lunedì 19 febbraio 2018

Non basta dar loro la vita

I nostri ragazzi hanno tante ricerche, tanti desideri. Vivono, ma non sempre sanno il perché e cosa cercano. A volte la vita può diventare anche pesante da portarsi dietro.
Si guardano intorno e vedono noi adulti, innanzitutto i genitori. A loro diciamo grazie, non è scontato il sì detto alla vita diventando così partecipi del grande progetto originario di Dio, ma non basta. Non ci si può sentire a posto solo perché diamo la vita ad altre persone, come anche noi l’abbiamo ricevuta a nostra volta. Non basta neanche dare indicazioni di come ci si deve comportare, spesso i ragazzi di fronte ad esse si chiedono perché dobbiamo rispettarle, noi a volte non sappiamo rispondere o non abbiamo pazienza e ci limitiamo a dire che si deve fare così perché sì o perché lo si è sempre fatto.
L’educazione non può essere un’affermazione che chiuda il discorso: fa questo perché è bene; essa è piuttosto una domanda che apre alla vita: perché è bene? Perché è male? A volte il rischio è che noi adulti non lo sappiamo, o non c’è lo siamo mai chiesto: perché una certa cosa o situazione è così? Capita, in questi casi troppo spesso, di non riuscire a essere coerenti con quanto proponiamo ai più giovani, se l’agire non ha un senso presto ce ne stancheremo.
Se i ragazzi non possono guardare a noi, non rimane altro che cerchino nei propri coetanei, ma essendo messi un po’ tutti allo stesso modo, non rimane loro che provare, tentare e a volte rischiare il far tutto quello che a uno pare, senza chiedersene il senso visto che un perché sembra non esserci sempre.
Così mi capita di incontrare tanti ragazzi che si muovono nella vita un po’ a tentoni, altri li ho aiutati a rialzarsi da cadute profonde, anche chi più fortunato percorreva abbastanza a suo agio la strada non battuta prima da nessun altro. Li ho ascoltati scoprendo che c’è chi ancora è lì che cerca, altri che stanchi hanno abbandonato troppo presto la loro corsa e vivono un po’ da rassegnati, simili al figlio giovane della parabola (Lc 15,11-32) che lasciando la casa del padre e avendo sperperato tutto, si accontenta nella vita di cibarsi delle ghiande dei maiali.
Qua rientriamo in campo un po’ tutti noi adulti, che già dovremmo aver percorso certe strade segnandone il percorso, noi capaci di dare senso e significato a certi eventi e parole, per noi educatori cristiani queste sono innanzitutto le Parole della fede, che tanto hanno da dire a quanti si trovano per strada.
Un altro dono che possiamo fare loro è quello di riscoprire la dimensione del silenzio, che non è solo l’assenza di rumore, ma il riuscire ad ascoltare tutte quelle cose che la vita ci dice e di fronte alle quali troppe volte siamo distratti, non sempre per colpa nostra, ma perché ormai abituati a riempire la vita di rumori per vincere la solitudine, che è la grande paura nella vita dei nostri ragazzi.
Possiamo offrire loro un aiuto riguardo al senso, ai quei tanti perché persi sulle cose della vita. È così che un desiderio, un sogno, un’emozione, viene aiutata a trovare la sua reale ragione di esistenza che non sempre è quella che appare. Si scopre che dietro la ricerca di essere belli c’è ben altro, così come nella cura del fisico, nel trovare amici e in tante altre cose che quotidianamente abitano il tempo dei nostri ragazzi.
A voi lo dico, a loro non si può farlo così e basta: non si tratta di vivere, ma di amare. Ben prima del desiderio di vivere, c’è quello di amare e di essere amati. Questo è ciò che muove la vita di ogni persona. È sicura una cosa: anche se concretamente è nella vita che scopriamo di essere amati, per principio nessuno può vivere se prima non è amato. Per questo Gesù dice che chi vuole tenere per sé la vita la perde, mentre solo chi la dona la ritrova. Per questo capita di incontrare ragazzi senza vita, perché morire non è smettere di vivere, ma smettere di amare.
Lottare stanca. Per questo non dobbiamo stupirci se spesso i nostri ragazzi dicono di non aver forza o tempo per fare altro. È una cosa buona, perché vuol dire che dentro di loro è ancora accesa la battaglia.
Ricordiamoci infine che chi educa deve saper anche rifiutare con la stessa tranquillità con cui sa donare. Forse i ragazzi non capiranno subito, ma se il nostro intervento è disinteressato lo faranno in seguito. Se questo non capiterà, ricordiamoci che noi siamo responsabili di quanto seminiamo e di come prepariamo il terreno della vita dei nostri ragazzi, ma non lo siamo del raccolto.

Nessun commento:

Posta un commento