Alcune analisi sociologiche sul mondo giovanile sono preoccupanti
nei dati che forniscono riguardo la frequentazione di quei luoghi o gruppi che
storicamente sono sempre stati baluardi della presenza giovanile e vie di
accompagnamento verso l’età matura. Un fenomeno che sembra avere la stessa
tendenza sia dentro che fuori le strutture che la Chiesa pensa e propone loro.
Visto che normalmente sono tutti luoghi pensati, voluti e
vissuti anche dagli adulti, ci si può chiedere se il problema sia proprio la
loro presenza; personalmente non credo sia così, anzi tanti giovani sarebbero
ben contenti di poter trovare qualcuno già navigato che riesca a fornire loro
un po’ di chiarezza e strategie per affrontare una vita che a spesso sembra
molto “incasinata”.
Nel dire questo mi assumo una grossa responsabilità, ora mi
tocca rendere conto di questo mio presupposto soprattutto di fronte ai tanti
che dicono proprio l’opposto e che progettano di conseguenza percorsi educativi
concentrati su una autoeducazione da parte dei ragazzi, liberi dagli apporti
del mondo adulto.
L’onestà ci chiede di riconoscere che in questa nuova epoca
educativa nella quale viviamo ci troviamo molto in difficoltà. Occorre non
incominciare dagli adolescenti, ma da noi, ammettere che siamo in difficoltà in
questo rapporto intergenerazionale così diverso rispetto al passato;
ammettiamolo, noi non capiamo queste loro nuove mode, ci troviamo timidi nei
loro luoghi di vita, non abbiamo dimestichezza con i nuovi linguaggi, e ancora
di più facciamo fatica a cogliere i motivi che ci stanno sotto, la vita che
preme come un vulcano per uscire fuori. Così sottovalutiamo certe cose e loro
si sentono trascurati, facciamo fatica in quel compito tanto importante del
discernimento per capire cosa serve oggi loro e cosa è di ostacolo e dobbiamo
abbandonare.
Mi ricordo dei tanti discorsi avuti con diversi genitori sui
figli, anche durante visite a casa, assenti dai luoghi comuni e chiusi nella
loro stanza che diventa il loro mondo, con tutte le fatiche per tirarli fuori
così da non vivere come in un hotel a ore. Ho cercato di dare un senso a
insegnanti di scuole superiori che, soffrendo lo scontro con l’indifferenza dei
propri studenti, hanno perso la voglia di insegnare. Così è successo anche con
animatori di oratorio, capi scout, educatori parrocchiali e un po’ tutte le
figure che girano intorno all’ampio mondo delle giovani generazioni.
Noi ci chiediamo perché le cose non funzionino, la risposta
è sempre stata scontatamente banale e sulla bocca di tutti, ma sembra che noi
adulti non sappiamo trarne dei significati. Quando arriva l’adolescenza con
essa arriva la necessità, personale e di gruppo, di cominciare a lavorare per
costruire il proprio sé, così all’interno dei luoghi usualmente frequentati da
sempre (casa, scuola, parrocchia, luoghi aggregativi) si cominciano a costruire
degli spazi privati e se non è possibile allora si fugge. Mentre per la
famiglia e la scuola la cosa diventa più difficile, visto il controllo ancora
operato dalla società, per gli altri luoghi questo diventa più probabile e di
fatto se ne vede l’esodo. Così la camera, i bagni della scuola, gli angoli
delle piazze, le panchine di un parco, i gradini dell’oratorio, diventano i
nuovi spazi di vita del proprio sé in crescita, noi possiamo anche non essere
d’accordo e dirigerli da altre parti, ma la cosa è tutt’altro che semplice. Che
un adulto possa trovare autorevolmente il proprio spazio in questi luoghi è
qualcosa di tutt’altro che scontato.
Questi spazi non regnano per ordine, né per silenzio, né per
essere “political correct”, come del resto non lo sono la vita dei ragazzi in
questo momento; a loro va bene così, l’insistenza degli adulti su uno stile di
vita più decente non trova molto ascolto e accoglienza. Così anche gli spazi di
vita fuori dalla famiglia, pur in un minimo di decoro, non devono rispecchiare
tanto il nostro ordine ma più il disordine dei ragazzi.
Invece noi tante volte pensiamo i nostri luoghi ecclesiali a
servizio dei giovani più pensati originariamente per i bambini, per il
catechismo, così vengono abbandonati perché ritenuti non interessanti e utili
per quello che a loro serve adesso. Si trovano molto più a loro agio dentro
spazi come quello dei grandi centri commerciali, dove possono trovare altri
coetanei, musica, la giusta temperatura senza essere esposti al freddo o alla
calura, qualcosa da consumare che sia alla loro portata.
Dopo tutto questo nasce spontanea la domanda: e noi adulti
allora cosa ci stiamo a fare, non è meglio mollare tutto e impiegare meglio il
nostro tempo? Credo proprio di no, è vero che in apparenza sembra proprio che
ci dicano di stare alla larga, ma credo che abbiano bisogno, e lo sappiano
anche, di significati che non possono darsi da soli e che passano da una
generazione all’altra. La fregatura non è che loro non ci cercano, ma che noi
con questa scusa ne approfittiamo per tirarci indietro; eppure quando capita
che arrivi un adulto significativo capace di fare quella proposta capace di
essere accettata dal gruppo, questo salta su e noi diventiamo i benvenuti.
Un abbozzo di strategia vede quindi almeno due elementi per
ripartire con un incontro possibile tra adulti e giovani: educatori
significativi e luoghi pensati per e attraverso di loro perché chi ci si deve
sentire a proprio agio non siamo noi.
I luoghi dove l’incontro generazionale è possibile, non solo
quelli dove i giovani sono usati per fare delle cose come montare una festa,
riempire i banchi di scuola, far numero a un evento. Nelle tante attività
organizzate per e dai giovani ho notato come essi siano sempre molto
disponibili a fare delle cose, ma rimangono se trovano l’occasione di non
essere solo usufruitori di qualcosa, destinatari di qualcosa già pensato e
riscaldato per loro, ma se li si coinvolge nel momento in cui il tutto viene
pensato e ideato; è così possibile aprire uno spazio di incontro. Facendolo da
adulti significativi capaci cioè di comunicare l’amore che hanno per quello che
fanno, che sanno indicare che le proposte fatte sono determinanti per la
propria crescita, che sappiano essere equilibratamente rispettosi della privacy
e interessati a quanto accade nella vita del ragazzo perché interessati a
capire certe cose e così nel contempo dimostrare di essere disposti a
riconoscere che non conoscono tutto, saper aprire ascolto e dialogo su quando
accade nella quotidianità.
Infine abbozzo un terzo elemento che non può trovare qui lo
spazio per essere affrontato. Rispetto al passato sono venuti a mancare
specifici riti di passaggio che facevano sì che il giovane e la società
entrassero in contatto tra di loro comunicando attese e progetti reciproci.
Oggi non è più così, sono più le mode che guidano i passaggi da un momento
all’altro dello sviluppo, è necessario oggi reinventare questi riti che
riescano a convocare le giovani generazioni, comunicando loro la fiducia della
comunità, chiedendo di esporti per impegnarsi attivamente in questo mondo per
renderlo migliore. In questo maniera si incontra anche l’esigenza dei ragazzi a
sentirsi utili e importanti, anche se non capiti fino in fondo da questo mondo
di adulti almeno lo sono nel riconoscere un posto che possono occupare.
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