Ho partecipato a un incontro durante il quale si dovevano
prendere decisioni, in ambito ecclesiale, riguardo all’investimento di una
somma di denaro cospicua al fine di garantirne un uso per sostenere fini
educativi.
Il progetto prevedeva un investimento in una attività che
permettesse una rendita, così che i frutti ottenuti potessero essere utilizzati
per i fini previsti, in particolare a sostegno di attività dei giovani. Leonardo,
uno dei convocati, espresse i propri dubbi riguardo ad un investimento del
genere che riteneva evangelicamente non opportuno in quanto i soldi di
proprietà della Chiesa andavano usati con una logica diversa da quella del
semplice reinvestimento stile finanziario classico, non è la redditività ma
l’uso evangelico il fine da raggiungere; quello in oggetto appariva essere un
impiego che non ci differenzia da altre attività che lo fanno per lavoro.
Leonardo suggerì di impiegarli per intervenire a servizio
dei più poveri in una logica di condivisione. Una comunità, che si trova tra le
mani una grossa donazione che fa passare il bilancio da passivo a fortemente
attivo, può limitarsi a gestire i soldi oppure si deve sentire ora che lei è ricca
chiamata a condividere con chi rimane povero e in difficoltà come lo era lei
stessa prima?
La cosa lascio un po’ spiazzati tutti gli altri convenuti,
del resto capita sempre quando la nostra umanità si incontra (o si scontra) con
il Vangelo.
In situazioni come questa ci si trova un po’ in uno stallo:
da una parte l’ideale con tutta lo slancio e la gioia del bene, dall’altra il
reale che si porta dietro il limite e il peccato presente nel nostro essere
umani. Si rischiava di lasciarsi senza una direzione verso la quale convergere insieme,
il rischio poteva essere anche quello del far perdurare una situazione di
contrapposizione e non di comunione. Quindi?
Mancava un passaggio determinate, tante volte assente anche
in alcuni nostri incontri o relazioni, dove ci si lascia più divisi che
concordi sul cosa fare. Giustamente durante il confronto era stato affermato
l’ideale che ci deve guidare, esso però non è sempre percorribile, ci sono
limiti oggettivi (leggi, volontà del donante, mercato finanziario…) e limiti
personali (cammino di fede, peccato personale, coscienza in formazione…), questi
influisco sulla scelta. L’ideale rimane, però siamo nella condizione di dover decidere
ora, così come siamo; nel cammino verso l’ideale partiamo da un attuale nostro
che deve realizzare un possibile: cercare oggi, così come siamo, qualcosa da
fare tenendo presente l’ideale e facendo il meglio che si può.
Sinteticamente: da una parte siamo fatti così (attuale),
dall’altra c’è quello a cui siamo chiamati (ideale), Dio ci chiede di fare il
possibile, il meglio che possiamo, che si avvicinerà più o meno a uno dei due
estremi secondo tanti fattori, alcuni dei quali non dipendono da noi in quanto
imposti da strutture a noi esterne, ma altri che dipendono da noi e sui quali
abbiamo il dovere di lavorare, anche se a volte ciò può richiedere molto tempo.
Tutto questo ha grosse ricadute in ambito educativo con i
giovani, li si può trovare ricchi di sogni ma bloccati da maturità e capacità
che devono ancora arrivare, oppure ricchi di doni ma poveri di speranza. Occorre
evitare da una parte l’idealismo e dall’altro l’appiattimento allo status quo.
La santità è la misura alta della vocazione di ogni persona,
rappresenta anche il riferimento del cammino dei nostri ragazzi; essa non
coincide con la perfezione o l’assenza di cadute, ma con capacita di mettersi
in gioco al meglio che si può. Quindi, occorrerà mettere in contatto le ricche
ricerche con la vita concreta di ognuno, sapendo indicare lì e non nell’ideale
la via della propria realizzazione; servirà aiutare a rimettere in gioco i
propri doni mostrando fino dove possono arrivare, evitando che ci si limiti a
mirare in basso.
C’è una via di santità e di felicità per ogni giovane, essa
è scritta nei propri sogni e limiti, insomma nella vita così come mi è stata
data, che non è sempre come mi piacerebbe fosse, ma sicuramente capace di fare
più di quanto mi aspetto.
Ecco segnato uno dei compiti educativi centrali per la
crescita verso una maturità realizzata: mantenere vivi gli ideali, aiutare a
scoprire e accettare la propria vita, il tutto cercando l’incontro possibile
tra di essi in una santità concreta e alla portata di ciascuno.
Certo, se volessi
vantarmi, non sarei insensato: direi solo la verità. Ma evito di farlo, perché
nessuno mi giudichi più di quello che vede o sente da me e per la straordinaria
grandezza delle rivelazioni. Per
questo, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una
spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A
causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed
egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie
debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle
mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle
angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono
forte. (2Cor 12,6-10)
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