Qualche tempo fa è venuta da me una madre angosciata a causa
del figlio che aveva cominciato a girare con brutte compagnie, uno di questi
era di un anno più grande, bocciato e fumava; il tutto lo dico un po’
sorridendo dentro di me, non volendo sminuire le preoccupazioni evidenti e il
malessere della madre, ma pensando a quanti stereotipi ci tengono prigionieri.
Il mio consiglio a questa madre è stato di invitare a pranzo proprio questo
amico per conoscerlo meglio, lei ha strabuzzato gli occhi considerando che non
solo vietava (inutilmente) a suo figlio di incontrarlo, ma addirittura erano in
atto strategie di pedinamento dalla parte dei genitori alle quali si
affiancavano quelle di fuga da parte del figlio. Dentro di me continuavo a
sorridere, non delle persone coinvolte ma pensando a quanto troppo spesso il
nostro impegno educativo con gli adolescenti rischia di invischiarsi in
soluzioni tragicomiche che non portano da nessuna parte e fanno perdere tempo
ed energie preziose impiegabili in altri modi. La situazione concreta che mi
trovavo davanti era realmente fonte di disagio per tutti; le difficoltà reali
non venivano tanto dalle frequentazioni del figlio e dai pericoli poco reali ad
esse connessi, ma la sofferenza era causata da come si erano strutturate le
relazioni e le strategie di azione. Il tutto si è concluso con una “sconfitta”,
di una sola battaglia e non dell’intera guerra, io non sono riuscito a
comunicare adeguatamente lo svelamento dei meccanismi di male che si erano
instaurati sotto a tutto, la madre da parte sua non riuscì a fare un passo
oltre i propri timori o almeno tentare di uscire dalla situazione invischiata
nella quale ora ci si trovava.
Quando ci si trova di fronte ad alcune situazioni di
difficoltà dei ragazzi ci viene da esclamare: “cosa ho fatto di male, dove ho
sbagliato!”; è già bello che ci si metta in discussione, occorre però mettere
in conto che a volte la risposta è semplice: non hai fatto niente di male e non
hai sbagliato niente. Quindi? Capita che certi comportamenti vengano assunti da
quegli ambiti sociali nei quali i giovani vivono, occorre sapere quali essi
siano e cercare di rimanere informati riguardo ad essi, almeno per capirli
anche se questo non in automatico ci porterà a comprendere gli adolescenti.
Il passo decisivo per maturare questa conoscenza è ascoltare
i ragazzi dopo che si è riusciti con il discorso ad entrare nel loro mondo. Lo
so che non è semplice, vi dico subito che non basta chiedere come sia andata a
scuola o all’allenamento, occorre conoscere le dinamiche che capitano nei
luoghi frequentati dai giovani e in base alla conoscenza che abbiamo del
ragazzo tirare fuori quelle che più possono stimolare; questo sforzo tanti
educatori non sono disposti a farlo, così si trova un alibi nel dire che gli
adolescenti parlano poco, quindi indirettamente scarichiamo la colpa di tutto
su di loro. Qua non ho tempo e spazio per approfondire il tutto, ma basterebbe essere
realmente interessati anche a cose che come adulti giudichiamo poco importi, ma
che per i ragazzi sono tutt’altro che banali: risvolti, posizione di un
piercing, un certo taglio di capelli, i brufoli e così via. Occorre veramente
cercare di capire, troppo spesso incontro gente che pensa già di saperla lunga
e si saltano le domande fondamentali; capita che un ragazzo beva troppo e io
già mi faccio i miei viaggi mentali dando interpretazioni al suo disagio
esistenziale, mentre occorre cominciare con il sedersi insieme, guardarsi in
faccia e chiedergli, non a interrogatorio, ma distribuendoli in un discorso:
perché bevi? Con chi lo fai? Ti piace? Ogni quanto?... Insomma occorre
veramente cercare prima di tutto di capire! Invece noi, come capitato alla madre
dell’esempio riportato sopra, consideriamo in partenza lo stato di adolescenza
come pericoloso. Per evitare di essere frainteso sottolineo chiaramente che
cercare di comprendere le loro ragioni non vuol dire dar loro ragione; fatto
quanto sopra suggerito rende anche il mio disaccordo con le posizioni assunte
da un ragazzo, come una opinione autorevole e avremo maggiori possibilità di
ascolto da parte loro quando daremo un consiglio sensato.
