La domanda posta come titolo risulta assurda e vuole essere
provocatoria, è per rimettere in moto tante cose che diamo per scontate
seguendo stereotipi nei quali incaselliamo e riduciamo la vita di tanti
ragazzi. L’adolescenza non è mai stata tale quale, né sempre così, ossia non è
un qualcosa di “naturale” che arriva, passa e scompare come tante altre cose
della nostra vita come i denti da latte o come i capelli per i più sfortunati.
Essa è sicuramente influenzata da dati biologici riferiti allo sviluppo, ma
molto di più da elementi culturali storicamente determinati e dalla ricerca
delle scienze umane tutt’ora in corso.
La definizione dell’adolescenza, così come la intendiamo
oggi, se collocata all’interno del corso della storia nel suo scorrere, è
qualcosa di abbastanza recente, tanto che le epoche precedenti hanno visto
bambini che fin dalla tenera età venivano posti nel mondo dei grandi, si pensi
all’età precoce dell’ingresso nel mondo del lavoro. Erano tempi nei quali
precisi riti di passaggio accompagnavano la crescita e immettevano nella
comunità adulta, questo fino all’inizio del diciannovesimo secolo, quando un
maggior benessere collettivo e personale, nonché il riconosciuto ruolo
dell’istruzione, fecero pian piano nascere una fase di vita a sé stante
rispetto le altre. Rimase ancora per molto tempo non riconosciuta nella propria
specificità, ma si arrivò con il termine della seconda guerra mondiale, al
nascere di fenomeni tipicamente giovanili che preannunciarono l’entrata in scena
in modo forte dell’adolescenza.
Sono sempre le istituzioni più classiche e antiche a
trovarsi in difficoltà di fronte ai cambiamenti che il tempo porta, così la
Chiesa si è trovata e lo è ancora come presa in contropiede, faticosamente
messa alla rincorsa di un qualcosa che ancora non coglie appieno e in alcune
cose ancora ferma come fosse presa di stucco.
Pensiamo al sacramento della Cresima, che nell’uso comune delle nostre
comunità è conferito negli anni della scuole medie, che viene spiegato come
l’ingresso nella comunità cristiana adulta. Si era bambini e ora
improvvisamente si è grandi, ma qualcosa non torna in tutto questo, ciò ha
portato negli ultimi decenni alla nascita e cura particolare di quel periodo di
crescita della fede denominato “postcresima”.
Ugualmente come Chiesa rimaniamo ancora indietro nel saper riconoscere e
accompagnare i cammini concreti dei ragazzi così come sono in un dato tempo e
spazio. Molto più pronto si dimostra il mondo dei consumi, attraverso la
pubblicità li vede come primi referenti nella maggior parte dei prodotti
reclamizzati.
Noi comunità adulta ci sentiamo trascurati e inermi, eppure
se è vero che da un lato la ricerca è rivolta verso il gruppo dei pari con il
quale stare bene e diventare popolare, dall’altro credo che siano interessati
ancora a figure adulte che non sono più nemici da combattere, ma possibili
alleati per la proprio buona battaglia. Questo accade in modo trasversale, può
essere l’allenatore, un insegnate, un parente, l’educatore del gruppo
parrocchiale, gli si riconoscono competenze riguardo a come poter saltar fuori
da questa vita complicata.
Non è necessario che questa figura sia esperta in pedagogia
o capace di fare giochi di prestigio, quanto affascina i ragazzi è più l’incontrare
qualcuno entusiasta della propria vita e di quello che fa proprio perché loro
fanno fatica ad essere così. Un adulto che dimostri in quello che dice e fa,
che tiene presente il mondo degli adolescenti, in particolare la loro
appartenenza gruppale e come questa influenzi tante cose della vita. Un viso,
una voce, che riesca a comunicare che sa di cosa sta parlando, che ha
competenze riguardo le discussioni che si fanno insieme siano esse riferite
all’amore o alla guerra, alla vita o alla morte. Qualcuno che non si arrende
davanti alle difficoltà, che sa collocare la relazione complicata con alcuni
ragazzi all’interno di un cammino evolutivo nel quale si sa e si intravvede lo
spiraglio, che può anche intervenire quando è ora per difendere i deboli e
ristabilire una giustizia che i giovani stessi sanno violata ma che faticano a
ristabilire da soli.
Un adulto cristiano, parte di una Chiesa che non si
scandalizza del fatto che tutto ciò che è “tradizionale” viene rimesso in
questione. È così per l’amore che non ha più quei riferimenti che la religione
e le consuetudini avevano costruito, che però lascia così i ragazzi scoperti e
un po’ improvvisati in tanti temi ad esso legati. Una raggiunta “libertà” nel
divorzio e nella separazione che però espone fortemente nel momento della
difficoltà e che non ascolta la voce dei figli. L’aborto, gli anticoncezionali,
la fecondazione assistita, che ha sempre più allontanato l’atto unitivo da
quello procreativo e che rischiano di abbandonare i ragazzi in una solitudine
senza precedenti. L’omosessualità e l’omofobia, diventati cavalli di battaglia
che portano alla contrapposizione delle parti e sempre più rinchiusi in
discussioni tecniche e scientifiche un po’ artificiali che non tengono conto di
chi si ha davanti.
Adulti capaci di non giudicare i ragazzi che vivono in
questo contesto, ma che nel contempo sanno affrontare situazioni che sono da
considerare tutt’altro che “normali” e che portano con sé effetti non positivi
per la crescita di un ragazzo. Occorre certamente favorire la responsabilità dei
nostri giovani, ma senza lasciarli soli, perché hanno ancora bisogno della
nostra voce per poter sognare insieme il futuro.
Nessun commento:
Posta un commento