Sono passati duecento anni dalla nascita di san Giovanni
Bosco, eppure i suoi insegnamenti e la sua profetica vicinanza al mondo
giovanile, continuano a essere tutt’ora validi; forse solo oggi, alla luce
dell’evoluzione della moderna pedagogia, ci si rende conto dell’innovazione
portata avanti dal cuore di questo grande santo, che pian piano diventa un vero
e proprio pensiero sull’educazione delle giovani generazioni.
Don Bosco si rende presto conto che il metodo “repressivo”,
impostato sul punire quando si scopre la violazione, non giunge al vero centro
del problema, esso infatti mira a castigare ma non a educare, a limitare il
male invece che a invitare al bene. Ecco perché occorre un cambiamento
completo, una vera e propria conversione che chiede una trasformazione di testa
e di cuore in chi si approccia al compito dell’educazione: mettere al centro
l’anticipare così da evitare che si possa compiere il male. Da qui nasce il
sistema preventivo.
Il Sistema preventivo
[...] consiste nel far conoscere le prescrizioni e i regolamenti di un Istituto
e poi sorvegliare in modo, che gli allievi abbiano sempre sopra di loro
l'occhio vigile del Direttore o degli assistenti, che come padri amorosi
parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente
correggano, che è quanto dire: mettere gli allievi nella impossibilità di
commettere mancanze. Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione
e sopra l’amorevolezza.
Il prevenire ci chiede di essere attenti e non sprovveduti. Si sa, spesso i ragazzi si lasciano tentare da
certe situazioni o sono amanti del nuovo e del rischioso, occorre vigilare
sapendo anticipare ed evitare certe situazioni sbagliate. Già questo è un passo
avanti, ma non basta, occorre anche mostrare come poter usare positivamente le
proprie energie e passioni, senza far sentire il ragazzo in colpa solo per il
fatto di provare certe cose: occorre indicare una via positiva che possa esprimere
la bellezza della propria ricerca.
Determinante, insieme all’indicazione del modo corretto di
fare le cose, è il dare consigli, l’essere presente e quando capita il saper
correggere con amore. Spesso, stando in oratorio con ampi spazi aperti, mi
fermo in compagnia di un gruppetto tenendo l’occhio vigile anche sugli altri; so
che se la palla esce dalla recinzione ci sarà qualcuno a cui viene voglia di
scavalcare nonostante sia vietato per via del rischio, a volte è sufficiente
farsi vedere senza dire niente per evitare il crearsi di situazioni pericolose.
Più di una volta mi è capitato, con ragazzi che erano abituati a usare
linguaggi volgari o offensivi in modo abituale, di sentirmi dire: don, quando
ci sei tu riesco a parlare bene. Certo la presenza non risolve tutto e a volte
rimedia solo nel momentaneo, ma all’interno di un sistema ha anch’essa il suo
ruolo.
È fuori discussione che al centro occorra che venga messa la
relazione, anche nello stare in mezzo ai ragazzi; era sempre chiaro in don Bosco
il desiderio di passare più tempo possibile in mezzo ai giovani. Il rapporto
che si crea chiede che se ne abbia cura, diventa il mezzo attraverso il quale
passa o meno quando desideriamo trasmettere. È quindi presente una reciprocità
che assume un carattere asimmetrico, questo perché è diverso il ruolo di
ciascuno al fine di raggiungere il bene che ci si prefigge. Non sto dicendo che
esiste una superiorità dell’educatore sul ragazzo, ma che occorre evitare un
appiattimento della relazione a livello di solo “amiconi”. Quando incontro
genitori che parlano dei loro figli descrivendoli come confidenti o amici, mi
preoccupo del bene di entrambi e della loro relazione. Così anche di quanti,
arrivata una certa età dei figli, cominciano un po’ troppo alla svelta a
disinteressarsi del tutto, seguendo la logica: ormai è grande decide lui;
nasconde spesso un disimpegno educativo più che una reale valorizzazione del
responsabilizzare secondo l’età.
