Se si vuole essere educatori fino in fondo, considerando
tutto importante nei ragazzi, evitando come fanno certi che ficcano la testa
sotto terra facendo finta di niente, prima o poi si arriva ad affrontare il tema della sessualità. Rappresenta
sicuramente un tema rilevante nella vita dei più giovani.
Questo risulta oggi sottovalutato, o per paura o perché lo
si ritiene marginale, spesso etichettandolo come un argomento troppo scottante.
Succede così che lo si lascia in mano ad internet, alla televisione e a tutto
un contesto che ne fa oggetto di guadagno e sfruttamento.
Ancor di più, il tutto risulta particolarmente delicato da
affrontare negli ambienti dove si vive la fede; il rischio di una deriva che
viene dal concentrarsi sul proporre valori di riferimento improntati
prevalentemente sul sacrificio, la rinuncia, l'accettazione della fatica e così
via, non può esaurire un tema che per principio è qualcosa di bello.
Mi chiedo, di fronte a questi valori sicuramente importanti,
come si possa sentire accolto o giudicato un ragazzo che non per sua colpa cresce
e vive nel mondo di oggi. Anche per questo risulta importante riportare il
tutto al centro, come tema educativo rilevante.
Succede però che noi non sempre siamo abituati a trarre
valori e significati di vita da ciò che appare, da quello che potremmo definire
“estetica”, quando invece essa si porta dietro tante ricerche, forse non sempre
ben impostate, ma comunque desideri che muovono e chiedono di essere presi sul
serio.
Il mondo di oggi affronta questi argomenti in modo molto
problematico, ma i giovani ne hanno veramente poca responsabilità, il contesto
nel quale crescono è stato fatto così da noi adulti, loro molto spesso
rischiano di essere attori di una parte che per loro è stata scritta da altri.
Entriamo però adesso più decisamente dentro l’argomento.
L’arte “profana” e anche quella sacra, sono state
storicamente accompagnate dal “nudo” come espressione di messaggi e significati
da esprimere. Corpi esposti per un piacere che andava be al di là di quello che
appariva. Si può guardare il David di Michelangelo, la Venere del Botticelli o
l’Adamo ed Eva del Masaccio e dire in modo estasiato “che bello”. Nelle rotondità
messe in mostra e in quanto oggi si cerca con pudore di nascondere, c’era per i
loro autori il desiderio di far parlare, la pietra o la tela, di una idea che
volevano proporre a tutta l’umanità; dietro il seno o il corpo muscolo con
tanto di organini genitali esposti io vedo molto di più di quello che appare e
che spesso ci fa vergognare, vedo un progetto, la pietra che da blocco pian
piano fiorisce in figura, la tela e i colori che lentamente formano una figura,
così dietro e dentro il corpo dell’uomo e della donna vedo il progetto bello di
Dio, rovinato dall’incontro con il nemico che portò Adamo ed Eva a nascondersi
da lui perché nudi, mentre fino ad allora la cosa non aveva costituito problema
né tra di loro né con Dio.
Così io guardo i corpi dei nostri ragazzi di oggi, a volte
nascosti e altre esposti, abbelliti o trasandati, pitturati stirati oppure
ingrossati, e ci vedo un progetto che pulsa e cresce e trae forza dal proprio
essere maschi e femmine, dall’avere un corpo capace di relazionarsi e che
sperimenta l’eros e il desiderio in cerca di tenerezza.
Uno degli errori più grandi da fare come educatori, è
accompagnare la crescita di una persona trasmettendo l’idea che il corpo conta
poco e che è su altro che dobbiamo maturare attenzione, come cristiani di
puntare solo su una falsa “spiritualizzazione” che allontana da ciò che che
freme nel corpo ed è bello; capita di farlo più frequentemente di quanto
immaginiamo. Se eliminiamo il corpo, tagliamo fuori dalla scena della crescita
anche il desiderio che senza di esso non può esistere in astratto, impediamo un
autentico cammino di scoperta e incontro non solo con gli altri, ma anche con
Dio che proprio nel corpo, in particolare quello di Gesù, ha trovato la via per
comunicare il proprio amore per il genere umano. Da qui traiamo un grande
insegnamento, tutto l’amore, anche quello erotico, non è il rapporto con
qualche cosa, ma sempre con qualcuno.
In un mondo che spezzetta l’amore in tante parti, occorre
una operazione educativa capace di rimette insieme e a contatto desiderio ed
eros il quale troppo volte viene limitato ad un piacere fine a sé stesso non
orientato al costruire e realizzare un progetto.
Così la sessualità, dono bello e prezioso del quale non
vergognarsi, diventa un avvicinarsi non soltanto dei corpi ma dei cuori. Così
l’eros mi richiama a un incontro faccia a faccia con l’altro, dove le parole
non bastano più e nasce lo slancio a vincere l’isolamento dei corpi e
l’estraneità dell’altro. Così il desiderio diventa capace di promettermi
l’altro vincendo la distanza e la paura della relazione, mi chiede di andare
oltre l’esteriorità sapendo di non essere di fronte a una cosa ma a una
persona. Lì, il mio cuore che l’incontro con l’antico nemico ha reso di pietra,
torna ad essere di carne. L’altro da me, cercato, aspettato, amato, sposato, mi
diventa caro, di fronte a lui non mi vergogno più di espormi e la mia
sessualità nell’amore diventa dono e non ho più bisogno di nasconde il mio
corpo, quasi tornando alla bellezza originaria del Paradiso Terrestre quando
uomo e donna stavano nudi uno di fronte all’altra senza vergognarsi.
