Mi trovo all’inizio di un nuovo anno pastorale, riprendono
le attività, mi trovo da quest’anno in alcune parrocchie nuove. Riunisco
intorno a me i catechisti, ormai educatori, del gruppo che l’anno precedente ha
“fatto la Cresima”. Da tutti sorge la domanda: quanti saranno? Si sa che in
questo momento della vita dei nostri ragazzi, sono tante le domande che urgono,
tanti gli inviti che si accumulano nel cuore, alcuni di essi portano lontano o
da altre parti rispetto ai gruppi che si trovano in parrocchia. La stessa
Cresima segna la fine del cammino di iniziazione cristiana e richiederebbe un
nuovo inizio maggiormente consapevole nel rapporto con Dio, la cosa non è però
scontata e tante cose riguardo a questo argomento vengono rimesse in
discussione in una fede, non più basata su quello che altri mi dicevano di
crede, ma su quello che a fatica ora i ragazzi riescono a capire e
interiorizzare.
Tanti o pochi non importa, c’è sempre qualcuno da
raggiungere. Se saranno molti sarò contento, ma allo stesso modo dispiaciuto se
questo ci metterà nella condizione di essere talmente soddisfatti di non
accorgerci di chi manca, proprio loro che forse ne avevano più bisogno. Se
saranno pochi sarò contento lo stesso, la fede non è scontata né automatica,
c’è sempre da stupirsi anche per un solo ragazzo che mantiene aperto uno
spiraglio a Dio, ma sarò dispiaciuto se questo ci porterà a una qualche forma
di depressione pastorale, al ritirare i remi in barca, al concentrarci sui
pochi rimasti non vedendo i tanti assenti.
Ad altri educatori che accompagnavano gruppi già da anni, ho
chiesto di ricominciare le attività preoccupandosi di invitare anche coloro che
nei nostri discorsi chiamiamo “persi”. Essi infatti non sono tali, non lo sono
per Dio, non devono esserlo per noi, anche se di fatto sono impegnati in altri
luoghi con ricerche lontane da quelle percorse da noi.
Questa perseveranza vale la propria fatica, la parabola dei
figliol prodigo è vera; una educatrice una sera durante una pizzata mi diceva:
don vedi quei due ragazzi, sono nuovi. In realtà non erano nuovi, erano
semplicemente ritornati, il Vangelo a cui facevo sopra riferimento direbbe che
sono tornati in sé. Occorre non stancarsi nel rilanciare le proposte, nel
rimanere aperti a modi anche diversi di vivere il rapporto con il gruppo.
Nei vari gruppi che seguo, c’è anche chi dice di lasciare
perdere, triste sono uscito da incontri con educatori che mi comunicavano che
uno piuttosto che un altro era meglio che non venisse, altri che non valeva la
pena spendere soldi per loro, infine mi si invitava ad essere più realista… se
è così, io scelgo di rimanere sognatore e lo spero per tutti coloro che si
impegnano nell’educazione. Non è però fantasia, non è illusione, è la speranza
che della quale si nutre chi mette il Vangelo alla base della propria vita; che
trova in esso la fonte e il modo di intraprendere percorsi nuovi rispetto a come
il mondo vuole farti piegare.
Diceva anche questa
parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a
cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre
anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo
dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone,
lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il
concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”»
(Lc
13, 6-9).
Quanto tempo impiegato negli anni di catechismo a insegnare
delle cose, quanti inviti a partecipare alla messa della domenica, quante ore
sacrificate ad altre cose e ora i ragazzi non vengono più: lasciamo perdere? È
la tentazione del tale di cui si parla nel brano appena riportato, tutto è
stato piantato per bene, ma i frutti mancano. È stato paziente, ha sopportato
per tre anni il tutto, ma la misura sembra ormai colma. A tutto c’è un limite!
Arriva la sentenza: togliamolo di mezzo. Perché occuparsi ancora di lui, perché
usare energie che potremmo usare per fare altro di utile?
Beato il servo che interviene, forse pazzo per qualcuno,
chiede un'altra possibilità, per ottenerla promette il proprio impegno nel
prendersi cura di lui come non farebbe per tutte le altre piante a lui
affidate.
Un anno in più, sarà abbastanza? Non importa. Io già lo vedo
quel servitore del Vangelo, l’anno seguente, se le cose dovessero andare male, insistere
per un'altra ulteriore occasione. Di anno in anno senza stancarsi.
Tutta questa è anche la parabola per noi che siamo impegnati
nell’educazione delle nuove generazioni. Darsi da fare invitando i profeti di
sventura, che non mancano quando si parla di giovani, a un nuovo modo di vedere
le cose, a una attesa che può realmente essere efficace. Nel continuare a
prendersi cura, nel confidare nella possibilità di tutti di dare frutto secondo
i propri tempi e i propri cammini. Beati noi impegnati nel campo della vita dei
nostri ragazzi, non a cambiarla, ma a renderla più gustosa, cercando il
nutrimento specifico di cui ciascuno ha bisogno.
Io sogno, e intravvedo, il giorno nel quale gioirò nel gustare il frutto buono ormai giunto a maturità, quella di una vita cresciuta e ora pronta a spendersi. E se non sarò io ad assaporarlo, gioisco per quanti potranno farlo, sperando trovino in esso la forza di continuare, di anno in anno senza stancarsi.
Io sogno, e intravvedo, il giorno nel quale gioirò nel gustare il frutto buono ormai giunto a maturità, quella di una vita cresciuta e ora pronta a spendersi. E se non sarò io ad assaporarlo, gioisco per quanti potranno farlo, sperando trovino in esso la forza di continuare, di anno in anno senza stancarsi.
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