lunedì 24 aprile 2017

Non sono una tragedia

Mi capita spesso di parlare della realtà del mondo giovanile, non manca una volta che ci sia qualcuno che si lamenti del fatto che in passato le cose andavano meglio mentre oggi sono più complicate. Ammetto che oggi, come adulti, incontriamo delle difficoltà nel confronto con il mondo dei più giovani, ma dico anche che ogni epoca ha avuto le proprie, è che ce ne dimentichiamo.
Così capitò che tremila anni fa un autore di una incisione, si lamentò a tal punto da tramandare come viveva in modo provante il proprio rapporto con i giovani e scriveva: questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore, non sarà mai come quella di una volta. Facendo qualche passo avanti nella storia, incontriamo un sacerdote egizio che in un momento d’ispirazione scrisse: il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico, i ragazzi non ascoltano più i loro genitori. Forse erano entrambi genitori esasperati con la luna storta, allora prendiamo Socrate, sicuramente più conosciuto e degno di fiducia che trattò della cosa riportando: la nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani, i ragazzi d’oggi sono tiranni. Passando a un altro sapiente che ha segnato secoli di pensiero, venendo tuttora studiano, possiamo ascoltare Platone: i figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori, il professore ha paura degli allievi, gli allievi insultano i professori, i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani, gli anziani per non apparire retrogradi o dispotici acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell'uguaglianza, si reclama la libertà dei sessi.
Per venire un po’ più verso i giorni nostri, come non ricordare un classico della letteratura e del teatro che narra il dramma di vita dell’adolescenza, la tragedia scritta da Shakespeare: Romeo e Giulietta. Una storia di amori giovanile contrastati dai genitori e che nonostante questo continua a crescere per finire in modo drammatico con la morte di entrambi. Un Romeo subito innamorato di un’altra, poi si “imbuca” a una festa e scatta la scintilla per Giulietta. Nasce tutto il conflitto con le famiglie di provenienza fino ad arrivare a maturare un certo “fascino” per la morte tragica come ultimo grido d’amore. Alle spalle una schiera di genitori e famigliari che sembrano essere incapaci di entrare in empatia mettendo da parte sé stessi per far fiorire i propri ragazzi. È chiaramente una lettura parziale che forse va oltre le intenzioni del lettore, ma credo mostri, insieme a quanto detto prima, che certi comportamenti sono tipici dei giovani di ogni epoca.
Tornando ai giorni nostri, credo che occorra impegnarsi per superare certi pregiudizi e un senso di alienazione che viene a volte nel lavoro che facciamo accanto agli adolescenti. Solo così ci si rende conte che è possibile costruire un rapporto bello e reciprocamente arricchente. Forse il tutto capita anche perché non partiamo da un presupposto: lavorare i ragazzi spesso è una lotta, o un gioco, nel quale difficilmente si è nella squadra di chi vince. La cosa non è poi così tremenda, chiunque abbia un po’ di esperienza accanto ai giovani sa bene che vale ugualmente la pena di affrontare tutte le sfide che ne conseguono, grazie alla grande energia che gli adolescenti dimostrano nel riuscire a cambiare se stessi e il mondo che li circonda.
Sì a volte le cose non vanno come dovrebbero, ma questo non vuol dire dall’altra parte che siamo noi adulti una tragedia. Lo status di educatore in realtà non è tale, cioè non è qualcosa nel quale si può entrare perché semplicemente nominati o perché ci si trova dentro per eventi esterni, così come non è una dimensione che non si può mettere e toglie a seconda delle circostanze quasi fosse un interruttore della luce. Quella che si crea è una relazione educante con l’altro che fa di me non uno qualsiasi, il ragazzo scopre e accetta di avere bisogno di me così come io di lui, fuori da una relazione non c’è l’essenza propria dell’educatore. Così, se pur ci siano dei percorsi di studio che te ne possono attribuire il titolo, o impieghi che contrattualmente ti stabiliscono come tale, esso non è né un lavoro né puramente un sapere scientifico, esso vivrà sempre di una certa forma di relazione reciproco che è una necessità di vita. Proprio per questo rappresenta un futuro nel quale investire le proprie energie di adulti, in quanto, diversamente da altri campi, non potrà mai essere sostituito dalla presenza di processi automatizzati né impostato solo su luoghi o rapporti virtuali.


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