Altro passo è quello di dare l’adeguato riconoscimento alla
nuova famiglia nella quale vive un giovane e che si affianca a quella naturale,
parliamo del gruppo spontaneo di amici del quale, non esageriamo l’importanza,
definendolo come una vera famiglia sociale. All’interno di essa viene dettato
il nuovo codice morale di riferimento che si affianca o si sostituisce a quello
fino ad ora consegnato in altri contesti; non solo ma anche dal punto di vista
affettivo ricopre quel posto che da piccoli aveva la famiglia naturale, vi si
trova aiuto e consolazione. Mi permetto qua una piccola divagazione, questa
nuova famiglia sociale è molto influenzata dai modelli presentati dalla moda del
momento, molto esposta alla pubblicità e alle logiche messe in campo da esperti
di marketing, siamo noi mondo adulto responsabili di questo e non i ragazzi,
occorre che ce la prendiamo con le persone giuste e che questo mondo fatto da
noi si assuma una maggiore responsabilità educativa, anche perché poi
lamentarsi non servirà a niente.
Non accetto che certi mass-media spettacolarizzino in modo
acritico certi comportamenti, pubblicizzino certi modi di vivere, per poi
prendersela con le famiglie e con i ragazzi riferendosi alla situazione di
disagio dei giovani; è una cosa scorretta. Continuando a sostenere un vivere
dove sono importanti il successo, la bellezza e la visibilità, tutti obiettivi
non semplici da raggiungere, capita che i giovani sentano il bisogno di
essere aiutati da qualche sostanza e da
alcuni gesti o segni particolari. Volendo comunque correggere la direzione presa
da questa mia divagazione, credo sia da riconoscere una responsabilità che ci
vede tutti solidali nel determinare i comportamenti a rischio dei nostri
ragazzi: famiglia, scuola, sport, parrocchia, economia e mondo dello svago.
Quindi: invitate gli amici dei vostri figli a pranzo,
informatevi sui contesti e le dinamiche dei luoghi (reali e virtuali)
frequentati dai ragazzi, siate curiosi al punto giusto, riconoscete le ragioni
degli adolescenti senza che questo obblighi a dar loro ragione, cercate di dare
un “nome” e un perché alle difficoltà che si vivono, mettete in conto qualche
sconfitta ma non date la guerra per persa, prima di farvi viaggi mentali e
interpretazioni chiedete il perché di certi comportamenti visto che non lo
sapete, siate di pungolo e stimolo perché chiunque si occupa di giovani sia
attendo ad adottare uno stile educativo.
Entrò in una casa e di
nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i
suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti:
"È fuori di sé".
Giunsero sua madre e i
suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta
una folla, e gli dissero: "Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue
sorelle stanno fuori e ti cercano". Ma egli rispose loro: "Chi è mia
madre e chi sono i miei fratelli?". Girando lo sguardo su quelli che erano
seduti attorno a lui, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi
fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre". (Mc
3, 20-21.31-35)
Arriva il momento anche per Gesù di formare una nuova
famiglia, non più quella di appartenenza, ma quella radunata intorno a lui con
un progetto comune: fare la volontà di Dio. Ci sono delle ricerche capaci di
creare legami capaci di prendere il posto che fino ad allora era stato occupato
dalla famiglia di provenienza, di essere più forti addirittura di bisogni
essenziali quali la fame tanto è bello stare insieme.
Prezioso per noi educatori alla fede è aiutare i ragazzi ad
incontrare una comunità unita e riunita dalla volontà di mettere in pratica
l’insegnamento di Gesù. Come comunità cristiana che spesso si lamenta
dell’assenza dei più giovani al proprio interno, piuttosto che prendercela con
loro e con il mondo, occorre che facciamo una verifica su questo.
Un aspetto importante risulta la presenza di altri coetanei,
più numerosi sono meglio è, con i quali fare “folla” capace di far sentire a
casa e vincere quella solitudine che fin dalla Genesi, Dio stesso non vede come
buona per le persone.
Una folla che diventa famiglia, comunità, luogo in cui
crescere. Una identità creata non da mode passeggere, ma dal cercare di vivere
insieme la Parola. È una strada percorribile, occorre che ci crediamo e come
educatori abbiamo il coraggio di proporla ai nostri ragazzi.
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