lunedì 23 maggio 2016

Mi stai “diludendo”

Quando si parla di fede e di Dio con i ragazzi, capita di incontrare una certa delusione che viene da parte di alcuni. Nell’infanzia tante sono le idee che ci si fa su Dio, spesso un po’ magiche o automatiche. Incontro giovani che hanno smesso di pregare non perché è una cosa assurda, ma perché ci hanno provato ma non ha funzionato. Altri hanno provato a mantenere una vita “fedele” a certi principi, ma si sono scontrati con un mondo che non vede bene certi modi di fare, così che si sono sentiti messi da parte, la situazione diventa così pesante che hanno lasciato perdere.
Si può rimanere delusi da Dio? Credo di sì. È successo anche a due dei suoi (cfr. Lc 24,13-35) diventati famosi per via della loro città, Emmaus. Pieni di tristezza, con le loro speranze ormai in rovina, lasciano da parte le aspirazione per una vita libera, sconvolti per quello che sentono dire in giro, incapaci di fidarsi nuovamente dei propri compagni, infine per usare le parole di Gesù stesso anche stolti e tardi di cuore.
Viene una naturale compassione per questi due; ci si può chiedere: ma si può veramente toccare così il fondo? Non sempre, ma è possibile, capita di incontrare ragazzi veramente molto delusi, che fanno una fatica grande a fidarsi degli altri e altrettanto di Dio. Frustrati per una vita che non incontra quanto di profondo desiderano per sé e per i propri coetanei, che troppo presto li vede avviarsi verso un cammino più “concreto”, con i piedi per terra; da tanti arriva l’invito perché siano più realisti nella loro vita, perché entrino in contatto con la realtà immediata che si trova davanti. Di fronte a tutto questo dico che non può essere questa l’unica via possibile da percorrere.
Che grande lezione Gesù dà a tutti noi educatori, stare accanto all’altro così com’è e non come dovrebbe essere, addirittura quando l’altro parla male o contro di me come capita con i due di Emmaus, saper essere accoglienti in un momento di non accoglienza.
Noi spesso pensiamo di avere le risposte in tasca e sono queste che può capitare che cerchiamo di rifilare, quando invece, come Gesù, ci dovremmo porre come coloro che mettono delle domande sapendo tirare fuori la vita che spinge per uscire. Come farlo? Cercando di impostare il dialogo non su una serie di cose da fare o meno, ma usando la narrazione che, partendo dalla vita e dal Vangelo, arriva a scaldare il cuore, come fa Gesù con i due di Emmaus.
Forse così eviteremo che, quando ci capita di tirare fuori la Bibbia o di andare in chiesa, compaiano sul volto di alcuni giovani le più svariate smorfie che evidenziano un certa insofferenza che può nascere dal sentimento di delusione.
Fino ad ora abbiamo parlato dei ragazzi, ma un certo sconforto può capitare anche che si inverta, che siamo noi adulti che ci sentiamo dire dai ragazzi: ci avete deluso.
Proprio così esordirono alcuni adolescenti durante un incontro in seguito a uno sfortunato evento nato dopo una “chattata” su un gruppo dove tra i ragazzi se ne erano dette di cotte e di crude; il tutto sapendo che anche gli educatori le leggevano in quanto anche loro ne erano membri. Alcuni si sarebbero aspettati un intervento volto ad evitare proprio l’esagerazione nella quale tutto è poi finito. Sfortunatamente alcuni degli educatori lavorando non potevano essere aggiornati in tempo reale e tenerne il filo, quelli che avrebbero potuto farlo si sono trovati impreparati ad affrontare la questione.
Il rimprovero posto loro da questi giovani amici non fu compreso, come del resto noi adulti facciamo fatica a cogliere le osservazioni con le quali gli adolescenti si rapportano al mondo nel quale crescono.
Arrivò la fine dell’incontro e i ragazzi andarono via, così riuscimmo a riprendere fra noi grandi la cosa; immaginate i volti di questi che si sentivano accusati da parte dei ragazzi di essere deludenti. Fu molto difficile, e non credo di esserci riuscito appieno, risollevare la situazione e gli animi presenti. Non era semplice, ma intravvedevo una grossa occasione, quella di far tesoro di quanto successo per non lasciarci scappare la vita così come ci parla anche quando è dura, era una bellissima occasione per parlare di ciò che conta veramente e per questo a volte può fare anche male.
Capita spesso, come spiega anche il papa[1],  di sperimentare sulla nostra pelle che il patto educativo stipulato con le giovani generazioni sia ormai rotto, invece di mollare e lamentarci occorre cercare strade nuove, questo è proprio il compito di chi come noi è per vocazione accanto ai giovani. Occorre prendere atto che ci si trova in uno stato di necessità che chiede di attuare una vera “educazione di emergenza”, essa chiede di integrare cammini informali all’interno di quelli portati avanti finora.
Siamo così chiamati a lasciare la prospettiva che puntava tutto e solo sulla trasmissione di concetti, per comprendere che ci sono almeno tre linguaggi base che possono facilitare questo passaggio: la testa, il cuore, le mani. Essi rispettivamente raggiungono lo scopo di aiutare a pensare, percepire in modo pieno e profondo quanto accade, così da muovere a una vita di atti coerenti.




[1] Cfr. Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica, 21 novembre 2015

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