lunedì 27 febbraio 2017

Desiderio e sessualità

Se si vuole essere educatori fino in fondo, considerando tutto importante nei ragazzi, evitando come fanno certi che ficcano la testa sotto terra facendo finta di niente, prima o poi si arriva ad affrontare  il tema della sessualità. Rappresenta sicuramente un tema rilevante nella vita dei più giovani.
Questo risulta oggi sottovalutato, o per paura o perché lo si ritiene marginale, spesso etichettandolo come un argomento troppo scottante. Succede così che lo si lascia in mano ad internet, alla televisione e a tutto un contesto che ne fa oggetto di guadagno e sfruttamento.
Ancor di più, il tutto risulta particolarmente delicato da affrontare negli ambienti dove si vive la fede; il rischio di una deriva che viene dal concentrarsi sul proporre valori di riferimento improntati prevalentemente sul sacrificio, la rinuncia, l'accettazione della fatica e così via, non può esaurire un tema che per principio è qualcosa di bello.
Mi chiedo, di fronte a questi valori sicuramente importanti, come si possa sentire accolto o giudicato un ragazzo che non per sua colpa cresce e vive nel mondo di oggi. Anche per questo risulta importante riportare il tutto al centro, come tema educativo rilevante.
Succede però che noi non sempre siamo abituati a trarre valori e significati di vita da ciò che appare, da quello che potremmo definire “estetica”, quando invece essa si porta dietro tante ricerche, forse non sempre ben impostate, ma comunque desideri che muovono e chiedono di essere presi sul serio.
Il mondo di oggi affronta questi argomenti in modo molto problematico, ma i giovani ne hanno veramente poca responsabilità, il contesto nel quale crescono è stato fatto così da noi adulti, loro molto spesso rischiano di essere attori di una parte che per loro è stata scritta da altri. Entriamo però adesso più decisamente dentro l’argomento.
L’arte “profana” e anche quella sacra, sono state storicamente accompagnate dal “nudo” come espressione di messaggi e significati da esprimere. Corpi esposti per un piacere che andava be al di là di quello che appariva. Si può guardare il David di Michelangelo, la Venere del Botticelli o l’Adamo ed Eva del Masaccio e dire in modo estasiato “che bello”. Nelle rotondità messe in mostra e in quanto oggi si cerca con pudore di nascondere, c’era per i loro autori il desiderio di far parlare, la pietra o la tela, di una idea che volevano proporre a tutta l’umanità; dietro il seno o il corpo muscolo con tanto di organini genitali esposti io vedo molto di più di quello che appare e che spesso ci fa vergognare, vedo un progetto, la pietra che da blocco pian piano fiorisce in figura, la tela e i colori che lentamente formano una figura, così dietro e dentro il corpo dell’uomo e della donna vedo il progetto bello di Dio, rovinato dall’incontro con il nemico che portò Adamo ed Eva a nascondersi da lui perché nudi, mentre fino ad allora la cosa non aveva costituito problema né tra di loro né con Dio.
Così io guardo i corpi dei nostri ragazzi di oggi, a volte nascosti e altre esposti, abbelliti o trasandati, pitturati stirati oppure ingrossati, e ci vedo un progetto che pulsa e cresce e trae forza dal proprio essere maschi e femmine, dall’avere un corpo capace di relazionarsi e che sperimenta l’eros e il desiderio in cerca di tenerezza.
Uno degli errori più grandi da fare come educatori, è accompagnare la crescita di una persona trasmettendo l’idea che il corpo conta poco e che è su altro che dobbiamo maturare attenzione, come cristiani di puntare solo su una falsa “spiritualizzazione” che allontana da ciò che che freme nel corpo ed è bello; capita di farlo più frequentemente di quanto immaginiamo. Se eliminiamo il corpo, tagliamo fuori dalla scena della crescita anche il desiderio che senza di esso non può esistere in astratto, impediamo un autentico cammino di scoperta e incontro non solo con gli altri, ma anche con Dio che proprio nel corpo, in particolare quello di Gesù, ha trovato la via per comunicare il proprio amore per il genere umano. Da qui traiamo un grande insegnamento, tutto l’amore, anche quello erotico, non è il rapporto con qualche cosa, ma sempre con qualcuno.
In un mondo che spezzetta l’amore in tante parti, occorre una operazione educativa capace di rimette insieme e a contatto desiderio ed eros il quale troppo volte viene limitato ad un piacere fine a sé stesso non orientato al costruire e realizzare un progetto.
Così la sessualità, dono bello e prezioso del quale non vergognarsi, diventa un avvicinarsi non soltanto dei corpi ma dei cuori. Così l’eros mi richiama a un incontro faccia a faccia con l’altro, dove le parole non bastano più e nasce lo slancio a vincere l’isolamento dei corpi e l’estraneità dell’altro. Così il desiderio diventa capace di promettermi l’altro vincendo la distanza e la paura della relazione, mi chiede di andare oltre l’esteriorità sapendo di non essere di fronte a una cosa ma a una persona. Lì, il mio cuore che l’incontro con l’antico nemico ha reso di pietra, torna ad essere di carne. L’altro da me, cercato, aspettato, amato, sposato, mi diventa caro, di fronte a lui non mi vergogno più di espormi e la mia sessualità nell’amore diventa dono e non ho più bisogno di nasconde il mio corpo, quasi tornando alla bellezza originaria del Paradiso Terrestre quando uomo e donna stavano nudi uno di fronte all’altra senza vergognarsi.
