Per chi entra a contatto con il variegato mondo giovanile, è
facile il rischio di rimanere abbagliati così da non riuscire a identificare di
preciso i contorni di quanto si sta guardando, ad alcuni viene di istinto chiudere
gli occhi o girarsi dall’altra parte fino a quando la fonte di questa luce è
passata, altri invece preferisco indossare occhiali da sole schermati così da
affievolirne l’intensità e controllarne il riverbero. Tutte immagini con le
quali voglio dire che il mondo giovanile non è sempre ben identificabile e
interpretabile usando criteri abituali, il mondo adulto reagisce in vari modi,
quello che invito a fare è aprire gli occhi cercando di vedere con uno sguardo
da educatore certe dimensioni che permettono così di assumere la propria vera
natura.
C’è chi rimprovera gli adolescenti di essere troppo
concentrati su di sé, così si dice di loro che sono egoisti, c’è invece chi ci
vede il duro cammino che stanno compiendo, quello di maturare la propria
identità di persona di fronte agli altri e a Dio, in un mondo che non sempre
porta a realizzarsi come soggetto e a volte invita ad assumere logiche un po’
troppo omologate.
Altri li vedono come appiattiti in una dimensione
sentimentalistica, dove quello che conta è solo ciò che si sente, chi educa li
vede capaci di evitare un attivismo fine a se stesso o guidato dal moralismo o
dal senso di colpa.
Alcuni hanno coniato per loro uno slogan che li vede come la
generazione del “tutto e subito”, chi crede in loro li vede con i piedi per
terra attenti ad oggi, perché liberi dal tradizionalismo, possano essere
fautori e costruttori di vita.
C’è chi dice che sembrano tutti uguali, seguono le stesse
mode, vestono nel medesimo modo, tutti omologati, io li guardo e vedo la gioia
di chi sperimenta il bello di stare insieme vincendo così una malattia tipica
dei giorni oggi, la solitudine.
Vogliono sempre divertirsi invece che essere responsabili e
portare a termine i loro doveri, ma anche a me piacerebbe essere capace come
loro di vivere il quotidiano in questa letizia libera che se ne frega un po’
del dover fare e del dover essere.
Guardandoli si sospira profetizzando che “non c’è più
religione”, chi ci vive accanto li sente invece pieni di domande e aperti a
Dio, in cerca di una risposte a ciò che conta nella vita.
È un sempre la vecchia storia di chi vede un bicchiere con
dell’acqua, per alcuni è mezzo vuoto, per altri mezzo pieno. Durante una uscita
con gli scout, una squadriglia aveva preso la missione di preparare la cena per
tutto il gruppo formato da una cinquantina di persone, parliamo di ragazzi
molto giovani, il più grande che li guidava aveva sedi anni. Il menù prevedeva
tagliatelle fatte in casa da loro e come secondo salsiccia con patatine fritte,
il successo era garantito, eppure uno dei capi espresse il suo disappunto sul
fatto che al conto mancavano due salsicce, insomma non ce n’era una per tutti.
La serata andò bene, le tagliatelle fatte in casa erano buonissime, di carne ne
rimase mentre non accadde con il contorno, eppure quelle salsicce mancanti mi
rimasero lì, o meglio l’eccessiva enfasi posta su quanto mancava piuttosto che
non sul resto dell’impegno che già avevano messo e che portarono fino alla
fine. Sono ragazzi giovani, sicuramente mancanti in qualcosa, non sono cuochi
di professione e non sono abituati a preparare il cibo per orde di adolescenti
affamati; chi di noi non ha mai sbagliato le proporzioni della pasta o
dimenticato di metterci il sale?
