giovedì 14 luglio 2016

Internet è una perdita di tempo?

Una sera durante un incontro nel quale con gli educatori eravamo intenti a preparare il campeggio estivo per il gruppo delle medie della parrocchia, tra le tante cose arrivammo a discutere riguardo la questione “cellulari”. Le opinioni furono contrastanti e variegate, c’era chi non li voleva assolutamente per la paura che sarebbero stati di ostacolo alla socializzazione, chi ne proponeva un uso controllato ad orari fuori dai quali sarebbero stati da raccogliere, chi invece non vedeva  la necessità di privare i ragazzi di uno strumento che ormai faceva parte della loro quotidianità così da non doverlo demonizzare.
Nella mia pur breve esperienza accanto ai ragazzi, ho adottato anche io variegate soluzioni a seconda del cammino fatto con il gruppo e con gli educatori, anche in continuità con gli interventi che venivano posti al riguardo durante gli incontri settimanali che gli adolescenti frequentavano in parrocchia. In passato mi è capitato di vedere salutare un momento di distacco dal cellulare pertanto non ho posto mai particolare problema ad assumere posizioni decise al riguardo. Questa volta qualcosa però dentro di me mi suggeriva di stare un attimo in sospeso per mettermi in ascolto. L’incontro è terminato con la decisione ancora in sospeso.
Credo sia opportuno non limitarsi a portare avanti in modo acritico scelte educative passare semplicemente perché “si è sempre fatto così”. I tempi cambiano, i ragazzi pro, così anche il contesto sociale e le istanze di sviluppo che determino la fase specifica dell’adolescenza con tutte le ricerche che si porta dietro. Occorre che come adulti sappiamo, con una certa regolarità, rimetterci in gioco e prima di chiedere ai ragazzi di cambiare, verificare che non sia ora di modificare le nostre strategie di intervento. Nello specifico del nostro caso, comunicai agli educatori la decisione maturata di permettere ai ragazzi di portarsi dietro il cellulare, l’impegno educativo poi ci vedrà in campo per educarne l’uso come parte di un cammino più ampio che vedrà anche l’intervento ad altre dimensioni della crescita.
Nella breve mail che scrissi agli educatori non mi soffermai a descrivere i motivi che mi avevano portato a questa decisione, chiesi loro di fidarsi, il tutto risuonava dentro di me ancora solo come una intuizione e un ascolto che chiedeva una rimessa in discussione di certi aspetti.
L’opportunità che ora mi è data, è quella di poter mettere per iscritto alcuni abbozzi di questa riflessione ancora agli inizi, perché insieme alla conversione alla quale mi ha chiamato, possa essere utile anche ad altri.
In questi ultimi vent’anni la nostra società è cambiata molto, non poco ha contribuito lo sviluppo delle nuove tecnologie, siamo arrivati a un punto che il prescindere da essere vorrebbe dire chiudere gli occhio di fronte alla vita. Penso sia errato un approccio che rimpiangendo il passato pensi di tornare ad esso, occorre invece aiutare i giovani a diventare liberi protagonisti del loro cammino di crescita. Facendo questo, scopriremo che anche noi adulti abbiamo bisogno di grandi conversione nel nostro approccio al mondo dei ragazzi, non è semplice accettare lo “smacco” di non essere poi così esperti in tutto e non sempre possiamo collocarci come maestri di vita.
Per i ragazzi, le tecnologie, sono un elemento naturale del loro vivere; diversamente da noi adulti che invece le trattiamo come qualcosa da una parte stimolante e dall’altra da temere. Gli strumenti informatici portatili li seguono ormai in ogni luogo e veramente non capiscono le ragioni per le quali vengano costretti a lasciali a casa o spenti, sono prolungamenti che contribuisco ad esprimere le loro funzioni mentali e relazionali.
Se dovessimo dare un nome alla società così come oggi si costruisce, potremmo definirla come “post-digitale”, ossia la realtà di oggi è andato oltre l’informatizzazione e l’uso del computer, il mondo oggi non necessita più di un luogo e oggetto fisico (una casa e un PC), si basa sull’archiviazione nei servizi di “cloud” con un acceso attraverso terminali portatili.
Qualche tempo fa ho scritto un articolo che mostrava, come accanto alla famiglia naturale, sia oggi da dare come nata anche una seconda famiglia costituita dal gruppo informale di appartenenza e in particolare dall’amico del cuore. Lo sviluppo delle nuove tecnologie ha fatto sì di ampliare ulteriormente i riferimenti relazioni tipici del ragazzo di oggi nel suo percorso di crescita, si può cossi parlare dell’instaurarsi di una terza famiglia che è quella virtuale le cui relazioni sono però sentite molto reali.
