In una delle parrocchie nelle quali ho passato i primi anni
del mio ministero, era presente un oratorio che funzionava regolarmente tutti i
giorni, la frequentazioni di tanti ragazzi non era regolare, molti infatti
avevano da studiare o da portare avanti attività sportive che occupavano in
parte o tutto il pomeriggio. C’era però un gruppo di “habitué” che non mancava
mai davanti al portone ad attendere l’apertura e che erano spesso gli ultimi a
mettere fuori il proprio piede alla chiusura; essi fanno fano parte di una nuova
categoria sociale coniata apposta, quella dei “NEET” un acronimo derivante
dall’inglese che identifica quei ragazzi che non studiano, non lavorano e non
sono impegnati in nessuna altra attività (not engaged in education, employment
or training). Si trattava di giovani di diverse provenienze riguardo cultura,
usi e famiglie di origine, accomunati da questa situazione statica che li
vedeva o a letto o in giro, non ancora capaci o volenterosi nel decidere cosa
fare della propria vita, il tutto a volte camuffato dietro apparenti ricerche
di lavoro nelle quali non mettevano troppa energia.
Questa definizione attribuita a una parte del mondo giovanile
risulta tanto chiara quanto svalutativa, si tratta di una condizione che si
realizza per sottrazione: i giovani che dovrebbero impegnarsi ed essere
coinvolti nel costruire un mondo, vengono invece da questa categoria quasi come
etichettati in “negativo” togliendo speranze allo sguardo su di loro. Viene
così mostrata più la mancanza di contributo da parte dei giovani alla
formazione della ricchezza prodotta che non un invito propositivo ad impegnarsi
per essa.
Per questo la mia volontà non è quella di rinchiuderli dentro
a stereotipi per prendermela con loro, il tutto non vuole essere inteso in
senso negativo, ma come analisi di una nuova sfida che si pone a quanti sono
impegnati nell’educazione delle giovani generazione, perché si riesca a mettere
in campo le enormi energie da loro non sempre ben indirizzate.
L’attenzione a questo fenomeno non ha risvolti solo in
ambito di politiche giovanile per aumentare l’agio di certe situazioni, ma riguarda
il benessere della società di cui fanno parte e che non può godere delle
potenzialità da loro possedute.
In questi anni di oratorio ho avuto anche la fortuna di
accompagnare alcuni nell’uscita da questa condizione di marginalità, con un
immediato fiorire della loro vita e dei progetti per il futuro. Infatti se
prima il loro ambito di vita era caratterizzato da divano, letto e frigorifero,
ora erano entusiasti di averlo abbandonato superando così una condizione di
pigrizia che era stata capace di dare soddisfazione solo all’inizio del suo comparire
per poi lasciare spazio a un generico senso di fallimento. Ho visto così
ragazzi capaci di riprendere in mano la vita e chiedersi nuovamente come
spenderla tirando fuori il meglio di sé. Attraverso una maggiore sicurezza nata
dalla speranza in futuro che assumeva un colore diverso, sono passati
dall’essere vittime di un sistema che rischia di marginalizzare, a fautori di
vita per sé e gli altri.
Quella dei NEET non è quindi un problema dei giovani di
oggi, ma una questione che chiama in causa il mondo adulto e le decisioni che
mette in campo nei diversi circuiti (lavoro, studio, tempo libero,
volontariato) per agevolare lo sviluppo della società attraverso
l’accompagnamento della crescita dei ragazzi. La presenza dei NEET interroga
noi e il nostro paese riguardo le scelte politiche in ottica di welfare.
Un campo che, non dovrebbe essere solo istruttivo ma anche
educativo, centrale per la questione trattata è il mondo della scuola, in
particolare con la necessità di rivedere la formazione professionale che al
giorno d’oggi non mantiene una buona fama, mentre potrebbe essere adatta ad
orientarsi più che sullo studio ad una spendibilità più immediata di quanto
appreso sperimentando e facendosi conoscere anche attraverso stage che
permetterebbero al futuro datore di lavoro di cogliere qualità “non
accademiche” dei giovani in vista di un futuro impegno.
In campo è chiamata anche una conversione a livello di
mentalità diffusa che tende a valorizzare maggiormente, dandoci precedenza per
la scelta, a una più classica nei modi di essere condotta rispetto ad altre
novità inseribili.