Occorre quindi ricordarlo in modo deciso, Dio ha creato
tutto questo ed è un regalo stupendo per ogni persona, anche se oggi si fa
fatica collocando per assurdo il bello nella categoria del brutto e vietato, la
sessualità nella corporalità vissuta insieme al desiderio non è solo un
qualcosa da gratificare per raggiungere un piacere personale, diventa un
dialogo con l’altro preso sul serio nel suo essere pieno di valore e di
sacralità.
Dicevo che non si può eliminare il corpo dalla nostra
riflessione, come del resto non si può fermarsi lì senza considerare l’altezza
che viene donata alla nostra esistenza dallo spirito effuso in noi e che trae
origine da quel santo Alito di Vita soffiato per portare a esistenza tutto
quanto esiste. Senza di esso la crescita del nostro corpo, del desiderio, della
bellezza e dell’eros verso la pienezza del vero amore, diventa un percorso duro
se non impossibile. Nasce qua la fatica e il dolore che tanti dei nostri
giovani si portano dentro attraversando questa parte rilevante della loro
crescita, dove ci si può scontrare con l’errore e la difficoltà fino ad aver
paura e nascondersi.
Oggi come non mai il compito chiestoci, è quello di far sì
che mai più desiderio, bellezza, eros e sessualità vengano separati da
quell’amore che è vocazione comune di ogni persona. Occorre che soprattutto noi
come Chiesa vi prestiamo attenzione, per evitare di ridurre come in passato il
tutto al giustificarlo vedendolo orientato alla sola generazione di nuovi
figli, non dando così senso più ampio a quanto tutto questo desiderio muove
all’interno della persona.
Cerchiamo di evitare a tutti i costi il tecnicismo
contemporaneo che educa meccanicamente a gestire il tutto, che senza dirlo
avverte di un pericolo e fa sì che i ragazzi di oggi si possano sentire
minacciati e vivano con ansia questo pezzo bello della loro vita. Non gli si
insegna a donarsi ma a preservarsi (da qui preservativo), non ad accogliere ma
a difendersi inventando nuove medicine e procedure mediche per curare quello
che non è un male ma un dono affidatoci, quello della vita che nasce.
La strada giusta è quella di affermare la bellezza del
desiderio, aiutando i giovani a viverlo bene accompagnandolo nel suo fiorire
fino al maturare. Per assurdo proprio Dio e la Chiesa, accusati erroneamente di
essere sessuofobi, sono coloro che più desiderano vedere la sessualità
finalmente liberata da ciò che la rende schiava, riunita al progetto del
desiderio, vissuta responsabilmente e fino in fondo.
Così il nostro compito educativo è anche quello di aiutare i
ragazzi a non avere vergogna della fame e della sete di desiderio che portano
dentro, mostrando che la questione è invece nel come uno cerca di darvi
risposta, se sia ragionevole farlo a caso e se questo non rischi di rovinare
l’uomo e la donna che stanno crescendo. Saper mostrare la vera ricerca che c’è
dietro a quella fame e sete non appagabile da singoli piaceri transitori, non
rappresentabile dal fuoco che brucia dentro e che porta a buttarsi sull’altro
quasi facendolo prigioniero.
Noi diventiamo schiavi dei nostri desideri se sono essi a
governarci, ma se noi siamo capaci di farli nostri e gestirli, noi diventiamo
capaci di decidere e scegliere liberamente, solo così uno può dire veramente ad
un’altra persona “ti amo”.
Come insegnava un profeta contemporaneo, amico di tanti
giovani, bisogna dunque lottare
quotidianamente per trasformare il tuo desiderio di prendere nella volontà di
donare, e parallelamente di accogliere ciò che l'altro decide di offrirti[1].
In questi anni ho avuto la fortuna di poter condividere la
vita con tanti ragazzi, mi ricordo di uno di loro la cui età faceva premere
dentro di lui il dover a tutti i costi cominciare il viaggio alla scoperta del
mistero dell’amore, senza sapere bene ancora cosa fosse. Aveva presente quello
che provava per i genitori o per gli amici, ma sapeva che era altro che
cercava. Lo diceva chiaramente, lui voleva una ragazza per rompere quella
solitudine che si portava dentro, quella ragazza che nei propri sogni già
abbracciava e faceva sua. Gli chiesi di tirare fuori a parole quello che
sentiva, mi rispose: fame e sete, lotta, ricerca, sofferenza, desiderio, paura
e infine… non lo so.
La vita di questo giovane amico è stata un’avventura molto bella
della quale il Signore mi ha fatto dono. Con il passare del tempo l’ho visto
molto cambiato, anche lui ne era consapevole, ammetteva che se subito cercava
il piacere che una ragazza poteva dargli, poi con il tempo questo si è trasformato
in una ricerca di tenerezza con la scoperta non solo di un corpo che godeva, ma
di un cuore che batteva. Un giorno questo non gli è più bastato, guardandosi
allo specchio ha visto che c’era ancora solo lui in tutto quello che stava
costruendo, cominciò così a cercare non solo la propria felicità ma anche
quella degli altri, che diventò così la felicità “dell’altra”.
Da quel momento in poi per lui le donne non furono più
oggetti di piacere o di tenerezza per riempire qualcosa che gli mancava, ma
persone che meritavano di essere da lui baciate e abbracciate, ascoltate e
accolte per loro stesse.
Un giorno venne da me e mi disse, similmente a quanto sopra
riportato, che aveva finalmente capito cosa vuol dire amare, non solo prendere
ma decidere di donare.
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