I nostri ragazzi hanno
tante ricerche, tanti desideri. Vivono, ma non sempre sanno il perché e cosa
cercano. A volte la vita può diventare anche pesante da portarsi dietro.
Si guardano intorno e
vedono noi adulti, innanzitutto i genitori. A loro diciamo grazie, non è
scontato il sì detto alla vita diventando così partecipi del grande progetto originario
di Dio, ma non basta. Non ci si può sentire a posto solo perché diamo la vita
ad altre persone, come anche noi l’abbiamo ricevuta a nostra volta. Non basta
neanche dare indicazioni di come ci si deve comportare, spesso i ragazzi di
fronte ad esse si chiedono perché dobbiamo rispettarle, noi a volte non
sappiamo rispondere o non abbiamo pazienza e ci limitiamo a dire che si deve
fare così perché sì o perché lo si è sempre fatto.
L’educazione non può
essere un’affermazione che chiuda il discorso: fa questo perché è bene; essa è
piuttosto una domanda che apre alla vita: perché è bene? Perché è male? A volte
il rischio è che noi adulti non lo sappiamo, o non c’è lo siamo mai chiesto:
perché una certa cosa o situazione è così? Capita, in questi casi troppo spesso,
di non riuscire a essere coerenti con quanto proponiamo ai più giovani, se
l’agire non ha un senso presto ce ne stancheremo.
Se i ragazzi non possono
guardare a noi, non rimane altro che cerchino nei propri coetanei, ma essendo
messi un po’ tutti allo stesso modo, non rimane loro che provare, tentare e a
volte rischiare il far tutto quello che a uno pare, senza chiedersene il senso
visto che un perché sembra non esserci sempre.
Così mi capita di
incontrare tanti ragazzi che si muovono nella vita un po’ a tentoni, altri li
ho aiutati a rialzarsi da cadute profonde, anche chi più fortunato percorreva
abbastanza a suo agio la strada non battuta prima da nessun altro. Li ho ascoltati
scoprendo che c’è chi ancora è lì che cerca, altri che stanchi hanno
abbandonato troppo presto la loro corsa e vivono un po’ da rassegnati, simili
al figlio giovane della parabola (Lc 15,11-32) che lasciando la casa del padre
e avendo sperperato tutto, si accontenta nella vita di cibarsi delle ghiande dei
maiali.
Qua rientriamo in campo
un po’ tutti noi adulti, che già dovremmo aver percorso certe strade segnandone
il percorso, noi capaci di dare senso e significato a certi eventi e parole,
per noi educatori cristiani queste sono innanzitutto le Parole della fede, che
tanto hanno da dire a quanti si trovano per strada.
Un altro dono che
possiamo fare loro è quello di riscoprire la dimensione del silenzio, che non è
solo l’assenza di rumore, ma il riuscire ad ascoltare tutte quelle cose che la
vita ci dice e di fronte alle quali troppe volte siamo distratti, non sempre
per colpa nostra, ma perché ormai abituati a riempire la vita di rumori per
vincere la solitudine, che è la grande paura nella vita dei nostri ragazzi.
Possiamo offrire loro un
aiuto riguardo al senso, ai quei tanti perché persi sulle cose della vita. È
così che un desiderio, un sogno, un’emozione, viene aiutata a trovare la sua
reale ragione di esistenza che non sempre è quella che appare. Si scopre che
dietro la ricerca di essere belli c’è ben altro, così come nella cura del
fisico, nel trovare amici e in tante altre cose che quotidianamente abitano il
tempo dei nostri ragazzi.
A voi lo dico, a loro non
si può farlo così e basta: non si tratta di vivere, ma di amare. Ben prima del
desiderio di vivere, c’è quello di amare e di essere amati. Questo è ciò che
muove la vita di ogni persona. È sicura una cosa: anche se concretamente è
nella vita che scopriamo di essere amati, per principio nessuno può vivere se
prima non è amato. Per questo Gesù dice che chi vuole tenere per sé la vita la
perde, mentre solo chi la dona la ritrova. Per questo capita di incontrare ragazzi
senza vita, perché morire non è smettere di vivere, ma smettere di amare.
Lottare stanca. Per
questo non dobbiamo stupirci se spesso i nostri ragazzi dicono di non aver
forza o tempo per fare altro. È una cosa buona, perché vuol dire che dentro di
loro è ancora accesa la battaglia.
Ricordiamoci infine che
chi educa deve saper anche rifiutare con la stessa tranquillità con cui sa
donare. Forse i ragazzi non capiranno subito, ma se il nostro intervento è
disinteressato lo faranno in seguito. Se questo non capiterà, ricordiamoci che
noi siamo responsabili di quanto seminiamo e di come prepariamo il terreno
della vita dei nostri ragazzi, ma non lo siamo del raccolto.
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