lunedì 4 gennaio 2016

Custodire nel cuore

Al termine della Messa mentre saluto la gente, una coppia se ne sta un attimo in disparte, vedo che attende e penso aspetti me. Vado loro incontro e dopo esserci salutati la madre mi dice subito il motivo del loro essere lì. Con un tono che parla tanto di amore quanto di pena dice: “mio figlio”. Le lacrime le giungono subito agli occhi e mi sembra il caso di cercare un luogo più discreto dove ci si possa trovare a proprio agio per proseguire il dialogo.
Passiamo pochi minuti insieme, ognuno di noi ha la propria vita che chiama, questo non impedisce di usarne un po’ per parlare di quanto urge. Ho davanti dei bravi genitori, che hanno cercato nella loro vita di educare proprio figlio; lo hanno visto crescere, fare tante esperienze, poi piano piano prendere la propria strada lasciando anche le tante attività sognate per lui. Ma ora è troppo, è cambiato, non lo riconoscono più; il linguaggio, il modo di fare e di scegliere, non è quello che gli è stato insegnato. Arriva la crisi, la madre inconsolabile, il padre più razionale.
Stiamo rischiando però di andare fuori strada, quindi cerchiamo di non parlare solo delle cose che fa o no, ma del perché si comporta così; non solo del chiedergli di adeguarsi e rispettare in famiglia certi modi di parlare e agire, ma il perché farlo e cosa vuole lui. Ma ahimè, non possiamo più andare avanti, manca il protagonista principale, il figlio, non possiamo andare avanti, occorre richiamarlo in campo insieme alle sue motivazioni.
Tutto potrebbe sembrare finito, siamo quasi pronti a salutarci, mi permetto però di far notare loro che oggi non sono solo qua per lui ma anche per loro. Il “problema” del figlio è anche la questione aperta di come loro genitori possano affrontare la cosa, di come vivere la sofferenza e il sentirsi incompresi. Purtroppo loro ci sono, ma non il tempo adeguato per poter continuare, ci salutiamo dicendoci che ci saremmo rivisti.
A loro, ai tanti educatori che si sentono toccati e vivono le difficoltà legate alla crescita dei più giovani, lascio queste parole.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo". Ed egli rispose loro: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".  Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Lc 2,41-52
Davanti a questo Vangelo che ci porta a contemplare Gesù nel mistero della sua crescita e maturazione, da educatori non possiamo non pensare ai tanti ragazzi incontrati, al cammino speciale di ciascuno; l’età avanza, con essa anche la sapienza e il rapporto con Dio sono chiamati in gioco in un confronto che li vede alle prese, nel confronto con gli altri propri coetanei e il mondo adulto.
Gesù lo intravediamo intento ad ascoltare e domandare; quanti ragazzi ho scoperto desiderosi di una parola, certamente non sempre motivati a metterla in pratica, ma comunque assetati nella ricerca di un aiuto o una indicazione per il proprio cammino; e quante domande mi sono state rivolte in questi anni, non cose di poco conto, ma tanti interrogativi riguardo il senso della vita anche se espressi attraverso parole semplici. È sempre stato comunque un dialogo non semplice, ho trovato poche persone capaci come gli adolescenti di saperti mettere alla prova.
Eppure eccoci qua, mondo adulto angosciato di fronte a una gioventù che abbiamo perso di vista. Si danno troppe cose per scontate; Maria pensava che Gesù fosse con gli uomini visto il posto che ormai occupava nella comunità, Giuseppe credeva che fosse con la madre e con gli altri ragazzi con i quali aveva sempre giocato fino ad ora; mentre Gesù è intento a prendersi cura della propria crescita, nel cominciare a decidere di sé senza condividerne granché con i genitori.
Così anche nella Santa Famiglia si svela un rapporto generazionale nel quale compare una nota di dolore, espressa dal comportamento e dalle parole dei genitori che non riescono a contenere il proprio stupore, sia per quello che ha fatto, sia per come lo vedono cambiato nel suo stare in mezzo agli altri.
Ci sono cose dei nostri ragazzi che noi non conosciamo e non comprendiamo, che sono però legate al diventare grandi; cominciano a saltare i modi di fare, i linguaggi, i ritrovi, gli amici, gli interessi, di quando erano piccoli; noi continuiamo a “cercali” lì ma non li troviamo e ce ne stupiamo. È una esperienza che tutti coloro che sono impegnati in ambito educativo devo affrontare, il ritrovarsi a cercare i ragazzi lì dove non sono per imparare a trovarli lì dove sono. Credo ne valga la pena, tutte le volte nelle quali mi sono messo convinto alla ricerca del perché un giovane amico si comportasse in un certo modo, dopo la fatica e la ricerca, sono riuscito ad accoglierlo nella sua unicità, anche se devo ammettere che qualcosa di non compreso fino in fondo rimane sempre.
Non capiamo tante volte gli appelli che la vita fa ai nostri ragazzi e come ad essi seguano scelte non sempre conciliabili con il nostro sguardo adulto. Non comprendiamo perché sentano la necessità di fare certe esperienze, così come i genitori di Gesù non compresero che lui dovesse occuparsi delle cose del Padre suo; al centro non c’è solo il dovere fare delle cose, ma essere quelle cose; il nucleo non è il fare, ma l’esistere.
Non capiamo tante cose dei giovani, alcune ci fanno soffrire, altre arrabbiare, occorre che impariamo da Maria il saper “custodire nel cuore” insieme al saper meditare su queste cose. Riscoprire che il rapporto con chi è giovane, è fondato anche sul mistero, che chiede di superare la presunzione di adulti che vogliono capire e giudicare tutto. Occorre rimanere in una “meditazione stupita”.

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