martedì 3 aprile 2018

I luoghi della pastorale giovanile


Mi sono trovato con il mio parroco a dare un bilancio delle confessioni del tempo di Avvento anche in vista di programmare quelle di Quaresima, tra le altre è emerso il non successo di una veglia penitenziale organizzata per i gruppi delle superiori. La mia proposta è stata quella che, invece di convocare i ragazzi a un momento diverso, fossimo noi preti ad andare da loro nel momento nel quale già loro si trovano per il cammino di gruppo, mettendoci a disposizione di quanti desiderassero confessarsi. È certamente una soluzione che occupa maggiore tempo e ingolfa ulteriormente le agende di noi preti di unità pastorale, ma forse è anche quella di una pastorale che si converte, che non convoco e basta ma che incontra anche. 
Lo credo altrettanto vero anche per le attività che gli adolescenti vivono frequentando i diversi luoghi e associazioni che con il tempo la comunità cristiana ha creato per loro, forse adesso è il caso di fermare un attivo la fantasia nel crearne di nuovi, chiedendoci se siamo disposti a farci carico dei tanti ragazzi che ci passano fra le mani. Un esempio per tutti: occupandomi degli scout a livello diocesano, mi è capitato diverse volte di confrontarmi con preti che mi dicevano che non avevamo tempo di prendersi cura di loro, nonostante il gruppo sia presente all’interno del loro territorio, non metto in dubbio che gli impegni siano tanti, alla fine è questione di scelte, basta poi non lamentarsi che i giovani non ci sono e non vengono, forse scopriremmo che siamo noi a non essere con loro.
Questa considerazione concreta, apre ad numerose altre riflessioni, tra le quali una domanda tra le tante: dove e come far incontrare i giovani con le tante attività e progetti che in questi anni le comunità cristiane hanno messo insieme? Per non parlare degli altri luoghi istituzionali o meno che esistono fuori dal contesto ecclesiale[1].
A volte possono essere errati alcuni presupposti con i quali si parte: che ci siano i giovani, che non vedano l’ora di fare quello che gli chiediamo noi, la parrocchia venga prima di tutto nei loro ideali, siano fedeli, puntuali e migliori dei loro coetanei. Si presuppone che ogni comunità abbia un buon rapporto con i propri ragazzi, con educatori e animatori a bizzeffe e sempre ben motivati, con una rete di relazioni intensa e adeguatamente calendarizzata.
Le realtà territoriali e sociali sono molto diverse, non ci sono parrocchie uguali fra loro, comunque si può rischiare una generalizzazione ricavando il dato che ormai i giovani anche dove mantengono un radicamento al proprio territorio, non è detto che incontrino la comunità cristiana. Se così è, questo dato apre parecchie crepe all’interno dei presupposti sopra riportati.
Mi è già capitato di trattare nei mie libri del fatto che i ragazzi vivono stadi diversi di sviluppo della propria vita di fede, che quindi sia difficile e inopportuno incasellarli secondo il metodo classico ecclesiale dividendoli tra: frequentanti, non praticanti, lontani.
Tra le cose nelle quali come comunità facciamo fatica, c’è lo scegliere in modo coerente a quanto sappiamo essere l’obiettivo da perseguire. C’è chiesto di riprendere in mano e ridefinire gli obiettivi della nostra pastorale che non possono più rimanere ancorati al passato né a modelli abituali di pensiero ormai disincarnati. Adottando una logica di evangelizzazione attenta al concreto, che sappia far camminare insieme le diverse forze presenti nel tessuto ecclesiale, creando rete con il variegato mondo educativo della nostra società sapendo far tesoro delle tante indagini prodotte, chiamando a rapporto l’intera comunità cristiana responsabile del compito.
Occorra rivedere la figura stessa dell’educatore cristiano, se si desidera incontrare i giovani nei loro luoghi di vita, occorre accettare di non avere subito pronto il proprio gruppo ristretto, ma rimanere aperti a tutto il territorio, il cui obiettivo non è innanzitutto “riempire” le chiese. Servirebbe prima una corretta mappatura del territorio secondo il criterio quali e dove sono i luoghi di concentrazione giovanile.
Non parliamo di una presenza portata avanti da professionisti del sacro o “addetti al lavoro”, occorre che tanti, non sempre i soliti, siano coinvolti in un processo di animazione capace di mettersi in ricerca dei tanti che non desiderano frequentare un gruppo, una liturgia o altre attività nelle quali solitamente come Chiesa organizziamo la nostra pastorale. Questi animatori dovrebbero condividere il sogno, o almeno accettarlo, di vivere “dispersi” sul territorio per incontrare i giovani che vi transitano, offrendo il messaggio di vita di Gesù e a qualcuno di loro (per chi è pronto e lo desidera) il poter entrare a far parte di una comunità. Sono figure molto diverse al proprio interno, unite dal fatto che la vita da loro la possibilità concreta di passare tempo con i ragazzi: genitori, allenatori, insegnanti, preti, suore, gestori di locali, assessori, personale ausiliario scolastico, ecc.
Questo cambiamento di prospettivo richiederebbe anche il faticoso ma necessario dialogo con le diverse realtà pubbliche del territorio, perché nessuno, né da una parte né dall’altra, può credere di essere autosufficiente nell’avventura educativa.
Sarebbe bello che nascesse in ogni comune o distretto territoriale, un tavolo di lavoro intorno al quale far sedere i rappresentanti delle diverse realtà coinvolte, dove ognuno possa sentirsi solidale con l’altro, allo stesso livello, pare di una responsabilità che unisce anche se poi vissuta ognuno secondo il proprio specifico.
Ciascuno vi porterà quanto ha a livello di esperienza, risorse e progetti. I giovani, sentiti non solo come usufruitori, ma considerati nella loro capacità di scelta critica, sceglieranno i percorsi e le opportunità più prossime al loro percorso. Tra queste anche quello della fede ha diritto di esservi proposta, abbandonando un’errata visione laica (che in realtà è laicista) che le cose devono avere prima di essere proposte al pubblico; anche a chi non crede, può essere utile un punto di vista diverso che altre realtà non possono dare come sguardo sul mondo giovanile, e se si guarda il passato, il cammino di fede è stato capace di arricchire la vita di persone che hanno poi vissuto con responsabilità ed esempio il proprio ruolo di cittadini.

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