martedì 25 settembre 2018

La relazione con il ragazzo in BP

Baden Powell, chiamato BP dai sui figli spirituali, è da tutti riconosciuto come il fondatore del vasto movimento scautistico. Vissuto nella seconda metà del diciannovesimo secolo ha lasciato un forte impulso all’educazione delle giovani generazioni. 
Nelle sue parole troviamo la fonte da cui tutto è partito, un movimento che poi è cresciuto in tempi e luoghi molto diversi tra loro, cercando di incarnare nel meglio possibile, anche secondo proprie specificità, un metodo per accompagnare i ragazzi nel cammino della loro crescita.
In Italia sono tre le principali associazioni che cercano di incarnare oggi nella nostra nazione il cammino scout perché possa essere un itinerario possibile per i ragazzi d’oggi. Senza dimenticarmi del tempo passato, il mio desiderio ora è quello di ritornare il più possibile vicino al modello iniziale di BP, alle sue parole, alle intuizioni che credo oggi ancora tanto profetiche e a volte dimenticate da quanti continuano oggi la sua opera.
Per evitare di riempire il testo di note a piè pagina con il riferimento delle diverse citazioni, mi prendo la libertà di riportare in maniera diretta le parole di BP con la sola attenzione di metterle in corsivo, rielaborando il resto secondo il mio pensiero che mi auguro possa rimanere più vicino possibile a quello di chi considero innanzitutto per me un vero maestro.
All’inizio di tutto c’è la conoscenza del ragazzo, di quanto vive non solo durante la sua vita in nostra compagnia, ma delle tante esigenze che maturano, è solo conoscendo l’ambiente in cui vive al di fuori dell’attività scout che si può sapere che lavoro fare su di lui. È un passo centrale per poter adattare la proposta educativa che di per sé non funziona se applicata in generale, ma solo se calata nella vita concreta di qualcuno. Per arrivare a far questo è importante che l’educatore faccia ricorso anche all’aiuto che può venire dalle scienze umane, il che non può però sostituire la conoscenza diretta del ragazzo, questa è una delle cose che principalmente deve occuparci tempo. È quindi importante sapere qualcosa sui ragazzi in genere, e poi sul vostro ragazzo in particolare, senza scandalizzarsi troppo di quanto emerge così da osservare con un atteggiamento di simpatia ogni dettaglio del temperamento del ragazzo. Può capitare che la cosa a volte ci lasci perplessi o ci prenda contropiede, del resto i ragazzi obbediscono al loro codice particolare, per quanto esso sia completamente differente da quello che vien loro insegnato in casa e a scuola. Capita quindi di organizzare tante cose secondo propri criteri e non è facile nel momento dell’incontro accogliere che quanto abbiamo pensato possa non corrispondere a quello di cui c’era bisogno, del resto il codice dei ragazzi è diametralmente opposto: raccomanda rumore, il rischio, il movimento.
Il rapporto con l’educatore, anche quando adulto o anziano, è letto nella logica di sapersi rapportare come un fratello maggiore, intendendo con questo una persona che sappia mettersi su un piano di cameratismo con i suoi ragazzi, entrando egli stesso nei loro giochi e nelle loro risate, conquistandosi con ciò la loro confidenza e mettendosi in quella posizione che è essenziale per insegnare, cioè conducendoli, con il proprio esempio nella giusta direzione.
Per evitare una deviazione che può portarci a fare progetti astratti, molto belli per noi, ma con il rischio che siano lontani dalla vita, occorre considerare il ragazzo come protagonista della stessa progettazione e non chiamarlo in causa nella sola esecuzione. Quando siete incerti circa il modo migliore per trattare col ragazzo ai fini della sua formazione, risparmierete tempo e preoccupazioni se consulterete la migliore autorità sull’argomento, ossia il ragazzo stesso. Capita a volte di passare tanto tempo a pensare cosa fare, a confrontarci in diversi luoghi e incontri, girando su internet a cercare l’ultima attività uscita così che ci dimentichiamo che l’ascolto è il mezzo con cui si procura gran parte delle informazioni sulle mosse del nemico, allo stesso modo occorre fare con i ragazzi. Non sempre si potrà accontentare tutti e fare solo quello che loro vogliono, sembra una cosa scontata ma è importante scoprire, ascoltandoli o interrogandoli, quali sono le attività che li interessano di più, e poi vedete in che misura potete metterle in pratica.