Non voglio chiudere gli occhi di fronte a quanto non funziona
all’interno del mondo giovanile, ma credo che come adulti sia anche una
questione di ottica, una impostazione di sguardo su come vedere le cose, mi
accorgo che troppe volte la nostra intelligenza di schianta contro una tendenza
a vedere prima ciò che manca, il limite, che è presente nell’altro e questo
blocca nel saperne valorizzare le realizzare possibilità. Per conto mio, anche
rischiando, decido di concentrarmi sul bicchiere mezzo pieno, partendo da lì e
attraverso questo guardare al mondo giovanile di oggi; credo sia un aspetto
determinante per noi educatori che tante volte ci troviamo a parlare dei nostri
ragazzi e sembra quasi di farlo narrando di mondi diversi, mentre loro sono
sempre loro, siamo noi che invece adottiamo sguardi diversi. Per questo esco
allo scoperto e mi accuso davanti a tutti coloro che trattano dei problemi
delle giovani generazioni: io vedo il bicchiere mezzo pieno e anche un po’ di
più.
Al di la dell’impegno per avere uno sguardo da educatore,
quindi intelligente, è di fatto evidente che i cambiamenti intervenuti nella
vita delle giovani generazioni si presta a tanti nuovi rischi di cui gli
adulti, giustamente, sono molto preoccupati. C’è chi li riassume dicendo che il
mondo dei giovani è diventato ambiguo, un po’ è vero, per questo è necessario
entrarci dentro trovando lì il terreno per l’annuncio da fare, perché il
Vangelo ha in sé la forza di guidare fuori da una vita indefinita verso una
scelta.
Del resto è sotto gli occhi di tutti come, i luoghi un tempo
deputati per istituzione alla formazione dei ragazzi, sono entrati in crisi,
non nel senso che sono da considerare come superati, ma perché i giovani li
hanno de-istituzionalizzati e si prendono la liberta di inserirvi nuove
ricerche, nuove domande di vita. Succede allora che il mondo adulto che ne ha
il governo e ne decide l’organizzazione, si trova molto in difficoltà quasi
come se fosse tolto il terreno sul quale fino ad ora si era camminato in modo
sicuro. Anche a causa di questa difficoltà di dare risposte e adeguare le strutture
formative alle nuove esigenze, i giovani hanno creato un binario parallelo
fatto di vita quotidiana passata accanto ad altri coetanei e insieme nel mondo
dei grandi, uno spazio per loro: il mondo della notte, la musica sempre accesa,
lo stare più fuori che in casa, il gruppo di amici.
Tutti questi spazi sono il luogo dove si maturano i criteri
di scelta e quindi chi sarò da grande, la scuola scelta, il lavoro che farò, in
quale Dio credere, come spendere la mia vita, quale partito politico votare e
così via. Tutte cose che per noi educatori alla fede sono centrali, quindi?
Innanzitutto esserci presenti, non per colonizzarli ma nella gratuità di chi
desidera “vivere con”.
Credo sia importante riaffermare questa cosa di fronte alla vita di tante nostre comunità che continuano a fare numerose e belle proposte, non sempre alla portata di tutti, non per cattiveria, ma perché chiedono a chi voglia aderire una scelta previa di abitare nei nostri spazi, adottare certi linguaggi non più scontati, sposare riti e ritmi nuovi. Non tutti i giovani sono disposti a fare questo “sforzo” iniziale pertanto si tagliano fuori anticipatamente da quanto viene preparato per loro.
Credo sia importante riaffermare questa cosa di fronte alla vita di tante nostre comunità che continuano a fare numerose e belle proposte, non sempre alla portata di tutti, non per cattiveria, ma perché chiedono a chi voglia aderire una scelta previa di abitare nei nostri spazi, adottare certi linguaggi non più scontati, sposare riti e ritmi nuovi. Non tutti i giovani sono disposti a fare questo “sforzo” iniziale pertanto si tagliano fuori anticipatamente da quanto viene preparato per loro.
Nonostante tutto questo
alcuni ragazzi decido di aderire formando un gruppo che si avvia lungo il
cammino previsto, ma oggi il gruppo pur restando una esigenza necessaria per
l’educazione, non è più sufficiente come unico strumento adottato dalla
progettualità pastorale.
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