A volte esiste uno strisciante pessimismo all’interno delle
nostre comunità cristiane riguardo il fenomeno religioso e la salute della
fede, spesso il tutto si fonda su presupposti che sono più pregiudizi diffusi
che non frutto di una riflessione attenta di quanto capita; quando poi il
discorso verte su temi che riguardano i giovani, ci troviamo ancora più esposti
a questo rischio.
Mi ricordo di aver partecipato a un consiglio pastorale nel
quale, giustamente, si è dato a tutti la possibilità di esprimersi sulla
“salute” della parrocchia; la maggior parte degli interventi si sono situati
all’interno di una logica di rimpianto del passato che non c’è più e delle cose
che ora non vanno. Non metto in dubbio la verità di quello che veniva detto, ma
ne sottolineo la parzialità che porta a trarre conclusioni errate sulla
situazione reale. È vero che la situazione non è più quella di una volta, ma il
principio che sia “peggiore” condiziona la lettura del dato sociale, tanto che
in pochi hanno evidenziato i numerosi cambiamenti positivi avvenuti in seguito
al formarsi di una nuova unità pastorale fra più parrocchie.
Un’analisi che parte e si ferma al “contare” le presenze a
un evento o l’accesso a certi passaggi iniziatici, non è capace di esprimere adeguatamente
il reale sentire della gente. Eppure quante volte mi trovo insieme a preti,
anche progressisti, dai quali ti aspetteresti un’ottica diversa nel guardare al
mondo, invece li trovi che discutono intorno a quanti bambini in meno hanno
battezzato rispetto la media, ai matrimoni civili in rapporto a quelli in
chiesa, al confronto fra i dati delle persone defunte fornite dall’anagrafe del
comune rispetto alle esequie religiose celebrate presso le proprie comunità.
Per non parlare dei tanti operatori pastorali o genitori che chiedo quanti sono
i ragazzi di un gruppo e fermandosi lì valutano la salute e l’efficacia di quel
loro incontrarsi; pur condividendo l’importanza del trovarsi insieme e della
bellezza di essere in tanti, credo che ci siano anche altri fattori che possano
fare di un gruppo numeroso una realtà poco in cammino e così di un gruppo
piccolo un qualcosa invece di fervente, vicina alle ricerche dei singoli
membri.
Il mio suggerimento non è di chiudere gli occhi o di tacere
gli interrogativi o problemi che si pongono di fronte a certe situazioni di
epocale cambiamento rispetto a quanto eravamo abituati prima, ma quello di uno
sguardo più ampio che si può fondare solo su un dialogo onesto intra
generazionale.
Troppo presto ci apprestiamo a scrivere testamenti funebri
di una Chiesa senza tenere conto della voce di due protagonisti centrali delle
vicende del mondo, ossia Dio e i giovani.
Occorre come Chiesa che rimettiamo al centro del nostro
presente la presenza di Dio e non la sua assenza, la speranza nei giovani
invece che una sorta di latente lamentela sullo stato delle cose.
Nella vita si può decidere di camminare guardano indietro o
avanti, io preferisco questa seconda modalità. Pensando all’impegnativo e bel
servizio di educatore accanto ai giovani, credo che questa mia scelta di
impostazione mi chieda di gridare a tutti la grande opportunità che è posta
nelle nostre mani: quella di far sì che proprio questi nostri ragazzi, dei
quali non si parla sempre molto bene, possano diventare nella Chiesa e per il
mondo non solo credenti “anonimi”, ma protagonisti di una nuova epoca per la
fede nel Dio portato a noi da Gesù.
Il compito sembra difficile, in tanti non vedono in loro il
necessario per far questo, ma più il fuggire dalla dimensione delle fede; a
volte i sospetti corrispondono a realtà, ecco allora il compito di favorire
l’incontro con il vero volto di Dio, troppe volte rimasto quello dell’infanzia
o costruito su preconcetti diffusi nella società, se non addirittura attraverso
una non corretta opera da parte di noi adulti. L’impegno può stare quindi nel
cercare di dare senso all’incontro con Dio, come un qualcosa che riguarda la
vita, la ricerca di felicità e i sogni grandi che si portano dentro. Questi
nostri ragazzi sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, forse ci possono
contagiare in questo stile affinché la Parola possa trovare linguaggi, messaggi
e vie di annuncio oggi non conosciute. Eppure tutto questo a volte mi sembra
che faccia un po’ paura a tanti di noi che preferiscono mantenere il dato
acquisito della fede piuttosto che esporsi alla necessità di un continuo stato
di conversione che ci viene chiesto dal mondo che cambia. Mi chiedo a volte se,
come Chiesa, non cogliendo le nuove sfide del mondo di oggi e rimanendo
guardinghi verso le novità portate dai giovani, rischiamo più che di perdere i
giovani di perderci noi.
Cosa spero? Che si ascoltino i giovani. Il papa ha indetto
un prossimo sinodo su di loro, occorrerà molto impegno perché non sia la
ricerca di un auto trionfalismo di una Chiesa dalla quale ormai si sentono
lontani, ma il sintonizzarsi con tutti e non solo con i pochi “buoni” rimasti.
Se si vogliono fare le cose per bene occorrerà tempo per incontrare soprattutto
chi fa più fatica ed è ancora molto in ricerca, chi non parla i nostri
linguaggi, non vede sempre bene i nostri modi di fare.
Ma siamo disposti a fare questo ed altro? Lo dico perché
tanto se ne parla, diverse e molteplici sono le ricerche e le indicazioni che
vengono dalle scienze umane quali psicologia e sociologia insieme anche alla
teologia pastorale, lo vi vede e lo si sa cosa i giovani cercano, così del
resto esiste una tradizione spirituale propria del cristianesimo ricchissima e
capace ancora oggi di incontrare le ricerche profonde delle persone. Eppure
siamo bloccati, quasi incapaci di comunicare la bellezza che abbiamo fra le
mani e che freme di incontrare la storia di tanta gente in attesa.
Si tratta di andare incontro, per far ciò occorre però
lasciare qualcosa del come si è sempre fatto fino ad ora, eppure lo si tarda a
fare; così con una mano ci sporgiamo per andare incontro, ma l’altra è ben
salda e non mollo quello che già abbiamo e che ci rende sicuri, succede così
che non ci si riesce a sporgere più di tanto, né prendere il largo per andare
verso chi ci aspetta.
Nessun commento:
Posta un commento