lunedì 6 febbraio 2017

Un amore gratuito: la mistica dell’educatore

Cerchiamo di non spaventarci davanti a questa parola che troppo spesso viene usata per parlare solo di grandi santi, di eremiti che vivono nel deserto ritiranti dal mondo o di chi ha visioni particolari delle cose del cielo.
Quando come educatori ci prendiamo cura di un ragazzo, nelle nostre parole, attenzioni, mani, incoraggiamenti… assumiamo una forma “cristiforme”, assumiamo non solo gli atteggiamenti di Gesù ma diventiamo Gesù!
Quella di Dio è una vita innamorata della quale ha voluto rendere partecipe tutte le persone, un giorno si chiese come poter rendere visibile e comunicabile tutto questo, trovò il modo di farlo attraverso la creazione dell'uomo e della donna, non come realtà separate ma legate tra di loro.
Credo sia importante che tutto il nostro attivismo intorno al mondo giovanile sia guidato dalla convinzione che, la cosa più bella e grande che possiamo fare per i nostri ragazzi, è di amarli tanto, perché da questo imparino a fare lo stesso.
Ho incontrato tanti giovani in questi anni di ministero e ho scoperto che tutti, fortunati o meno, ricchi e poveri, con una famiglia alle spalle o senza di essa, tutti ne hanno bisogno. Attraverso questo grande servizio alla loro crescita, diventa possibile aiutarli a innamorarsi della loro vita e spenderla nell’amore; tutti, anche i più disastrati per scelte fatte o subite, possono attraverso l’amore ritrovare sapore per la vita ed essere con essa riconciliati, perché quando uno perde la testa per amore, la vita cambia e questo ci rende nuovi.
Un giovane educatore un giorno mi chiese di dire ai suoi ragazzi che dovevano venire a Messa; un parrocchiano mi disse di ricordare a Messa quali sono i precetti della Chiesa scritti nel catechismo; un genitore che io insegnassi a suo figlio che doveva ascoltarlo; un giovane che aveva appena litigato che ordinassi che gli venisse chiesto scusa.
Un giorno Gesù incontrò un tale di nome Zaccheo, peccatore, capo dei pubblicani, era arrampicato su un albero. Invece di fare come tutti gli altri che lo allontanavano, gli dicevano che erano un povero cretino, lo accusavano di condurre una vita da schifo, Gesù si rivolge a lui direttamente chiedendogli di scendere dall’albero. C’era infatti un imperativo che muoveva Gesù a quelle parole: “devo fermarmi a casa tua”.
Caro educatore dico a te: va a casa dei tuoi ragazzi o dove si trovano, dopo potrai invitarli a Messa; caro parrocchiano dico a te: mettiti in ascolto di quanto brucia nella vita della gente tutti i giorni, dopo potrai suggerir loro come camminare verso il meglio; caro genitore dico a te: comincia tu ad ascoltare i tuoi figli, può essere che poi venga da sé il loro ascolto; caro amico dico a te: ama il tuo nemico.
Educare è proprio del nostro essere cristiani, è ciò che ha fatto Dio quanto ha visto come le persone fossero infelici e assetate, ha risposto a questa loro povertà amandoli, cioè ha deciso di stare dalla loro parte fino al dono della vita, facendolo ancora prima e nonostante fossero diventati buoni. L’amore è partito per primo rispetto a tutto il resto, perché ci si senta voluti bene come inizio di tutto e senza ricatti come invece a volte sono abituati oggi.
Educare non inizia con il cambiare qualcosa nell’altro o con il dare indicazioni morali per la condotta di vita, ma con il guardare un giovane e dirgli che io per lui sono disposto a dare la mia vita così com’è, adesso. I ragazzi ne hanno molto bisogno, ne ho incontrati tanti che avevano la propria vita costellata di incontri con persone alle quali non andavano bene: alla mamma perché diceva le bugie, al prete perché non veniva a Messa, al professore perché non studiava mai abbastanza, all’allenatore perché doveva applicarsi di più, agli amici che gli chiedevano di fare come volevano loro.
Sarebbe proprio bello, una cosa da paradiso, stellare, che le nostre comunità diventassero capaci di creare ambienti e strutture con persone dove un adolescente potesse venire senza preoccuparsi dell’essere adatto o mal giudicato, senza la paura di come è messo adesso; un posto capace di essere luogo di misericordia, ossia di accoglienza e perdono, senza sentirsi guardati di traverso. Come Gesù che passa sotto l’albero di Zaccheo e non gli dice che fa schifo, di andarsene via e di vergognarsi, ma di scendere perché voleva entrare in casa sua e nella sua vita.

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