martedì 22 settembre 2015

Perdonare, che fatica

Un giorno mi è capitato di incontrare una ragazza che non viveva momenti facili in famiglia, scoprii poi che era una cosa che si trascinava ormai da anni e non coinvolgeva solo lei. Rimproverava alla madre scelte sbagliate e uno stile di vita di cattivo esempio nel quale cercava di coinvolgere le proprie figlie. Questa ragazza desiderava in modo forte, e le mancava, un punto di riferimento in sua madre, ma ormai ci aveva mollato. La convivenza era diventata impossibile, non si rivolgevano più la parola e faceva di tutto per stare fuori di casa, diceva di aspettare i diciotto anni per potersene andare. Ripeteva: non posso perdonare mia madre, ho provato a farlo ma non ce l’ho fatta.
Mi è già capitato di scrivere su temi simili. Il desiderio di riprendere in mano la questione è dovuto al fatto di incontrare sempre più ragazzi buoni, ma che sperimentano la fatica di perdonare. Nasce in loro una sorta di rancore nascosto che cova dentro, che a volte si scatena in gesti eclatanti che scandalizzano l’opinione pubblica, ma che anche se dovessero restare dentro rovinano la gioia e la bellezza che è propria della loro età.
Perdonare non è facile, non si tratta di far finta di niente, ma di fare pace con chi mi ha fatto del male. Non è una cosa spontanea, è proprio una cosa da Dio il perdonare; ad essa siamo chiamati anche noi, è una cosa che ci appartiene nel nostro essere immagine e somiglianza di Dio, ma troppo spesso essa è nascosta dal nemico per eccellenza che come nel racconto di Genesi vuole fare di una menzogna la verità.  È la voce che risuona dentro e che spinge a rispondere al male con il male, nella storia si è provato a metterci un freno ricorrendo alla “legge del taglione” che dice “occhio per occhio, dente per dente”, aveva il compito di frenare l’escalation di violenza, ma c’è voluto Gesù per riportare in luce l’unica verità capace di vincere il male: l’amore. Non voglio però fare troppa poesia intorno a questo argomento, esso infatti chiama in causa tutta la nostra esistenza.
Credo che di fronte alla proposta alta fatta da Gesù di amare il nemico, occorra chiarire un aspetto che spesso è fonte di confusione nei nostri ragazzi. Chi decide di incamminarsi nella via suggerita dal maestro, non è uno che finge di non vedere l’ingiustizia che regna nel mondo e accanto a sé, non è l’apatia di fronte alle violenze e ai soprusi nei confronti dei quali come cristiani abbiamo il dovere di lottare. Si tratta di aiutare ogni giovane a confrontarsi con quanto agita in noi il male che ci viene fatto, aiutare a dare un nome ai pensieri e alle passioni che emergono (sant’Ignazio direbbe agli spiriti), fatto questo valutare il tutto. Solo da questo processo può emergere una giusta decisione, il ché non significa che sempre capiterà di scegliere il perdono, potrebbe maturare la scelta di una chiusura con il desiderio di far giustizia con le proprie mani. Questa scelta finale, non spetta a noi educatori, spetta al ragazzo in una libertà che spesso può darci anche fastidio, rimane comunque l’occasione di agire su tutto il processo per arrivare alla decisione.
Qualcuno potrebbe chiedersi cosa centra Dio nelle dispute che posso nascere tra amici o sposi, cosa ci azzecca con questi fatti miei. Eppure tante volte, in tante vite, in tanti momenti storici, proprio il male e la violenza hanno reso ancora più necessaria la ricerca che si compie in una domanda: chi sei Dio, dove sei quando i tuoi figli soffrono e da che parte stai?
Non solo questa cosa pone la questione di Dio al centro, ma anche io vi sono posto in mezzo, le azioni e le decisioni prese mi devono far interrogare riguardo a chi sono io, cosa è per me la felicità.
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". (Lc 19,1-10)
Zaccheo non solo sta con i romani, che sono nemici, ma approfitta del suo potere per rubare, la gente non tace nel dirglielo anche in faccia che è un diavolo di uomo, l’unico ritegno che potevano avere era motivato dall’attenzione a non esagerare con uno che aveva così tanto potere. Aveva tanti nemici quanti soldi, qualcuno glieli invidiava e nel rimproverarlo avrebbe desiderato di essere al suo posto.
Gesù vede Zaccheo e gli sorride, poi invece di rimproverargli tutto il male che fa, invece di dargli buoni consigli e una giusta morale per la sua condotta di vita, si autoinvita a casa sua, così Gesù salta oltre tutto il muro di invidia e pensieri cattivi che avevano isolato Zaccheo dagli altri. Nessuna condizione, nessun rimprovero, nessuna predica; è proprio questo che restituisce la dignità che quest’uomo aveva perso in tanti anni di vita passati nel male e a fare il male.
Zaccheo se lo chiede il perché lo tratti così, perché non lo insulti, si sente preso alla sprovvista ma coglie una cosa e capisce che se non cambia vita tutto quello che sta accadendo rischia di essere inutile. Così capita una cosa pazzesca, il male si trasforma in bene, una pazzia per il mondo che non fa altro che brontolare di fronte a chi vuole cambiare l’ordine costituito perché chi fa il male deve essere punito, mentre ora c’è salvezza per Zaccheo uomo nuovo prima perduto ora ritrovato.
Di fronte al male occorre intervenire ma dipende come. Zaccheo si aspettava da Gesù tanti rimproveri; quanti ragazzi ripresi da noi e scoperti a fare il male affrontano in questo modo il confronto con gli adulti sapendo che saranno destinatari della solita predica dalla quale ormai hanno imparato a difendersi anticipandone tutti i contenuti; quando non riescono a farlo si limitano, tacendo, a continuare per la propria strada.
Le cose sono diverse se girano in modo nuovo come fa Gesù. Il rimprovero è sostituito dal desiderio di capire e di accogliere, di conoscere quella casa dove tanti affari loschi si sono consumati. Facendo questo Gesù non vuole nascondere il male fatto, ma restituire dignità a Zaccheo, perché solo chi è consapevole e responsabile del proprio cammino di felicità può essere capace di cambiare dal male al bene.
La cosa può essere pericolosa, quanti potrebbero fregarci approfittando della nostra buona fede, ma anche Gesù ha accettato il rischio, Zaccheo avrebbe potuto anche far valere il tutto come una approvazione da parte del Maestro al suo operato.
Ma perché arrivare ad amare e non accontentarsi “semplicemente” di perdonare? Il senso sta nel non accontentarsi del meno quando si può avere il meglio. Zaccheo non si accontenta di ridare i soldi a chi ha fregato, usa una dose maggiore di generosità con loro.
Perché tu ragazzo ti devi accontentare di perdonare quando invece puoi amare? Occorre che questa esigente domanda venga posta. Ma chi me lo fa fare? Nessuno! Il tutto nasce dallo sperimentare un perdono capace di amore, l’amore è esigente e capace di esagerare nel bene se giustamente aiutato. Dal dilatarsi del perdono amante di Gesù si dilata la risposta nella mia vita secondo un criterio di abbondanza esagerata.

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