In ogni caso risulta utile programmare all’interno del
percorso di studio e dopo la sua fine, anche per la formazione tecnica e in
alcuni corsi anche liceali, esperienze lavorative viste come reale sostegno
alla crescita del ragazzo e non solo come “parcheggio” in attesa che passi
l’età dell’obbligo scolastico.
Se pur quello scolastico è uno dei primi luoghi a cui viene
da pensare nell’affrontare questo tema giovanile, esso non può rappresentare
l’unico campo di intervento. Il camminare accanto ai NEET mostra chiaramente
come in gioco ci siano questioni ben più ampie che riguardano la crescita e lo
sviluppo della persona: chi sono, cosa farò da grande, quali prospettive mi
guidano, come mi sento valutato e considerato da questo mondo.
Proprio questi elementi risultano probabilmente i più
deleteri dal punto di vista di una demotivazione nello smettere di cercare
qualcosa che dia futuro alla propria vita, che fanno sì di instaurare un circolo
vizioso che si autoalimenta portando a una situazione di inattività prolungata.
Anche qua serve fantasia per attuare nuovi processi di welfare capaci di
coinvolgere e sostenere in questo periodo complicato di vita.
Con uno sguardo a livello di macrosistema, occorre
evidenziare come il fenomeno in oggetto risulta influenzato dalle politiche
economiche, lavorative, di mercato di sistemi che si definiscono giustamente
“avanzati” ma non sempre attenti a certe dinamiche. Il fenomeno NEET risente
quindi, forse in forma maggiore, di difficoltà che riguardano un po’ tutta la
popolazione.
Gesù Cristo è colui
che sa dare vera passione alla vita, Gesù Cristo è colui che ci porta a non
accontentarci di poco e ci porta a dare il meglio di noi stessi; è Gesù Cristo che
ci interpella, ci invita e ci aiuta ad alzarci ogni volta che ci diamo per
vinti. È Gesù Cristo che ci spinge ad alzare lo sguardo e sognare alto. “Ma
padre – qualcuno può dirmi – è tanto difficile sognare alto, è tanto difficile
salire, essere sempre in salita. Padre, io sono debole, io cado, io mi sforzo
ma tante volte vengo giù”. Gli alpini, quando salgono le montagne, cantano una
canzone molto bella, che dice così: “Nell’arte di salire, quello che importa
non è non cadere, ma non rimanere caduto”. […] E chi accoglie Gesù, impara ad
amare come Gesù. Allora Lui ci chiede se vogliamo una vita piena. E io nel nome
di Lui vi chiedo: vuoi, volete voi una vita piena? (papa Francesco,
discorso alla cerimonia di accoglienza in occasione della XXXI Giornata Mondiale
della Gioventù, 28 luglio 2016, Cracovia).
L’incontro con Gesù ci invita ad avere coraggio, a non
abbatterci, rischiando di percorrere anche quelle strade che erano fuori dai
nostri desideri o ricerche piuttosto che rimanere fermi, alla ricerca di nuovi
orizzonti. Vivendo un po’ di quella pazzia che ci fa andare controcorrente,
cercando chi non è amato, chi nessuno vuole, chi è solo. Diventare quindi
protagonisti di un mondo migliore, impegnarsi per fare la differenza. Questo
credo che possa aiutarci a trovare nuovi sentieri di vita e di lavoro,
impegnati in una politica più vicina alla gente, lavorando per un’economia più
giusta per tutti, contribuendo a un pensiero nuovo nel mondo d’oggi, ridando “anima”
alla nostra società.
Qualcuno potrebbe
obiettare che sono cose fatte per altri più bravi, credo di no, sono per voi se
deciderete di prendere in mano la vita e condividerla con gli altri. Dio ti
aspetta, ha progetti da realizzare con te e ora ti lancia una sfida che se vuoi
puoi raccogliere per decidere oggi il tuo futuro. Oggi Gesù, che è la
via, chiama te, te, te a lasciare la tua impronta nella storia. Lui, che è la
vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua storia e
quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le strade
della separazione, della divisione, del non-senso. Ci stai? (papa
Francesco, discorso in occasione della veglia di preghiera con i giovani
durante la XXXI Giornata Mondiale della Gioventù, 30 luglio 2016, Cracovia)
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