giovedì 21 maggio 2015

Regole o libertà? Tutto si compie nell’amore

Durante un incontro nel quale parlavamo del nostro oratorio, del comportamento dei ragazzi e di uno stile comune di conduzione da parte degli animatori, uno di loro intervenne dicendo che la cosa non era possibile perché occorre elasticità. Più volte sulla cosa eravamo già tornati, credo infatti si apra una tensione ineludibile che chieda equilibrio.
Io personalmente risolvo dicendo che sono d'accordo con entrambi, non per motivi diplomatici, ma perché credo che occorra lasciarci guidare non solo dal buon senso ma anche dalla pedagogia che emerge dalla Scrittura e dall’opera di Gesù.
Regole e norme sono necessarie, ma è necessaria anche una sana capacità di mettere al centro la persona e non la legge. Dal punto di vista del cammino di maturazione personale capita quotidianamente di verificare come non sempre riusciamo ad essere come dovremmo, c'è un ideale che rappresentano per noi il riferimento, ma c'è anche il come siamo messi ora, il che comporta sempre vicinanza e distanza dall'ideale.

Al riguardo, credo interessante riprendere un intervento fatto da papa Benedetto XVI, ha scritto una lettera alla diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione; di seguito ne riporto solo due passi.
Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell'opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l'incontro di due libertà e l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano. L'educazione non può dunque fare a meno di quell'autorevolezza che rende credibile l'esercizio dell'autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell'amore vero. L'educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch'egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
Visto l’impegno che viviamo come educatori e in specifico nell’ambito anche dell’educazione alla fede, occorre evitare di cadere in un cortocircuito che ci farebbe sicuramente allontanare dalla prospettiva cristiana. Di per sé la “salvezza” è dono gratuito di Dio e non necessariamente segue come meta scontata di un cammino, per assurdo di per sé essa stessa non necessita di una educazione prolungata, tanti sono i racconti del Vangelo dove le dinamiche di guarigione o di perdono sono guidate da altri fattori. Eppure dopo averlo appena affermato, dico anche che normalmente però dovrebbe funzionare che la vita cresca e maturi corrispondendo responsabilmente all’appello che viene da Dio. Se desidero la felicità e la santità per i miei ragazzi, non posso fare a meno di incamminarmi a loro servizio in un percorso che ci vedrà protagonisti, ognuno nel proprio ruolo, del vivere la relazione con Dio, in rapporto che anche storicamente e fin dalla prima alleanza Dio stesso ha pensato come percorso anche pedagogico.
Rimanendo sull’argomento in oggetto, si nota come il papa chieda di mantenere insieme disciplina e libertà, lo dice non perché sia una cosa semplice, ma perché è importante. Rinnova l’invito ad avere consapevolezza sul fatto che le regole servono per formare il carattere, non possono essere usate invece come strumenti per punire o “vendicarsi legalmente” di comportamenti che giudichiamo errati; le regole non sono un’arma, ma uno strumento educativo. Questo non può essere tutto, il cammino educativo si gioca nel rischio e nella fatica di due libertà che si incontrano e che devono dialogare, in un’ottica di fede esse possono diventare addirittura tre, quella: dell’educatore, dell’educando e di Dio. Ogni libertà è sempre in sviluppo, soprattutto quella dei più giovani, tra l’altro non sempre verso il bene, è spesso da educare: prima che cominciare a insegnare cose nuove, occorre correggere le scelte di vita sbagliate; il girarsi dall’altra parte non fa cambiare le cose. Accanto al compito di educazione del giovane, c’è anche quello dell’educatore, che si gioca sicuramente nella competenza acquisita con l’esperienza e la formazione, ma che ha un luogo di maturazione e di testimonianza speciale nella coerenza della propria vita a quando si insegna agli altri.
Nella seconda parte il papa ad un altro difficile equilibrio. Sono contento di poter affermare che incontra tanti educatori generosi e bravi nel proporre cammini e attività, ma che corrono il rischio di dimenticare che il nostro desiderio di bene per i giovani, così come il desiderio di bene di Dio per loro, non necessariamente passa o si compie, grazie o attraverso la nostra opera o i nostri progetti. In gioco c’è il sapere rimanere aperti alla Grazia di Dio che agisce come e quando vuole lei. Non sono le tante esperienze, incontri, messe, a salvare; ci sono fattori che sfuggono al nostro controllo e che possono essere i luoghi determinati per una vita da persone risorte. Dico questo, non per negare tutta l’importanza della formazione così come proposta oggi, ma per riaffermarla sottolineando il suo ruolo di servizio e non come imposizione alla vita dei ragazzi e ai progetti di Dio; come desiderio di camminare “con” senza trascinare nessuno. I cammini proposti sono esigenza che parte dal nostro amore per i ragazzi e non da programmi “scolastici” da rispettare.
Tutto il capitolo quinto del Vangelo di Marco contenente le Beatitudini, mostra il passaggio da una osservanza pura alla norma alla centralità della persona. Insieme la “Legge” non viene messa in secondo piano, ma mostrata nella sua bellezza vera, nella capacità di servire alla crescita dell’uomo nuovo.
Offre parole di incoraggiamento per noi oggi, in un mondo che spesso insegna regole di comodo e dal quale come cristiani ci sentiamo messi da parte, Gesù afferma solennemente: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli” (Mc 5,19). È un invito e allo stesso tempo un annuncio di speranza per tutti coloro impegnati nel servizio educativo.
Subito dopo ci viene ricordato un dato importante, siamo impegnati in un compito che non deve adeguarsi agli standard del mondo, ma alla novità di Dio, solo lì trova il suo vero compimento: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mc 5,20).
Il discorso continua, mostrando attraverso esempi concreti anche della vita concreta di tutti i giorni, la novità portata da Gesù. Infine il capitolo si chiude con l’invito ad essere perfetti come Dio è perfetto, il tutto in un cammino che ci vede impegnati a vivere un amore autentico, gratuito, disinteressato; una conclusione bellissima che credo costituisca tutto un programma di vita e di crescita.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mc 5,43-48).

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