La bellezza è un tema di cui si parla poco, qualcuno direbbe
che le riviste e la televisione non fanno altro che trattarne, in realtà
neanche loro ne parlano, ma cercano piuttosto di aggregare le persone intorno a
modelli scelti secondo i propri fini. Esempio stupido: se produco calze, non
posso produrne un numero infinito, avrò un certo assortimento e ogni anno ne
manderò fuori alcune nuove, sapendo che ognuno ha i propri gusti, dovrò
convincere la gente che le calze che ho appena lanciato sul mercato sono belle
e rendono belli, quindi cercherò di orientare la ricerca di bellezza perché
venga saziata dalle calze che offro. Questo non è parlare di bellezza, ma è
restringerne l’ambito, non è aiutare a farla fiorire, ma piegarla. Il mio
discorso però non vuole essere contro nessuno, ma rimettere al centro un
argomento delicato per la vita dei nostri ragazzi.
La ricerca di bellezza, avvia una avventura entusiasmante
nella vita degli adolescenti, essa ha però esisti incerti sottoposta com’è agli
sguardi costanti dei propri compagni, ai modelli proposti dal mondo e
soprattutto radiografata da come lo specchio di casa mi riflette prima di
avventurarmi nella vita di ogni giorno.
Quando si entra nello specifico di questo tema con i ragazzi,
occorre veramente aspettarsi di tutto, neanche loro sanno di preciso cosa sia,
questo porta a sperimentare tante possibilità di cui il corpo si può rivestire.
Noi adulti a volte rimaniamo stupidi, soprattutto di fronte a tentativi mal
riusciti, eppure il tutto dovrebbe anche suscitare da parte nostra un minimo di
meraviglia: in campo c’è il cammino di crescita, quel corpo per noi mal
truccato o mal vestito sta fiorendo, occorre aiutarlo non contrastarlo.
Parlando di bellezza occorre anche considerare la bruttezza,
di essa non si scrive, nessuno si lamenta di questo, eppure è un conflitto
presente nell’intimo dei ragazzi; proprio lì dove abita quello che pensano di
sé e quello che pensano che gli altri pensino di me. Questo per loro è
“oggettivo” e non quanto gli altri dicono. Occorre prendere seriamente quanto
emerge da loro quando si tratta di queste cose, solo in un contesto di
accoglienza e riconoscimento è possibile proporre un annuncio nuovo per la
vita.
Il compito di chi educa chiede di essere rivolto ad aiutare
a farsi una immagine corretta del proprio corpo, occorre rimettere al centro la
questione della bellezza e della falsa bruttezza, è una lotta contro la paura
che può essere vinta se sostenuti nel comprendere cosa c’è veramente in campo.
L’impegno dovrebbe essere di fare cultura, o anti-cultura rispetto quella
attuale, rimettere al centro il corpo in tutto il suo valore relazionale ed
etico. Così si da speranza a tutti coloro che sentendosi brutti, possono far
proprio un nuovo modo di vivere, mettendo al centro cosa conta veramente.
L’impegno richiesto è grande, in automatico questa cosa non avviene, essendo il
mondo molto forte nello spingere in un’altra direzione. Non si tratta di
trasmettere dei concetti o delle norme, i ragazzi di oggi conoscono già tante
cose, la questione centrale si gioca nel riuscire a mettere ordine e nel dare
una direzione giusta alle tante forze positive che nascono dalla ricerca dei
giovani.
Uno dei punti di partenza è il valutare che la bellezza
chiama in causa la relazione, non è una questione affrontabile individualmente,
ma solo entrando nella logica che per essere bello ho bisogno dell’altro.
Parlare di bellezza significa rendersi conto che quanto è proprio del mio corpo
e di tutta la mia vita, anela a un desiderio di pienezza che non può esaurirsi
in me stesso, esso mi lancia in una ricerca.
In secondo luogo, rendersi conto che in un mondo che esalta
tante cose temporanee, occorre rimettere al centro il valore in sé della
persona umana come capace di superarsi andando oltre sé. Nel Cantico delle
Creature, san Francesco scrive un inno alla bellezza come luogo di incontro con
Dio, fino a mostrare che anche le cose meno desiderate e più fuggite con paura,
se considerate oltre il qui e ora, riassumo una nuova bellezza che conduce
anch’essa a Dio.
Famosa è l’espressione contenuto nell’opera “L’idiota” di
Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Questo tema assume nella sua
ricerca un ruolo centrale, essa ritorna all’interno del romanzo “I fratelli
Karamazov”. Capita che Ipolit domandi al principe Mynski come potrebbe la
bellezza riuscire a salvare il mondo; arriva una risposta non fatta da parole,
il principe senza dire nulla si reca presso un giovane diciottenne in fin di
vita. Lì si ferma accanto a lui fino al momento della morte in una vicinanza
compassionevole che diventa amore. La narrazione muove molto più di tante
definizioni, ci si rende così conto che bellezza e amore si nutrono
reciprocamente e che sono entrambi possibili anche di fronte al dolore.
“Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza bellezza è
impossibile”, così Dostoevskij più volte ripeteva. Per lui la cosa non
riguardava solo una questione di estetica, ma toccava il centro della vita
morale e religiosa della persona.
Se c’è un maestro di bellezza questo è proprio Gesù, questo
perché porta ad amare l’altro, anche se nemico, come un fratello. Già prima,
fin dal racconto della creazione, Dio mostra quale debba essere lo sguardo
giusto per contemplare tutto quello che esiste. Occorre una riabilitazione
intelligente della vista, perché sappia andare oltre l’apparenza, come Dio che
contemplando le opere da lui create, le vede come buone e quindi belle.
L’inizio della Bibbia mostra un cammino di educazione, esso ci vuole condurre ad
unirci a Dio nell’esclamare: che bello! Ci troviamo così di fronte a una sfida,
riconoscere la dimensione di dono presente in ogni realtà, la loro gratuità.
Le persone però fecero fatica. Arrivò Gesù a portare una
bella notizia per tutti, questo è il significato del termine greco “euanghélion”
conosciuto da noi come “Vangelo”. È l’offerta data di poter recuperare
l’armonia persa a causa della prima disobbedienza (chiamata peccato originale).
Lo fa in termini poco meno che folli, perché la bellezza che salva il mondo è
quella della vita data per amore che passa dalla morte in croce, morte
scandalosa. Proprio lì, questo segno di disprezzo, diventa sorgente di vita; lì
dove c’è quanto ritenuto umanamente più degradante, rinasce la vita. Questo
rappresenta un annuncio non semplice da digerire. Capace però di cambiare la
vita di ogni giovane che incontriamo.
Mentre i Giudei
chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo
crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che
sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.
Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è
debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Considerate infatti la
vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di
vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il
mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il
mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e
disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al
nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.
(1Cor 1,22-29)
Come ai tempi di san Paolo, anche oggi la croce appare ai
più una fregatura. Invece proprio per quelli che si fidano di Dio, essa diventa
la via per riscoprire una nuova e vera bellezza, capace di scardinare le
logiche e le mode del mondo affermando che: la sapienza è nella stoltezza, la
potenza la si trova nella debolezza e la bellezza in quanto il mondo giudica
come bruttezza. È così che quel crocifisso diventa bello, così possiamo dare
ragione a Dostojevskij: è la bellezza che salva il mondo.
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