giovedì 24 novembre 2016

A una educatrice

Ciao Chiara, sono contento della mail che mi hai scritto per condividere le fatiche che insieme ad altri stai sopportando stando accanto ad adolescenti non sempre gestibili, mi dispiace che voi possiate soffrirne e sono solidale con voi e consapevole della situazione e delle complicanze annesse, allo stesso tempo so anche che questo non toglie niente alla bellezza e all’importanza dell’opera che portate avanti, anzi dice proprio che di voi c’è bisogno.
Sappiate di non essere sole a combattere la buona battaglia educativa, l’impegno in questo campo sta diventando progressivamente sempre più impegnativo in tutti i settori: incontro sempre più insegnanti che faticano ad avere il proprio ruolo riconosciuto da adolescenti che a volte superano anche la maleducazione arrivando all’intimidazione e con genitori che non rispondono agli appelli lanciati loro, del resto incontro anche parecchi genitori in difficoltà e che soffrono non comprendendo le scelte dei propri figli e che possono arrivare a scaricare la propria ansia sugli altri membri della rete educativa, ci sono anche amministratori pubblici presi in contropiede e che realizzano politiche giovanili poco efficaci, in mezzo ci siamo anche noi educatori parrocchiali con un compito specifico che sarebbe quello dell’educazione alla fede e che come tutti gli altri non possono più limitarsi a fare il proprio “compito” perché l’approccio educativo oggi non può più essere portato avanti a compartimenti stagni e ognuno deve essere un po’ genitori, insegnate, assistente sociale, allenatore ed educatore. Dopo un lungo periodo dove il sistema educativo si è basato sulla sviluppo di figure specializzate, oggi richiede una grossa capacità di sintesi che ahimè non è di tutti.
Sì lavorare con gli adolescenti è molto dura, è proprio un servizio e quasi una chiamata al martirio se essa è scelta liberamente e accettata nelle condizioni di difficoltà che presenta. La situazione giovanile in questi ultimi dieci anni è cambiata molto, gli stessi specialisti stanno elaborando filoni nuovi di ricerca e così rivedendo i presupposti scientifici di riferimento. Come è successo altre volte nel passato, siamo ad un cambiamento di epoca simile ai suoi effetti al passaggio che si fu dal medioevo all’età moderna.
Il sistema dell’obbligo catechistico in vista dei sacramenti fatica molto, così come la Chiesa che lo usa tutt’ora come strumento per raggiungere i suoi obiettivi di evangelizzazione delle giovani generazioni; dovremmo fare anche noi come le scienze umane, ossia rivedere alla radice obiettivi e strumenti ma ahimè la nostra struttura ecclesiale è parecchio rigida e indietro in questo processo.
Tutto questo ve lo dico anche per alleggerire il vostro senso di colpa, non è colpa di nessuno, ossia non si può trovare una responsabilità specifica in capo a uno piuttosto che ad altri, è una corresponsabilità che dovrebbe trovarci solidali nel fare qualcosa più che non cercare a chi dare la colpa, ma ahimè la rete educativa non sempre funziona.
Con questo non voglio dire di arrendersi, sapendo che l’ideale non è raggiungibile, siamo comunque messi nella condizione di fare il possibile che le nostre forze e i nostri limiti possono arrivare a concepire. In pastorale tante volte si tratta di provare e mettersi in gioco, con la disponibilità anche di tornare indietro se si sbaglia. L’importante è tenere presente che le scelte operative che adotteremo sono da valutare attentamente perché, al di là delle loro conseguenze operative, mediano un modello di Chiesa e si porteranno necessariamente dietro dei limiti perché noi per primi che le facciamo ne abbiamo.
Al centro di quanto mi scrivevi ponevi la criticità che il sacramento della Cresima porta essendo collocato nell’età delle medie, insieme a tanti problemi ormai noti nel panorama ecclesiale. Per quanto mi riguarda io lo collocherei all’inizio della giovinezza o con il passaggio alla maggiore età in quanto legata anche ad altri cambiamenti di vita, gli altri sacramenti li lascerei nell’infanzia, creando così un cammino ampio di vita che diventerebbe da ripensare radicalmente dal punto vista pastorale e che attualmente trova in movimenti o associazioni (azione cattolica, scout, cl …) uno stimolo di esempio per il rinnovamento.
Riguardo al sentirsi in difficoltà non vedendo riconosciuto il proprio ruolo, dice dell’importanza di costruire relazione con i ragazzi che risulta la discriminante in tante situazioni, non è più il ruolo (qua di educatore) che orienta a determinare il posto che occupi e l’autorevolezza che quindi viene dalla tua presenza e dai tuoi interventi; il tutto matura molto lentamente e progressivamente in una vicinanza di tanto tempo passato accanto e della condivisione di vita che non dovrebbe limitarsi al solo momento dell’incontro, fanno infatti una grande differenza il tempo passato in una uscita dove ci sei sempre e la tua vicinanza è percepita distribuita lungo la vita e non fissata nell’interesse specifico finalizzato all’istruzione cristiana. Servirebbe quindi più tempo per stare con loro, anche perdendo tempo, guardandoli, ascoltandoli, in un apparente immobilismo che invece è vicinanza a una vita che in loro cresce molto velocemente. In ogni caso, alla fine non è garantito niente perché la relazione non dipende solo da noi, ma anche dall’altra parte e quindi la conclusione può risultare nuovamente difficile. Mentre una volta ci si riferiva al ruolo dell’educatore in termini di asimmetria di rapporto, oggi questo modello “verticale” chiede di essere reinterpretato alla luce di una
multidimensionalità: insieme al sopra o sotto o alla pari, c’è un vicino e lontano, un significativo o neutrale o insignificativo, e così via con altre dimensioni che si mescolano tra di loro.
Non credo dobbiamo essere stupiti del verifica come i ragazzi, pur essendo sempre gli stessi, si comportano in modo diverso a seconda delle situazioni che si presentano. La multi appartenenza odierna orienta a condotte che, in una adolescenza non ancora caratterizzata dalla formazione del carattere, si adegua quando entra in contatto con le diverse norme o usi del gruppo nel quale vive certe esperienze. Anche per questo credo quindi che la situazione pesante che state sperimentando sia attribuibile ad un errore vostro iniziale, il nodo è molto più complesso e formato da tanti altri che andrebbero sciolti per rifare la matassa. Come educatori cristiani che si fanno carico della vita, noi ci facciamo carico anche di quando questa puzza, a tutti viene spontaneo tapparsi il naso, san Francesco stesso dice che quando ha baciato il lebbroso non è che il suo senso di ribrezzo fosse passato, ha dovuto combattere contro quanto il suo stomaco e la sua testa gli diceva per riuscire a compiere il meglio che Dio gli chiedeva.
Infine, ma non per importanza, in noi educatori alla fede c’è un elemento in più rispetto agli altri componenti delle rete educativa, c’è un Dio che segna un cammino e invita a compiere certi passi nei confronti delle povertà di oggi e dell’amore per le persone, addirittura per i nemici, che anche quando amati rimangono nemici. Quindi occorre che ci chiediamo come cristiani, di fronte a una situazione difficile che ci fa venire la nausea solo a pensarci, che mi fa dire che sono un pazzo ad andarci, cosa Dio mi chiede e come e se con i miei limiti posso fare qualcosa.

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