Occorre quindi ricordarlo in modo deciso, Dio ha creato tutto questo ed è un regalo stupendo per ogni persona, anche se oggi si fa fatica collocando per assurdo il bello nella categoria del brutto e vietato, la sessualità nella corporalità vissuta insieme al desiderio non è solo un qualcosa da gratificare per raggiungere un piacere personale, diventa un dialogo con l’altro preso sul serio nel suo essere pieno di valore e di sacralità.
Dicevo che non si può eliminare il corpo dalla nostra riflessione, come del resto non si può fermarsi lì senza considerare l’altezza che viene donata alla nostra esistenza dallo spirito effuso in noi e che trae origine da quel santo Alito di Vita soffiato per portare a esistenza tutto quanto esiste. Senza di esso la crescita del nostro corpo, del desiderio, della bellezza e dell’eros verso la pienezza del vero amore, diventa un percorso duro se non impossibile. Nasce qua la fatica e il dolore che tanti dei nostri giovani si portano dentro attraversando questa parte rilevante della loro crescita, dove ci si può scontrare con l’errore e la difficoltà fino ad aver paura e nascondersi.
Oggi come non mai il compito chiestoci, è quello di far sì che mai più desiderio, bellezza, eros e sessualità vengano separati da quell’amore che è vocazione comune di ogni persona. Occorre che soprattutto noi come Chiesa vi prestiamo attenzione, per evitare di ridurre come in passato il tutto al giustificarlo vedendolo orientato alla sola generazione di nuovi figli, non dando così senso più ampio a quanto tutto questo desiderio muove all’interno della persona.
Cerchiamo di evitare a tutti i costi il tecnicismo contemporaneo che educa meccanicamente a gestire il tutto, che senza dirlo avverte di un pericolo e fa sì che i ragazzi di oggi si possano sentire minacciati e vivano con ansia questo pezzo bello della loro vita. Non gli si insegna a donarsi ma a preservarsi (da qui preservativo), non ad accogliere ma a difendersi inventando nuove medicine e procedure mediche per curare quello che non è un male ma un dono affidatoci, quello della vita che nasce.
La strada giusta è quella di affermare la bellezza del desiderio, aiutando i giovani a viverlo bene accompagnandolo nel suo fiorire fino al maturare. Per assurdo proprio Dio e la Chiesa, accusati erroneamente di essere sessuofobi, sono coloro che più desiderano vedere la sessualità finalmente liberata da ciò che la rende schiava, riunita al progetto del desiderio, vissuta responsabilmente e fino in fondo.
Così il nostro compito educativo è anche quello di aiutare i ragazzi a non avere vergogna della fame e della sete di desiderio che portano dentro, mostrando che la questione è invece nel come uno cerca di darvi risposta, se sia ragionevole farlo a caso e se questo non rischi di rovinare l’uomo e la donna che stanno crescendo. Saper mostrare la vera ricerca che c’è dietro a quella fame e sete non appagabile da singoli piaceri transitori, non rappresentabile dal fuoco che brucia dentro e che porta a buttarsi sull’altro quasi facendolo prigioniero.
Noi diventiamo schiavi dei nostri desideri se sono essi a governarci, ma se noi siamo capaci di farli nostri e gestirli, noi diventiamo capaci di decidere e scegliere liberamente, solo così uno può dire veramente ad un’altra persona “ti amo”.
Come insegnava un profeta contemporaneo, amico di tanti giovani, bisogna dunque lottare quotidianamente per trasformare il tuo desiderio di prendere nella volontà di donare, e parallelamente di accogliere ciò che l'altro decide di offrirti[1].
In questi anni ho avuto la fortuna di poter condividere la vita con tanti ragazzi, mi ricordo di uno di loro la cui età faceva premere dentro di lui il dover a tutti i costi cominciare il viaggio alla scoperta del mistero dell’amore, senza sapere bene ancora cosa fosse. Aveva presente quello che provava per i genitori o per gli amici, ma sapeva che era altro che cercava. Lo diceva chiaramente, lui voleva una ragazza per rompere quella solitudine che si portava dentro, quella ragazza che nei propri sogni già abbracciava e faceva sua. Gli chiesi di tirare fuori a parole quello che sentiva, mi rispose: fame e sete, lotta, ricerca, sofferenza, desiderio, paura e infine… non lo so.
La vita di questo giovane amico è stata un’avventura molto bella della quale il Signore mi ha fatto dono. Con il passare del tempo l’ho visto molto cambiato, anche lui ne era consapevole, ammetteva che se subito cercava il piacere che una ragazza poteva dargli, poi con il tempo questo si è trasformato in una ricerca di tenerezza con la scoperta non solo di un corpo che godeva, ma di un cuore che batteva. Un giorno questo non gli è più bastato, guardandosi allo specchio ha visto che c’era ancora solo lui in tutto quello che stava costruendo, cominciò così a cercare non solo la propria felicità ma anche quella degli altri, che diventò così la felicità “dell’altra”.
Da quel momento in poi per lui le donne non furono più oggetti di piacere o di tenerezza per riempire qualcosa che gli mancava, ma persone che meritavano di essere da lui baciate e abbracciate, ascoltate e accolte per loro stesse.
Un giorno venne da me e mi disse, similmente a quanto sopra riportato, che aveva finalmente capito cosa vuol dire amare, non solo prendere ma decidere di donare.






[1] Quoist M., Parlami d’amore, SEI, Torino, 1990

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