lunedì 12 ottobre 2015

Il dono delle lingue: linguaggi nuovi

Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: "Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? (At 2,5-7).
Qualche tempo fa ho incontrato un giovane appena maggiorenne, da ragazzo aveva frequentato il catechismo, ma arrivato alla quinta elementare aveva lasciato tutto, ora per via di dover fare da padrino a suo cugino stava frequentando il corso per adulti di preparazione alla Cresima, un gruppetto che mette insieme persone che desiderano ricevere questo sacramento.
Era un po’ che non lo vedevo, anche se non ci si era persi del tutto, in un paese come il nostro non è semplice cancellare le proprie tracce. Gli chiesi come stava, tra una cosa e l’altra arrivammo a parlare anche della preparazione alla Cresima, non lo vedevo molto convinto; arrivai a scoprire che la questione riguardava il fatto che capiva poco di quello che gli veniva detto.
Mi feci un po’ raccontare di cosa parlavano, mi fece vedere alcune schede, mi disse cosa non capiva. Dal punto di vista dei contenuti era tutto giusto, il problema mi parlano più le parole e i termini usati che, per noi addetti ai lavori, sono pane quotidiano, ma non costituiscono più il sottofondo culturale di una società che ormai parla in altri modi e con altri riferimenti filosofici di fondo.
Le parole usate erano teologicamente giuste, ma non bastava. Mi venne in mente il brano degli Atti che avete letto all'inizio, di come il primo annuncio fatto dagli apostoli senza la presenza di Gesù aveva saputo parlare a gente un po’ di tutto il mondo, superando le distanze di lingua e cultura. Mi dissi: oggi per noi, il dono delle lingue, è anche la capacità di parlare nuovi linguaggi.
Credo che i segni che come Chiesa da sempre e ancora oggi poniamo, mantengano la propria forza, le parole il proprio valore, ma hanno perso il loro significato relazionale: non riescono più a favorire l’incontro tra la persona comune e Dio. Si tratta di chiedere allo Spirito che ci aiuti, in coerenza con la tradizione, a parlare linguaggi nuovi che sappiano mettere in contatto con Dio, far sentire accolte le persone senza chiedere loro prima di compiere un "corso" di alfabetizzazione teologica.
La cosa riguarda certamente il saper parlare secondo le novità che lo sviluppo contemporaneo comporta, ma penso soprattutto al non dar per scontato che il vocabolario ecclesiastico sia di per sé comprensibile, esso non rappresenta un dogma ma è a servizio del deposito della fede perché venga sempre meglio compresa e accolta.
Mi sembra anche l’invito rivolto da papa Francesco durante un suo colloquio con i Superiori Generali dei vari istituti di vita consacrata. Chi lavora con i giovani non può fermarsi a dire cose troppo ordinate e strutturate come un trattato, perché queste cose scivolano addosso ai ragazzi. C’è bisogno di un nuovo linguaggio, di un nuovo modo di dire le cose. Oggi Dio ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere inviati.
Se come educatori alle fede delle nuove generazioni accogliamo questo invito, il compito è presto dato. Non è importante prima di tutto dire delle cose e in ogni caso non si parte da lì. Non è possibile continuare a fare incontri dove basta guardare il volto dei ragazzi per capire che quanto viene detto non li tocca, questo non perché siano distratti ma perché li distraiamo noi con cose poco vitali, meglio in questi casi avere il buon senso di fermarsi, ma purtroppo capita di incontrare chi parla più per sé stesso che per i giovani.
Occorre, non da soli, mettersi intorno a un tavolo, convinti della bellezza e della validità della bella notizia della quale siamo portatori, chiedendoci come essa oggi può essere detta ai ragazzi concreti che conosciamo e che abbiamo tra le mani, con quello che passano nel resto della loro vita, nel loro essere esposti a un mondo che a loro parla in un certo modo. In sintesi: occorre essere concreti!

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