Questi cambiamenti hanno spiazzato molto di più gli adulti dei ragazzi, tanti genitori chiedo e sono alla ricerca di soluzioni semplici per poter governare questo “mare” nel quale si sentono un po’ persi, la cosa è impossibile, non ci bastano facili compromessi, c’è molto di più sotto ossia la maturazione dell’identità dei propri ragazzi.
Spesso i genitori sono preoccupati di possibili situazioni di isolamento nelle quali potrebbe incorrere proprio figlio con l’uso di questi strumenti, la realtà dei fatti è ben diversa; l’uso della tecnologia e dei giochi stessi viene ricercata per la capacità che questi offrono di interagire, attraverso la rete, con altre persone. Chiaramente tutto questo lo dico in generale, non per casi specifici dove l’abuso diventa fonte di disagio o di patologia, tuttavia non si deve fare di queste situazioni la situazione dalla quale trarre gli interventi educativi da attuare.
In questo campo, come in tanti altri, il compito faticoso al quale sono chiamati gli adulti, è abbandonare la presunzione che li porta a pensare di poter affrontare la situazione giovanile odierna, facendo semplicemente memoria della propria storia passata. La cosa non funziona, l’oggi non è ieri, troppo cose sono cambiate.
Noi spesso pensiamo che la maggior parte del tempo passato connessi alla rete, sia come uno spreco di qualcosa di prezioso (il tempo) che invece andrebbe usato per studiare, crescere, incontrare gli amici; i ragazzi invece vivono il tutto proprio come luogo di socializzazione e apprendimento che permette loro di costruire e di costruirsi come persone. Alzando il tiro mi permetto di dire anche una cosa che potrebbe urtare qualcuno, ma credo che a volte certe relazioni virtuali siano capaci di esprimersi come più vere e realizzate rispetto a quelle reali vissute nei ruoli di incontro abituali; il fatto stesso che la comunicazione avvenga per lo più attraverso la forma scritta, permette l’attivarsi di tutta una serie di abilità che attraversano in modo trasversale l’identità di una persona.
Sempre rimanendo nel campo di una analisi generale, la situazione di naturale sofferenza che spesso gli adolescenti vivono riguardo un corpo che non piace, relazioni che diventano difficili, un’identità nella quale non si ritrovano, la necessità di avere contatti extra famigliari e così via, tutto questo può trovare nelle relazioni virtuali un valido alleato per riuscire a saltarci fuori e trovare la forza per rilanciarsi nella vita con un’ottica diversa. Per dirlo con parole difficili: ben venga se gli strumenti tecnologici vengono usati dagli adolescenti per affrontare e superare i bisogni legati alla fase-specifica di relazione e riconoscimento vincendo così la paura riuscendo ad entrare in contatto con la verità su di sé.
L’uso delle moderne tecnologie può diventare una malattia? La risposta è certamente sì, come del resto può capitare anche nell’avere a che fare con altre dimensioni della vita. Ho già avuto occasione in un altro articolo di parlare di quella categoria di ragazzi che vengono definiti come “ritirati sociali”.
Non desidero entrare in un campo che è di stretta competenza degli specialisti, certo è che in generale i giovani che vivono secondo un disagio la propria appartenenza al mondo virtuale, sono spesso soggetti che soffrono molto (ce se ne accorge) e che portano a far soffrire anche le persone a loro accanto. In questi casi è inutile appellarsi al senza pratico e ragionevole dell’adolescente, infatti la dipendenza in essere fa sì che la propria volontà non sia più libera o consapevole di quanto accade. Occorrono quindi, come detto sopra, interventi ad opera di specialisti del settore. Suggerisco in questi casi di non accanirsi contro gli strumenti in sé, né con le scelte concrete attuate dai ragazzi, non sta lì la questione, ma piuttosto nel cercare di capire perché è avvenuto questo e spesso il tutto ha radici ben altrove rispetto a quanto emerge in superficie.
Altro elemento generale che spesso accompagna una situazione di dipendenza in questo settore, riguarda il fenomeno dell’aggressività e della violenza scatenatasi nel momento concreto dell’uso dello strumento “incriminato” e nel momento in cui ci si interpone anche solo momentaneamente tra esso e il giovane, casomai cercando di imporre una specifica regolamentazione del tutto.
Dopo quanto scritto mi sembra già di vedere stormi di genitori alla ricerca di questi segni nei propri figli, so di non porvi fermare nell’esorcizzare così la paura che vi attanaglia, sappiate però che in adolescenza il confine tra normalità e patologia, soprattutto in questo campo, è molto sottile e anche variabile proprio perché l’identità stessa dei ragazzi è un qualcosa di ancora non ben definito e in evoluzione.

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