Cerchiamo di non spaventarci davanti a questa parola che
troppo spesso viene usata per parlare solo di grandi santi, di eremiti che
vivono nel deserto ritiranti dal mondo o di chi ha visioni particolari delle
cose del cielo.
Quando come educatori ci prendiamo cura di un ragazzo, nelle
nostre parole, attenzioni, mani, incoraggiamenti… assumiamo una forma
“cristiforme”, assumiamo non solo gli atteggiamenti di Gesù ma diventiamo Gesù!
Quella di Dio è una vita innamorata della quale ha voluto
rendere partecipe tutte le persone, un giorno si chiese come poter rendere
visibile e comunicabile tutto questo, trovò il modo di farlo attraverso la creazione
dell'uomo e della donna, non come realtà separate ma legate tra di loro.
Credo sia importante che tutto il nostro attivismo intorno
al mondo giovanile sia guidato dalla convinzione che, la cosa più bella e
grande che possiamo fare per i nostri ragazzi, è di amarli tanto, perché da
questo imparino a fare lo stesso.
Ho incontrato tanti giovani in questi anni di ministero e ho
scoperto che tutti, fortunati o meno, ricchi e poveri, con una famiglia alle
spalle o senza di essa, tutti ne hanno bisogno. Attraverso questo grande
servizio alla loro crescita, diventa possibile aiutarli a innamorarsi della
loro vita e spenderla nell’amore; tutti, anche i più disastrati per scelte
fatte o subite, possono attraverso l’amore ritrovare sapore per la vita ed
essere con essa riconciliati, perché quando uno perde la testa per amore, la
vita cambia e questo ci rende nuovi.
Un giovane educatore un giorno mi chiese di dire ai suoi
ragazzi che dovevano venire a Messa; un parrocchiano mi disse di ricordare a
Messa quali sono i precetti della Chiesa scritti nel catechismo; un genitore
che io insegnassi a suo figlio che doveva ascoltarlo; un giovane che aveva
appena litigato che ordinassi che gli venisse chiesto scusa.
Un giorno Gesù incontrò un tale di nome Zaccheo, peccatore,
capo dei pubblicani, era arrampicato su un albero. Invece di fare come tutti
gli altri che lo allontanavano, gli dicevano che erano un povero cretino, lo
accusavano di condurre una vita da schifo, Gesù si rivolge a lui direttamente
chiedendogli di scendere dall’albero. C’era infatti un imperativo che muoveva
Gesù a quelle parole: “devo fermarmi a casa tua”.
Caro educatore dico a te: va a casa dei tuoi ragazzi o dove
si trovano, dopo potrai invitarli a Messa; caro parrocchiano dico a te: mettiti
in ascolto di quanto brucia nella vita della gente tutti i giorni, dopo potrai
suggerir loro come camminare verso il meglio; caro genitore dico a te: comincia
tu ad ascoltare i tuoi figli, può essere che poi venga da sé il loro ascolto; caro
amico dico a te: ama il tuo nemico.
Educare è proprio del nostro essere cristiani, è ciò che ha
fatto Dio quanto ha visto come le persone fossero infelici e assetate, ha
risposto a questa loro povertà amandoli, cioè ha deciso di stare dalla loro
parte fino al dono della vita, facendolo ancora prima e nonostante fossero
diventati buoni. L’amore è partito per primo rispetto a tutto il resto, perché
ci si senta voluti bene come inizio di tutto e senza ricatti come invece a volte
sono abituati oggi.
Educare non inizia con il cambiare qualcosa nell’altro o con
il dare indicazioni morali per la condotta di vita, ma con il guardare un
giovane e dirgli che io per lui sono disposto a dare la mia vita così com’è,
adesso. I ragazzi ne hanno molto bisogno, ne ho incontrati tanti che avevano la
propria vita costellata di incontri con persone alle quali non andavano bene:
alla mamma perché diceva le bugie, al prete perché non veniva a Messa, al
professore perché non studiava mai abbastanza, all’allenatore perché doveva
applicarsi di più, agli amici che gli chiedevano di fare come volevano loro.
Sarebbe proprio bello, una cosa da paradiso, stellare, che le nostre comunità diventassero capaci di creare ambienti e strutture con persone dove un adolescente potesse venire senza preoccuparsi dell’essere adatto o mal giudicato, senza la paura di come è messo adesso; un posto capace di essere luogo di misericordia, ossia di accoglienza e perdono, senza sentirsi guardati di traverso. Come Gesù che passa sotto l’albero di Zaccheo e non gli dice che fa schifo, di andarsene via e di vergognarsi, ma di scendere perché voleva entrare in casa sua e nella sua vita.
Sarebbe proprio bello, una cosa da paradiso, stellare, che le nostre comunità diventassero capaci di creare ambienti e strutture con persone dove un adolescente potesse venire senza preoccuparsi dell’essere adatto o mal giudicato, senza la paura di come è messo adesso; un posto capace di essere luogo di misericordia, ossia di accoglienza e perdono, senza sentirsi guardati di traverso. Come Gesù che passa sotto l’albero di Zaccheo e non gli dice che fa schifo, di andarsene via e di vergognarsi, ma di scendere perché voleva entrare in casa sua e nella sua vita.
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