativa
secondo le voghe del momento. Mi sembra che questo rischio sia tutt’altro che
teorico, in passato spesso si sono cavalcate le più svariate mode facendo
nascere diversi tentativi più o meno improvvisati, concentrati molto su una
determinata ideologia che non entrava in contatto e non si lasciava convertire
dalla concretezza del giovane concreto che era chiamato a servire, lui rimaneva
un accessorio.
Se invece si accoglie che nella struttura propria di ogni
persona, insieme alla materia, sussistono, integrate, altre dimensioni come
quella valoriale e anche quella spiccatamente spirituale che dice della nostra
relazione con il divino, se si tiene conto di tutto questo allora l’educazione
prende strade ben diverse dal modello precedente.
Intelligenza, volontà e coscienza, diventano realtà e la
materia non è più solo tale. Così il tutto colloca la nostra opera in un ascolto
che fin dall’inizio guarda alla persona del ragazzo, e lo farà in ogni giovane,
anche in chi più ci sembrerà problematico, anche nel diverso e nell’ultimo
arrivato. Ogni ragazzo è mosso da qualcosa, non è fredda creta nelle mani di un
vasaio, ma pianta in crescita che si nutre e cresce secondo tanti elementi
positivi e negativi che può trovare intorno a sé, essa è parte di un ambiente.
Ad ogni educatore credo sia necessario porre la domanda: ma
per te chi è, cosa è un adolescente? Dalla risposta emergeranno gli scenari che
saranno intrapresi nell’opera accanto ai giovani, su di essi si potrà lavorare
aiutando a crescere in un servizio sempre più aderente alla verità e al bello
di quello che un ragazzo è. Infatti ciascun uomo, per realizzarsi, occorre che
segua la propria natura, essa non può essere da nessuno bypassabile.
Suppongo che voi
ammettiate esservi una natura umana e che questa natura umana è la stessa
presso tutti gli uomini. Suppongo che voi ammettiate anche che l’uomo è un
essere dotato di intelligenza, e che, in quanto tale, agisce comprendendo
quello che fa e quindi ha il potere di determinare se stesso ai fini che egli
persegue. D’altra parte, avendo una natura, essendo costituito in un certo
determinato modo, l’uomo ha evidentemente dei fini che rispondono alla sua
costituzione naturale e che sono gli stessi per tutti [...] Ma poiché l’uomo è
dotato di intelligenza e determina a se stesso i propri fini, tocca a lui
accordare se medesimo ai fini necessariamente voluti dalla sua natura. Ciò vuol
dire che vi è, per virtù stessa della natura umana, un ordine o una
disposizione che la ragione umana può scoprire e secondo la quale la volontà
umana deve agire per accordarsi ai fini necessari dell’essere umano. La legge
non scritta o diritto naturale non è altro che questo[1].
C’è un disegno complessivo che riguarda il destino di ogni
ragazzo nel suo cammino per diventare adulto, il tutto non si esaurisce in
semplici principi morali, ma si riferisce ad una identità umana più profonda
che è oltre le specifiche appartenenze sociali e religiose. C’è un unicum che
fonda la dignità dell’essere persona che trova nel mistero dell’incarnazione e
della redenzione il proprio programma di vita: Dio si è fatto uomo, perché
l’uomo potesse diventare come Dio.
Oggi questo modello fatica ad essere accolto in un mondo che
ragiona secondo altri criteri, che ci accusa di essere troppo moralisti o
tradizionalisti. Non me ne stupisco, non credo sia neanche salutare che tutti
si sia sempre concordi sugli stessi elementi di discussione, occorre impegnarsi
in una dialettica costruttiva, capace di comunicare e chiarire i fondamenti di
quanto ci guida.
Dopo quella che è stata fino a qua una semplice e stringata
introduzione, ci si dovrebbe chiede ora: e quindi, come si realizza l’abilità
propria dell’educatore? La risposta è molto ampia, tante cose le trovate in
quanto scritto in altri interventi, ad essi vi rimando, qua mi interessava
chiarire un presupposto che mi sono accorto dar troppo per scontato e che non
permetteva ad alcuni di comprendere e ad altri di condividere la mia
impostazione.
Nessun commento:
Posta un commento