martedì 29 settembre 2015

Educatori rimorchi o motrici?

Durante un incontro di educatori in oratorio, venne presentato un progetto che avrebbe dovuto coinvolgere i ragazzi trasversalmente, indipendentemente dai gruppi di appartenenza. Necessario era il ruolo degli educatori per accompagnare la cosa, pertanto prima di procedere ci cercò di verificare la loro disponibilità. Il tutto risultò interessante per verificare se la proposta fatta venisse portata avanti e sentita come propria anche se non rivolta solo ai propri ragazzi; in gioco c'era la capacità del gruppo educatori si sentirsi tale e di percepire il proprio servizio, se pur rivolto a gruppi specifici, come parte di una famiglia più grande che era la parrocchia.
Da parte dei più emerse una risposta fraintendibile che suonava così: ci stiamo  nella misura in cui ci stanno i nostri ragazzi. La cosa contiene sicuramente uno stimolo positivo perché fa emergere subito la disponibilità e il desiderio di accompagnare i propri ragazzi stando lì dove decidono di andare, di mettersi in ascolto di quanto desiderano facendosene carico; nonostante questo la cosa pur essendo bella non sembrava pienamente soddisfacente.
Come fece notare una tra le educatrici più esperte, il tutto avrebbe dovuto funzionare all’opposto: sono i ragazzi che ci stanno nella misura in cui vedono gli educatori starci. Sicuramente l'intervento era opportuno per rendere chiaro il servizio al quale siamo chiamati.
Entrambi gli aspetti sono rilevanti, ma quanto si opponeva nel confronto fra questi due modi di adesione diversi, era il ricavare chi fosse il motore e l’incoraggiatore delle attività: nel primo caso i ragazzi, nel secondo gli educatori. Non solo, ma viene fuori anche un modo diverso di porsi nei confronti dei giovani: il primo pone le figure guida un po’ come rimorchi, nel secondo sono le motrici.
Non sto dicendo che sia necessario un atteggiamento impositivo e impostato sull’autorità di uno che decide e gli altri che eseguono, si tratta di saper coinvolgere dando ragione di quanto chiesto e chiedendo anche ai ragazzi un anticipo di fiducia, non cieca, ma fondata anche sul fidarsi di chi guida.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta". Gesù disse loro: "Voi stessi date loro da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". Cerano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: "Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa". Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. (Lc 9,12-17)
Emerge un bisogno che richiede una presa di posizione. In gioco c’è la salute e il benessere delle persone che in quel momento erano lì in compagnia di Gesù e dei suoi apostoli. Mi sembra di vederla questa folla, nei tanti giovani che frequentano le tante attività loro proposte; fino dove arriva il nostro compito di educatori? Fino al suono della campanella? Alla fine dell’allenamento? Con il canto finale della Messa?
Gli apostoli non sono cattivi, sono stanchi e rientrati da poco dalla missione che Gesù aveva loro affidato, ce l’hanno messa tutta, sono stati bravi; a loro viene normale affrontare la situazione di bisogno che si trovano davanti suggerendo una risposta umanamente comprensibile, non lontana da tanti nostri atteggiamenti: lasciare che la gente si arrangi. Succede tutte le volte nelle quali salta la rete educativa del territorio, quando ognuno fa i fatti propri dimenticandosi di un orizzonte più ampio dove i ragazzi non sono solo miei, ma inserirti in una vita più ampia.
Gesù interviene, indica una direzione diversa che disorienta gli apostoli, pone un orizzonte nuovo di azione. I dodici stavano cercando di farsi da parte, Gesù li richiama al centro per farsi carico della cosa. Serve anche a noi che ci venga ricordato, che l’opera educativa non può avere sempre orari rigidi, non può limitarsi a gruppi chiusi e ristretti; siamo spronati a farci carico di quanto accade al di là del previsto. Non possiamo dire ai nostri ragazzi che si arrangino, Gesù ci invita a dare del gas, non a frenare.
Non che il tutto sia semplice, hanno motivi oggettivi e personale validi questi dodici per essere in difficoltà. Hanno poco se non niente. Qualcosa però comincia muoversi, qualcuno propone di andare a cercare da mangiare anche a costo di comprare il necessario. Non è poco visto che la disponibilità a mettere mano al portafoglio, è un segno di maturità nel condividere con gli altri. Ma non basta perché ancora non è chiara la cosa, non si sentono coinvolti in prima persona, sperano di risolvere il problema con un aiuto che viene dal di fuori.
Gesù vede che ora sono carichi e disponibili, interviene lui per superare quel limite che da soli li frenava nel loro donarsi completamente. Il maestro fa la sua parte, ma sempre coinvolgendo i dodici. Loro diventano i volti e le mani di quella provvidenza che si realizza in una moltiplicazione, nata dalla condivisione di chi ha saputo esser parte attiva di un progetto di salvezza, che ci chiama a essere a volte promotori e altre collaboratori preziosi, ma mai ruote di scorta.

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