La società cambia, così il mondo della scuola, il divertimento, i punti
di riferimento e tanto altro della nostra cultura non è più come era alcuni
decenni fa. Le dinamiche legate all’educazione dei giovani chiedono un continuo
aggiornamento che valuta attentamente gli studi fatti dalle scienze umane e il
nostro modo di essere Chiesa accanto ai ragazzi rimane fermo o ha una
direzione?
La realtà delle nostre parrocchie è spesso ricca di iniziative e opere
delle quali però fatica ormai a farsi carico, questo dovuto sicuramente anche
dalla ridefinizione delle nostre comunità considerando il calo delle vocazioni
e di una diversa composizione rispetto al passato. Cosa lasciare? Cosa tenere?
A chi dire no? Insieme a queste tante altre potrebbero essere le domande
concrete da portare in superficie per ripensare una pastorale adatta ai tempi.
Io non la soluzione a questi interrogativi, ma credo sia opportuno
ugualmente avventurarmici dentro per evitare il rischio di un agire statico e
sterile. Il campo di lavoro è molto ampio e multidisciplinare, mi limito quindi
di concentrarmi sulla pastorale giovanile, forse per osmosi ne uscirà qualcosa
di praticabile anche per altri aspetti.
La pastorale trova la sua casa nella vita quotidiana della gente e
niente può essere progettato e messo in atto rimanendo distanti dai luoghi
abitati della vita di tutti i giorni. Parlando in specifico dei giovani, mentre
sono pochi quelli che frequentano i nostri luoghi vi sono altri spazi che ne
vedono una maggiore presenza: scuola, sport, associazioni, comunità di recupero
o altri luoghi dove affrontano la vita dura di chi cresce.
La pastorale non può fare a meno di strutture (luoghi, persone, gruppi,
organizzazioni …), oratori, sale di incontro, luoghi per esperienze,
associazioni, società sportive, circoli… nati dall’impegno della fede di tanta gente, capita
che oggi siano lontane da dove pulsa la vita concreta (del corpo e della mente)
dei giovani di oggi.
Vita quotidiana e strutture devono tornare a incontrarsi, da qui la
necessità del ripensarsi.
Il dilemma potrebbe essere: eliminiamo le strutture ormai non più
attuali oppure ci puntiamo con forza nel tentativo di ribadirle e adeguarle per
attrarre nuovamente la vita dei giovani perché possano tornare a passare di lì?
Una mediazione ai due estremi sopra indicati potrebbe maturare nel
chiederci se è possibile un impegno a tempo parziale… “ad ore” staccandosi dal
concetto legato al presidiare il territorio per passare a quello di seguire e
servire le persone?
Quando si progetta e si decide sul cosa fare e scegliere, occorre non
guardare solo a casa propria, alla singola realtà sulla quale l’emergenza mi
chiede di intervenire, ma partire andando incontro ai luoghi della vita ordinaria
raccogliendone le sfide. Nei nostri ambienti tante volte ci si lamenta della
situazione giovanile perché non vengono più a messa o in oratorio, questa
prospettiva è però sviante in quanto non porta a interrogarsi sul perché questo
avvenga e su quali siano le ricerche e le fatiche vere che attraversano la vita
dei ragazzi. Le discussioni tra noi preti troppo spesso prendono la piega del
lamento: non ci si sposa in chiesa, i funerali civili sono in aumento, nessuno
si confessa, i genitori non portano i figli al catechismo e così via. Questi
sono i falsi problemi in quanto sono conseguenze di altre questione aperte che
hanno un riflesso ben più ampio sulla vita delle persone.
Occorre quindi individuare e dare dei nomi ai luoghi veri della vita
dei giovani: scuola, sport, l’associazionismo, il mondo dello svago, le
comunità di recupero o di accoglienza; in
questi spazi, quotidianamente abitati, possiamo trovare il terreno da impastare
e su cui soffiare lo Spirito come in una nuova Creazione. È ora di abbandonare
una pastorale che vive di contrapposizioni con un mondo esterno che non va
bene, occorre cercarne il bene e lavorarci dentro come fa il lievito con la
pasta. La responsabilità del cristiano dovrebbe essere proprio quella di
rendere sicuro e interessante il mondo tutto perché è dono di Dio a noi
affidato.
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