Ciao Chiara, sono contento della mail che mi hai scritto per
condividere le fatiche che insieme ad altri stai sopportando stando accanto ad
adolescenti non sempre gestibili, mi dispiace che voi possiate soffrirne e sono
solidale con voi e consapevole della situazione e delle complicanze annesse,
allo stesso tempo so anche che questo non toglie niente alla bellezza e
all’importanza dell’opera che portate avanti, anzi dice proprio che di voi c’è
bisogno.
Sappiate di non essere sole a combattere la buona battaglia
educativa, l’impegno in questo campo sta diventando progressivamente sempre più
impegnativo in tutti i settori: incontro sempre più insegnanti che faticano ad
avere il proprio ruolo riconosciuto da adolescenti che a volte superano anche
la maleducazione arrivando all’intimidazione e con genitori che non rispondono
agli appelli lanciati loro, del resto incontro anche parecchi genitori in
difficoltà e che soffrono non comprendendo le scelte dei propri figli e che
possono arrivare a scaricare la propria ansia sugli altri membri della rete
educativa, ci sono anche amministratori pubblici presi in contropiede e che
realizzano politiche giovanili poco efficaci, in mezzo ci siamo anche noi
educatori parrocchiali con un compito specifico che sarebbe quello
dell’educazione alla fede e che come tutti gli altri non possono più limitarsi
a fare il proprio “compito” perché l’approccio educativo oggi non può più
essere portato avanti a compartimenti stagni e ognuno deve essere un po’ genitori,
insegnate, assistente sociale, allenatore ed educatore. Dopo un lungo periodo
dove il sistema educativo si è basato sulla sviluppo di figure specializzate,
oggi richiede una grossa capacità di sintesi che ahimè non è di tutti.
Sì lavorare con gli adolescenti è molto dura, è proprio un
servizio e quasi una chiamata al martirio se essa è scelta liberamente e
accettata nelle condizioni di difficoltà che presenta. La situazione giovanile
in questi ultimi dieci anni è cambiata molto, gli stessi specialisti stanno elaborando
filoni nuovi di ricerca e così rivedendo i presupposti scientifici di
riferimento. Come è successo altre volte nel passato, siamo ad un cambiamento
di epoca simile ai suoi effetti al passaggio che si fu dal medioevo all’età
moderna.
Il sistema dell’obbligo catechistico in vista dei sacramenti
fatica molto, così come la Chiesa che lo usa tutt’ora come strumento per
raggiungere i suoi obiettivi di evangelizzazione delle giovani generazioni;
dovremmo fare anche noi come le scienze umane, ossia rivedere alla radice
obiettivi e strumenti ma ahimè la nostra struttura ecclesiale è parecchio
rigida e indietro in questo processo.
Tutto questo ve lo dico anche per alleggerire il vostro
senso di colpa, non è colpa di nessuno, ossia non si può trovare una responsabilità
specifica in capo a uno piuttosto che ad altri, è una corresponsabilità che
dovrebbe trovarci solidali nel fare qualcosa più che non cercare a chi dare la
colpa, ma ahimè la rete educativa non sempre funziona.
Con questo non voglio dire di arrendersi, sapendo che
l’ideale non è raggiungibile, siamo comunque messi nella condizione di fare il
possibile che le nostre forze e i nostri limiti possono arrivare a concepire. In
pastorale tante volte si tratta di provare e mettersi in gioco, con la disponibilità
anche di tornare indietro se si sbaglia. L’importante è tenere presente che le
scelte operative che adotteremo sono da valutare attentamente perché, al di là
delle loro conseguenze operative, mediano un modello di Chiesa e si porteranno
necessariamente dietro dei limiti perché noi per primi che le facciamo ne
abbiamo.
Al centro di quanto mi scrivevi ponevi la criticità che il
sacramento della Cresima porta essendo collocato nell’età delle medie, insieme
a tanti problemi ormai noti nel panorama ecclesiale. Per quanto mi riguarda io
lo collocherei all’inizio della giovinezza o con il passaggio alla maggiore età
in quanto legata anche ad altri cambiamenti di vita, gli altri sacramenti li
lascerei nell’infanzia, creando così un cammino ampio di vita che diventerebbe
da ripensare radicalmente dal punto vista pastorale e che attualmente trova in
movimenti o associazioni (azione cattolica, scout, cl …) uno stimolo di esempio
per il rinnovamento.
Riguardo al sentirsi in difficoltà non vedendo riconosciuto
il proprio ruolo, dice dell’importanza di costruire relazione con i ragazzi che
risulta la discriminante in tante situazioni, non è più il ruolo (qua di
educatore) che orienta a determinare il posto che occupi e l’autorevolezza che
quindi viene dalla tua presenza e dai tuoi interventi; il tutto matura molto
lentamente e progressivamente in una vicinanza di tanto tempo passato accanto e
della condivisione di vita che non dovrebbe limitarsi al solo momento
dell’incontro, fanno infatti una grande differenza il tempo passato in una
uscita dove ci sei sempre e la tua vicinanza è percepita distribuita lungo la
vita e non fissata nell’interesse specifico finalizzato all’istruzione
cristiana. Servirebbe quindi più tempo per stare con loro, anche perdendo
tempo, guardandoli, ascoltandoli, in un apparente immobilismo che invece è
vicinanza a una vita che in loro cresce molto velocemente. In ogni caso, alla
fine non è garantito niente perché la relazione non dipende solo da noi, ma
anche dall’altra parte e quindi la conclusione può risultare nuovamente difficile.
Mentre una volta ci si riferiva al ruolo dell’educatore in termini di
asimmetria di rapporto, oggi questo modello “verticale” chiede di essere
reinterpretato alla luce di una
multidimensionalità: insieme al sopra o sotto o alla pari,
c’è un vicino e lontano, un significativo o neutrale o insignificativo, e così via
con altre dimensioni che si mescolano tra di loro.
Non credo dobbiamo essere stupiti del verifica come i
ragazzi, pur essendo sempre gli stessi, si comportano in modo diverso a seconda
delle situazioni che si presentano. La multi appartenenza odierna orienta a condotte
che, in una adolescenza non ancora caratterizzata dalla formazione del
carattere, si adegua quando entra in contatto con le diverse norme o usi del
gruppo nel quale vive certe esperienze. Anche per questo credo quindi che la
situazione pesante che state sperimentando sia attribuibile ad un errore vostro
iniziale, il nodo è molto più complesso e formato da tanti altri che andrebbero
sciolti per rifare la matassa. Come educatori cristiani che si fanno carico
della vita, noi ci facciamo carico anche di quando questa puzza, a tutti viene
spontaneo tapparsi il naso, san Francesco stesso dice che quando ha baciato il lebbroso
non è che il suo senso di ribrezzo fosse passato, ha dovuto combattere contro
quanto il suo stomaco e la sua testa gli diceva per riuscire a compiere il
meglio che Dio gli chiedeva.
Infine, ma non per importanza, in noi educatori alla fede
c’è un elemento in più rispetto agli altri componenti delle rete educativa, c’è
un Dio che segna un cammino e invita a compiere certi passi nei confronti delle
povertà di oggi e dell’amore per le persone, addirittura per i nemici, che
anche quando amati rimangono nemici. Quindi occorre che ci chiediamo come
cristiani, di fronte a una situazione difficile che ci fa venire la nausea solo
a pensarci, che mi fa dire che sono un pazzo ad andarci, cosa Dio mi chiede e
come e se con i miei limiti posso fare qualcosa.
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