martedì 15 novembre 2016

Voglio delle prove

Un giorno parlavamo della Chiesa con un gruppo di ragazzi, leggendo alcuni brani degli Atti degli Apostoli che parlavano del loro stile di vita (cfr. At 2,42-63; 4,32-37). A un certo punto un ragazzo salta su e condivide tutta la propria difficoltà a crede a qualcosa senza avere delle prove, i primi cristiani avevano visto Gesù o almeno era stato così per i suoi discepoli che raccontavano il tutto di prima mano, mentre a noi oggi rimane solo un libro da leggere. Compare sotto una domanda di vita: vale la pena mettersi in gioco così come ce lo propone oggi la Chiesa ed è possibile farlo in modo bello e felice? 
Riguardo il campo della fede, il fermarsi alla solo razionalità non basta, lo stesso libro degli Atti degli Apostoli non può diventare un’arma di citazioni da usare a sostegno che le cose siano andate così come le raccontiamo. Vi troviamo piuttosto la testimonianza, capitolo dopo capitolo, che la prova più eloquente non è la parola di alcuni, ma il loro vivere insieme; un gruppo di persone che realizza qualcosa di nuovo e quasi impensabile sia per quei tempi che per oggi, è ciò che condividono la prova di quello in cui credono. Non bastano spiegazioni sociologicamente sensate per chiarirne la nascita, è quello che è successo e di cui essi sono testimoni che ha fatto cambiare i loro modi consueti di vita. Mentre tutto questo accade, chi vive loro accanto si rende conto della cosa, questo fa nascere tante domande insieme anche a una certa ammirazione, per alcuni diventa luogo di conversioni mentre per altri occasione di annuncio.
Anche oggi, una novità che come Chiesa possiamo offrire a questo mondo che esaspera la dimensione soggettiva della conoscenza, è quella di fidarsi della parola di altri che prima di noi hanno camminato per la stessa strada, come questo ci metta in collegamento diretto con quanto visto e sperimentato dagli apostoli; l’ascolto di un parola che diventa “Parola”.
Accettare e riconoscere che in questo mondo, ci può essere qualcuno con un ruolo particolare di guida, che merita la nostra fiducia, che ci aiuta a rimanere e camminare insieme verso la verità. Sono uomini come noi, eppure è possibile anche quando non sono trasparenti come vorremmo, percepire attraverso di loro la presenza di un Dio che accompagna e che parla anche attraverso parole e voci che non sempre sono raffinate o perfette.
Un segno che testimonia che dietro a tutto c’è qualcosa di vero, è vedere possibile che gente diversa al proprio interno, per origine, ceto, luogo di nascita, colore della pelle, possa diventare un’unica realtà che prega, agisce e ama insieme. Una unità impossibile secondo le nostre sole forze, ma resa possibile perché Dio esiste, perché c’è lui con la compagnia del suo Spirito.
Anche nella fedeltà che la comunità porta ai momenti di preghiera possiamo trovare un senso a sostegno del nostro credere. Tutti, cristiani e non, hanno oggi vite molto impegnate, le cose da fare sono tante, eppure c’è chi decide di non assecondare semplicemente i ritmi che il mondo di oggi ci pone. La preghiera ci costa, essa sembra tempo rubato al darci da fare, così come ci abitua il contesto intorno a noi che tanto mira all’ottimizzazione di tutto. La novità viene da una comunità che, nonostante le tante preoccupazioni tipiche della gente del proprio tempo, riesce a dedicare tempo alla preghiera, per essere così coinvolta nell’agire secondo Dio.
Al tempo di Gesù c’erano alcuni gruppi di fedeli che erano in attesa della venuta del Regno di Dio, l’incontro con questo nuovo maestro proveniente dalla Galilea che si professava insieme figlio dell’uomo e del Padre, ha riattivato nuove speranze in chi lo seguiva, di poter vedere e fare esperienza della realtà del nuovo Regno inaugurato dalla venuta del Messia. 
Un giorno, presi da questo entusiasmo, alcuni farisei (cfr. Lc 17,20-25) andarono da Gesù proprio a chiedergli questo. La risposta fu che le cose non funzionano come a capodanno quando i fuochi d’artificio e i numerosi varietà in diretta ne scandiscono il conto alla rovescia, Dio viene ma non attira l’attenzione, non si tratta di fare una caccia al tesoro dove accumulati tutti gli indizi avremo la mappa per trovare la X che segna il luogo dove Dio è nascosto. Il Regno, la sua presenza, la novità che rinnova tutto non è legata a un luogo e a un momento, ma ad una dimensione di relazione, il nostro essere insieme per Dio, il tutto è cioè già in mezzo a noi. Questo significa che esso è anche mischiato alle tante cose di ogni giorno, con a volte la possibilità che sia anche nascosto se nella nostra vita diamo più attenzione al limite e alla voce del nemico che parla dentro di noi. Da qui la necessità del discernimento, che non è tenere qualcosa della nostra vita e abbandonare altro, ma trovare quella chiave interpretativa, quel criterio di sintesi capace di dare unità a quanto dentro e intorno a noi sembra non andare per la stessa strada.
Dio c’è, è così vicino che non ce ne rendiamo conto perché a volte pensiamo sia così lontano che il nostro sguardo è proiettato oltre, occorre allora una conversione di sguardo anche perché il metodo di ricerca scientifica di oggi porta a cercare le risposte sempre in un oltre che a volte si dimentica del vicino e di noi.
Dio non è esteriormente e razionalmente verificabile secondo i criteri a cui siamo abituati ogni giorno, non può essere calcolato o misurato o pesato, non si lega a strutture o rituali magici sempre uguali. Invece è immerso nelle realtà abituali dell’agire umano, in ogni individuo o creatura, perché egli ama ogni essere, vita o storia; qualcuno potrebbe dire che il tutto avviene di nascosto perché non si vede, eppure nonostante tutto questo agisce anche se non lo sentiamo.

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