Di certo quello da evitare è gestire il tutto come se fosse una qualche forma di corso che prevede il metodo classico usato dall’istruzione scolastica, che spesso si limita nel dare solo nozioni al ragazzo. I principali sistemi di formazione sono due: tramite l’educazione cioè il ‘tirar fuori’ le qualità di ogni singolo e il dargli l’ambizione e l’entusiasmo di imparare da sé; tramite l’istruzione, ossia imprimendo e inculcando nozioni nel ragazzo.
Egli è considerato parte attiva del processo educativo, addirittura il protagonista del tutto così dal maturare una vera autoeducazione. Uso il termine “educare”, anziché “insegnare”, per mettere in rilievo che dobbiamo ispirare ogni singolo ragazzo a sviluppare da sé quelle proprie qualità, invece di limitarci ad imporgli un’istruzione esterna.
Per rendere possibile questo, occorre avere tanta fiducia nelle forze del ragazzo, non avendo paura di responsabilizzarlo anche là dove i nostri timori ci fanno dubitare che possa farcela da solo. Da questo sguardo positivo sulla vita emerge la consapevolezza che anche nel peggior carattere c’è il 5% di buono. Il gioco consiste nel trovarlo e quindi nello svilupparlo fino ad una proporzione dell’80 o 90%. Non è un atteggiamento buonista che vuole chiudere gli occhi sui problemi che ci sono, ma un impegno: vedere il peggio, ma guardare al meglio. Certo questo chiede di assumersi anche dei rischi, inoltre prevede l’accettare di non aver davanti un ragazzo perfetto e comprendere che anche lo sbagliare, sentendone le conseguenze sulla propria vita, può essere un evento di crescita. Lasciatelo fare a modo suo, lasciate che prenda delle cantonate, se è il caso, ma in tutti i modi lasciatelo solo e fate affidamento su di lui perché faccia del suo meglio. La fiducia deve essere la base di tutta la nostra formazione morale.
Ora poniamo un attimo l’attenzione su di noi, su chi si trova a ricoprire il ruolo di educatore, dopo aver fatto tante esperienze, aver studiato un po’ di cose sul metodo, esserci passati in prima persona, con la tentazione di essere un po’ a posto, di poterci permettere di fare bei discorsi quando invece anche la nostra vita è chiamata in gioco nel rapporto educativo, se ci riflettiamo ci riempie di terrore quando pensiamo a quanto male o a quanto bene possiamo fare ai ragazzi con l’esempio che diamo loro. Forse non abbiamo sufficiente consapevolezza di come il nostro modo di vivere possa diventare un modello di riferimento per i nostri ragazzi al di là di tante parole e proclami, del resto è normale che nella loro crescita scelgano di volta in volta persone da prendere come riferimento. Questo può essere usato anche a vantaggio della relazione educativa, infatti quando il ragazzo scopre che qualcuno s’interessa di lui, gli risponde seguendolo ovunque lo conduca; ecco dove il “culto dell’eroe” di cui abbiamo parlato s’inserisce come una grande forza in aiuto dal capo.
I più giovani ha bisogno di avere adulti nei quali riporre la propria fiducia, figure del genere oggi stanno scarseggiando, quindi a conclusione di questa sintetica riflessione mi sento di poter rilanciare a noi tutti alcune domande un po’ come verifica del nostro essere o meno vicini al modo di agire di BP.
M’impegno per riuscire ad ascoltare ed entrare in contatto con gli alti e bassi, a volte nascosti, che riempiono la vita dei miei ragazzi? Riesco a controllarmi così da non far troppo emergere le difficoltà propri di chiunque ha a che fare con le nuove generazioni e in particolare quelle allegate al mio carattere? Riusciamo a dare valore a tutto il tempo passato con i ragazzi senza preoccuparci di non voler perdere tempo? Il mondo dei ragazzi, quello vero, ci interessa così da avere uno sguardo particolare su ciascuno e non solo generale sul gruppo? Prendiamo sul serio ogni ragazzo, cerchiamo di comprendere le vere, autentiche e profonde esigenze, tentiamo di penetrare le sue aspirazioni, i suoi desideri, i suoi sogni? Siamo capaci di fare silenzio per ascoltare di più il silenzio dei ragazzi, la loro voce spesso così timida, lasciando spazio perché possano esprimere ciò che hanno da dire? Sappiamo rispettare il mistero, l’imprevedibile crescita non del tutto programmabile? Siamo capaci di meravigliarci, di provare stupore di fronte al progresso del ragazzo?

Nessun commento:

Posta un commento