Durante un incontro nel quale parlavamo del nostro oratorio,
del comportamento dei ragazzi e di uno stile comune di conduzione da parte
degli animatori, uno di loro intervenne dicendo che la cosa non era possibile
perché occorre elasticità. Più volte sulla cosa eravamo già tornati, credo
infatti si apra una tensione ineludibile che chieda equilibrio.
Io personalmente risolvo dicendo che sono d'accordo con
entrambi, non per motivi diplomatici, ma perché credo che occorra lasciarci
guidare non solo dal buon senso ma anche dalla pedagogia che emerge dalla
Scrittura e dall’opera di Gesù.
Regole e norme sono necessarie, ma è necessaria anche una
sana capacità di mettere al centro la persona e non la legge. Dal punto di
vista del cammino di maturazione personale capita quotidianamente di verificare
come non sempre riusciamo ad essere come dovremmo, c'è un ideale che
rappresentano per noi il riferimento, ma c'è anche il come siamo messi ora, il
che comporta sempre vicinanza e distanza dall'ideale.
Al riguardo, credo interessante riprendere un intervento
fatto da papa Benedetto XVI, ha scritto una lettera alla diocesi di Roma sul
compito urgente dell’educazione; di seguito ne riporto solo due passi.
Arriviamo così, cari
amici di Roma, al punto forse più delicato dell'opera educativa: trovare un
giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento
e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si
forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non
mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l'incontro di due
libertà e l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà.
Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane;
dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad
aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo
mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio
condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano. L'educazione
non può dunque fare a meno di quell'autorevolezza che rende credibile
l'esercizio dell'autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si
acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento
personale, espressione dell'amore vero. L'educatore è quindi un testimone della
verità e del bene: certo, anch'egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre
di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
…
Visto l’impegno che
viviamo come educatori e in specifico nell’ambito anche dell’educazione alla
fede, occorre evitare di cadere in un cortocircuito che ci farebbe sicuramente
allontanare dalla prospettiva cristiana. Di per sé la “salvezza” è dono
gratuito di Dio e non necessariamente segue come meta scontata di un cammino,
per assurdo di per sé essa stessa non necessita di una educazione prolungata,
tanti sono i racconti del Vangelo dove le dinamiche di guarigione o di perdono
sono guidate da altri fattori. Eppure dopo averlo appena affermato, dico anche
che normalmente però dovrebbe funzionare che la vita cresca e maturi
corrispondendo responsabilmente all’appello che viene da Dio. Se desidero la
felicità e la santità per i miei ragazzi, non posso fare a meno di incamminarmi
a loro servizio in un percorso che ci vedrà protagonisti, ognuno nel proprio
ruolo, del vivere la relazione con Dio, in rapporto che anche storicamente e
fin dalla prima alleanza Dio stesso ha pensato come percorso anche pedagogico.
Rimanendo sull’argomento in oggetto, si nota come il papa
chieda di mantenere insieme disciplina e libertà, lo dice non perché sia una
cosa semplice, ma perché è importante. Rinnova l’invito ad avere consapevolezza
sul fatto che le regole servono per formare il carattere, non possono essere
usate invece come strumenti per punire o “vendicarsi legalmente” di
comportamenti che giudichiamo errati; le regole non sono un’arma, ma uno
strumento educativo. Questo non può essere tutto, il cammino educativo si gioca
nel rischio e nella fatica di due libertà che si incontrano e che devono
dialogare, in un’ottica di fede esse possono diventare addirittura tre, quella:
dell’educatore, dell’educando e di Dio. Ogni libertà è sempre in sviluppo,
soprattutto quella dei più giovani, tra l’altro non sempre verso il bene, è spesso
da educare: prima che cominciare a insegnare cose nuove, occorre correggere le
scelte di vita sbagliate; il girarsi dall’altra parte non fa cambiare le cose.
Accanto al compito di educazione del giovane, c’è anche quello dell’educatore,
che si gioca sicuramente nella competenza acquisita con l’esperienza e la
formazione, ma che ha un luogo di maturazione e di testimonianza speciale nella
coerenza della propria vita a quando si insegna agli altri.
Nella seconda parte il papa ad un altro difficile
equilibrio. Sono contento di poter affermare che incontra tanti educatori
generosi e bravi nel proporre cammini e attività, ma che corrono il rischio di
dimenticare che il nostro desiderio di bene per i giovani, così come il
desiderio di bene di Dio per loro, non necessariamente passa o si compie,
grazie o attraverso la nostra opera o i nostri progetti. In gioco c’è il sapere
rimanere aperti alla Grazia di Dio che agisce come e quando vuole lei. Non sono
le tante esperienze, incontri, messe, a salvare; ci sono fattori che sfuggono
al nostro controllo e che possono essere i luoghi determinati per una vita da
persone risorte. Dico questo, non per negare tutta l’importanza della
formazione così come proposta oggi, ma per riaffermarla sottolineando il suo
ruolo di servizio e non come imposizione alla vita dei ragazzi e ai progetti di
Dio; come desiderio di camminare “con” senza trascinare nessuno. I cammini
proposti sono esigenza che parte dal nostro amore per i ragazzi e non da
programmi “scolastici” da rispettare.
Tutto il capitolo quinto del Vangelo di Marco contenente le
Beatitudini, mostra il passaggio da una osservanza pura alla norma alla
centralità della persona. Insieme la “Legge” non viene messa in secondo piano,
ma mostrata nella sua bellezza vera, nella capacità di servire alla crescita
dell’uomo nuovo.
Offre parole di incoraggiamento per noi oggi, in un mondo
che spesso insegna regole di comodo e dal quale come cristiani ci sentiamo
messi da parte, Gesù afferma solennemente: “Chi
dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a
fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li
osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mc
5,19). È un invito e allo stesso tempo un annuncio di speranza per tutti coloro
impegnati nel servizio educativo.
Subito dopo ci viene ricordato un dato importante, siamo
impegnati in un compito che non deve adeguarsi agli standard del mondo, ma alla
novità di Dio, solo lì trova il suo vero compimento: “se la vostra giustizia
non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”
(Mc 5,20).
Il discorso continua, mostrando attraverso esempi concreti
anche della vita concreta di tutti i giorni, la novità portata da Gesù. Infine
il capitolo si chiude con l’invito ad essere perfetti come Dio è perfetto, il
tutto in un cammino che ci vede impegnati a vivere un amore autentico,
gratuito, disinteressato; una conclusione bellissima che credo costituisca
tutto un programma di vita e di crescita.
Avete
inteso che fu detto: Amerai il tuo
prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e
pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro
che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa
piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale
ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto
soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così
anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro
celeste (Mc 5,43-48).
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