giovedì 26 aprile 2018

Il silenzio dei giovani: ascoltare e farsi ascoltare

In questi anni di ministero, il tempo e lo spazio occupato dall’accompagnare gli adolescenti nel loro cammino di vita e di fede, ha riguardato una parte considerevole del mio servizio; eppure mi accorgo che se da una parte ho dato loro tanto, molto di più è quello che ho ricevuto indietro e anche quello che mi chiedono. Le giovani generazioni di oggi non sono più come quelle di ieri, così che rimango sempre un apprendista del mondo giovanile, il che mi chiede in continuazione di rimanere in contatto con quanto passa per la loro vita.
Devo riconoscere che ormai, arrivato a quarant’anni, sono sicuramente entrato nel mondo degli adulti; non sono più il giovane educatore di una volta, questo mi colloca in una posizione nuova rispetto a prima e mi permette di poter fare da cerniera tra due mondi collocando la mia riflessione in quel “vuoto” che a volte esiste tra le diverse generazioni e che ne rende difficile il dialogo.
Il sinodo sui giovani parte da un tema scontato ma che tale non è: il punto di partenza è l’ascolto delle nuove generazioni. Non basta il metterli al centro se il nostro sguardo su di loro rimane lo stesso. Spesso leggendo titoli di articoli o ricerche, emergono alcune precomprensioni che il mondo adulto si porta dietro come filtro che rischia di minare una corretta visione del tutto: i ragazzi del troppo o del poco. Troppo cellulare, troppo agitati, troppo maleducati, troppo permalosi… Poco responsabili, poco disponibili, poco interessati…
Per ascoltarli veramente, occorre prima credere veramente che hanno qualcosa da dire, non solo riguardo a sé, ma qualcosa di importante anche per il mondo adulto. Io credo che abbiamo tanto da dire, ma credo non sempre tutti abbiamo voglia o riteniamo sensato farlo. Penso soprattutto a quelle cose che per noi adulti sono sempre state centrali, ma che oggi vengono percepite periferiche nella vita dei più giovani.
Me ne sto rendendo conto ora, forse proprio perché il Sinodo ci invitava a farlo, che la cosa è tutt’altro che scontata e forse per alcuni non è tra le priorità che bruciano in questo momento della propria giovane vita.
Ho proposto come cammino di quaresima della nostra zona pastorale, di coinvolgere i giovani facendo fare loro i testi della Via Crucis, mettevo in conto che probabilmente non sia proprio tra le cose alle quali ambiscono alla mattina appena svegli sognando come cambiare il mondo. Ci ho provato, da una parte ho colto la disponibilità e l’impegno di alcuni a mettersi in discussione e disposti a far parlare la propria vita per il bene di tutta la gente, di altri ho visto la fatica di essere occupati in tante altre cose e non essere quindi al momento interessati della cosa.
Ho un forte desiderio, quello di incontrare i giovani non tanto per dire qualcosa, ma per chiedere loro come vivono, dove passano il tempo, cosa sognano e pensano; far questo per capire, per pormi in modo giusto accanto a loro, confesso di averne bisogno, riconosco questo limite che ha necessità di questo incontro per essere accompagnato. 
Quello però che desidero venga ascoltato più di tutto sono i non detti dei nostri ragazzi, spesso mal giudicati. Ascoltando tanti adulti, che per varie ragioni vengono da me condividendo i loro pensieri intorno al mondo giovanile, il tema del “silenzio” comunicativo è ricorrente. Per esemplificare a spot quanto emerge possiamo dire così: non parlano più, non manifestano come noi in passato, non s’interessano della politica, non dicono la loro nella società, non scendono in piazza.
Un po’ è vero, del resto rispetto al passato essendosi allungati i tempi del cammino di maturazione, si è dilatato anche il periodo nel quale come “immaturi” posso far fatica a scegliere essendone responsabili. Se a questo uniamo che il mondo d’oggi non aiuta ad assumere un comportamento coerente con quanto noi adulti lamentiamo su loro (questo mostra una nostra incoerenza: brontoliamo, ma poi non creiamo le condizioni per il cambiamento), considerando la vita quasi più un oggetto che un soggetto di consumo, il tutto diventa difficile. Per non parlare del fatto che le strategie educative da sempre usate, lasciano oggi i genitori in difficoltà perché non funzionano più; la scuola anch’essa fatica un po’ troppo chiusa sui programmi da fare che sulle persone da istruire; le parrocchie e le attività ecclesiali che si occupano di giovani faticano a recuperare unità tra fede e vita.
Non voglio scusare i giovani a tutti i costi, desidero solo con questo integrare i numerosi interventi di vario genere, che si concentrano prevalentemente sul negativo che appare, senza chiedersene il senso e il perché di tutto questo. Arginare così chi si limita a lamentarsi, senza fare la fatica del comprendere e del mettersi in discussione per primo.
Il loro silenzio forse viene dal fatto che non sanno cosa dirci, o come dirlo. Per questo è vero quanto l’evidenza sembra negare, cercano e hanno bisogno di modelli di riferimento, soprattutto fra gli adulti, che possano diventare nuovi eroi, cioè persone e situazioni nelle quali potersi riconoscere. La situazione di oggi è quella di un mondo un po’ nuovo da questo punto di vista, che condanna al silenzio.

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