Un aspetto proprio di quanti come noi credo in Dio, è la
consapevolezza che in questo impegno a servizio dei più giovani, non siamo da
soli. Don Bosco era molto chiaro nel ricordare che “l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi
non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce insegna l’arte, e non ce ne
mette in mano le chiavi”. Questo è un dato di partenza non indifferente,
sia nel come vada intesa l’opera educativa, sia nel come essa si compia.
Visto che si tratta di una questione di “cuore”, essa chiama
in causa la capacità di amare l’altro così da riuscire a superare ed eliminare
le distanze, senza per questo rinunciare al proprio ruolo educativo. Visto che
questo non solo chiede di amare, ma di far sì che i ragazzi sappiano di essere
amati, nasce poi naturale la confidenza di chi cerca non un parere, ma un
consiglio che sa di non poter trovare nei propri compagni. Questa porta nei
giovani una apertura di cuore che è già inizio del cammino di crescita, rende
inoltre possibile creare un ponte per poterlo percorrere insieme.
Don Bosco nella sua lungimiranza, già si era reso conto
che non è il ruolo che occupo ciò che guida a una corretta relazione, non è il
potere o la posizione che rende automatico il rispetto dei giovani: “Bisogna che essi stessi ci riconoscano come
Superiori. Se vogliamo umiliarli con parole per la ragione che siam Superiori
[sic], ci renderemmo ridicoli”. Questo non per togliere valore alla
responsabilità specifica di ciascuno, ma come ancora diceva don Bosco: “studia di farti amare prima di farti temere".
Se ci sarà amore, ci sarà anche il timore, che non viene dalla paura della
punizione, ma dalla paura di rompere qualcosa di bello costruito ferendo
l’amore dell’altro. Quindi ben vengano le correzioni e anche le punizioni,
sempre in un’ottica di incoraggiamento nel fare meglio, l’importante che non
siamo guidate da una sorta di vendetta guidata dal nostro orgoglio ferito.
Per aiutarci in questo occorre usare la ragione ed essere
ragionevoli, impostare le decisioni prese sempre sul dialogo con i ragazzi e
mai solo con se stessi. Cercare di rendersi conto dei motivi di certi
comportamenti, dei desideri presenti anche se mal espressi, del bene desiderato
anche se non compiuto.
Quanto ci differenzia, come educatori cristiani, da altri
che lasciano da parte la dimensione di fede, ci viene ricordata sempre da don
Bosco: "Uno solo è il mio
desiderio: vedervi felici nel tempo e nell'eternità", questo impegno
ci apre un orizzonte nuovo verso il quale camminare con i nostri ragazzi, ci
introduce anche nello specifico del servizio con il quale possiamo arricchire
l’impegno educativo portato avanti, tante volte in modo lodevole, da altre
istituzioni o realtà.
Risulta quindi determinate guidare i ragazzi all’incontro
con Cristo, realmente possibile nella concretezza quotidiana, capace di dare
una felicità non proponibile in altri modi, che chiede però una disponibilità a
un sì non scontato e che occorre aiutare a crescere.
Per questo Maria ha sempre occupato un posto d’onore nella vita e nella proposta di don Bosco, in lei vediamo quante cose grandi Dio può fare quando incontra una vita aperta a lui e capace di dire sì. In lei vediamo la bellezza possibile raggiungibile da parte dei nostri ragazzi e che noi siamo chiamati a favorire e incoraggiare.
Per questo Maria ha sempre occupato un posto d’onore nella vita e nella proposta di don Bosco, in lei vediamo quante cose grandi Dio può fare quando incontra una vita aperta a lui e capace di dire sì. In lei vediamo la bellezza possibile raggiungibile da parte dei nostri ragazzi e che noi siamo chiamati a favorire e incoraggiare.
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