“Ciao don, non
sappiamo cosa fare con i nostri ragazzi quest’anno, non sappiamo se tenere un
approccio molto umano ma forse poco cristiano come annuncio diretto, oppure
fare una proposta forte sulla Parola ma rischiando che non sia capita ed
allontanare qualcuno”.
Questi ed altri confronti simili capitano spesso mentre si
incontrano gli educatori di gruppi giovanili presi tra il desiderio bello di
parlare di Dio e la fatica di farlo sia personalmente che a ragazzi non sempre
entusiasti della cosa. Credo al riguardo opportuno riprendere la differenza, di
cui parlava già Paola Bignardi [1], tra
educazione alla fede ed educazione della fede; non si tratta di un gioco di
parole ma ci avvicina a una questione centrale nel campo educativo dei giovani,
io per primo in tanti mie interventi non sono così attento nell’uso delle
parole secondo la differenziazione indicata, qua decido di esserlo per
chiarezza, poi comprendo come non sempre nei confronti quotidiani la cosa debba
essere così definita, anche alla luce delle diverse sfaccettature dell’universo
giovanile.
La prima dimensione, quella dell’educazione alla fede, considera
il discorso intorno ad essa come qualcosa per niente scontato, non la dà per
assodata né per scelta fatta, richiede un approccio capace di educarla (tirarla
fuori) e formarla, il cammino è considerato come iniziatico e sarà indirizzato partendo
principalmente dalla ricerca di senso dell’uomo nel suo incontro possibile con
Dio come risposta alle domande centrali dell’esistenza. La seconda dimensione,
quella dell’educazione della fede, la considera invece come ormai inizialmente
e germinalmente scelta così che il tutto si inquadra come un accompagnamento di
quanti hanno già detto un primo sì a Dio “compromettendosi”, ed ora sono
impegnati giorno dopo giorno nella crescita del loro discepolato confrontandosi
con le gioie e le fatiche che questo comporta. Sono due dimensioni di fatto una
consecutiva dell’altra: aiutare i giovani a dire il proprio sì a Dio per poi
accompagnarli a una maturazione continua di questa risposta.
Credo sia importante che chi si impegna nel campo
dell’educazione in un’ottica cristiana cerchi di capire a che punto si trovano
coloro che è chiamato ad aiutare a crescere, la cosa non è per niente semplice,
partendo dal presupposto che giudicare la fede non si può occorre limitarsi a
prendere nota della posizione assunta dai ragazzi nei confronti di essa, finche
si tratta di un cammino singolo la cosa diventa più chiara non altrettanto in gruppo
quanto posso esserci situazioni molto diverse tra di loro. Pur nella difficoltà
credo che la fatica vada fatta, ad essa consegue una scelta di impostazione
coerente con le conseguenze di cui parlavo più sopra e che portano a darsi
contenuti e obiettivi diversi.
Nel Vangelo troviamo un incontro tra Gesù e un uomo che da
lì in poi cambierà vita, e che può narrare del cammino di cui ho cercato di
parlare fino a qua. Entrò nella città di
Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei
pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa
della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire
a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul
luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché
oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di
gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un
peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore,
io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno,
restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa
casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio
dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". (Lc
9,1-10)
Questo racconto mostra una sintesi del cammino di fede di
Zaccheo, egli diventa quasi una icona che ci mostra come il discorso intorno
alla fede porta sì a incontrare in Gesù la risposta a quanto cercavamo, ma
anche una rottura nelle abitudini della vita, così da presentarsi come un
qualcosa di controcorrente e contemporaneamente
possibile da seguire. Zaccheo ha passato la propria vita a gestire
soldi, intascandosene più del dovuto, dando ad essi più importanza rispetto a
quello che la gente pensava di lui, in tutto questo scatta qualcosa che lo
porta a desiderare di avvicinarsi a Gesù se pur mantenendone una certa
distanza. L’incontro avviene e Zaccheo decide di accogliere la proposta di
Gesù, scende dall’albero e gli apre le porte di casa sua. Non è da
sottovalutare tutta la corsa, la ricerca, la fatica, l’esporsi di questo primo
momento che porta in superficie tutte le domande che ha dentro e che in parte
emergeranno poi nel resto del brano. Il tutto si sposta in casa sua e mostra
come l’incontro e il sì detto poco prima lo portano ora come conseguenza quasi
naturale a cambiare il proprio stile di vita, non solo a parole ma visibilmente
a tutti, in particolare a quelli ai quali ha fatto più del male. Una volta che
la fede è scelta essa cambia la vita, se non è così significa che non c’è
ancora stato il passaggio decisivo e siamo ancora in un cammino di educazione
alla fede e non della fede.
Cosa fare? Potrebbe essere interessante riprendere in mano i
Vangeli soffermandosi sugli incontri vissuti da Gesù con la gente, analizzarne
le dinamiche nelle diverse prese di posizione di chi accoglie, rifiuta o non
prende posizione nei confronti di Gesù e di quello che conseguentemente lui dice
e dei gesti che compie. Tra tutti vale sicuramente la fatica di soffermarsi
sulla crescita vissuta dai discepoli, dalla prima chiamata fino alla prova
della persecuzione, passando in mezzo alla conoscenza di lui, alla difficoltà,
al confronto tra la sequela scelta con i sogni in progetto.
[1] P.
Bignardi, La questione dell'educazione alla/della fede, http://www.notedipastoralegiovanile.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6838:la-questione-delleducazione-alladella-fede&catid=112:educazione-dei-giovani-alla-fede&Itemid=167,
agg. 09 Maggio 2014.
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