lunedì 30 ottobre 2017

Esiste l’adolescenza?

La domanda posta come titolo risulta assurda e vuole essere provocatoria, è per rimettere in moto tante cose che diamo per scontate seguendo stereotipi nei quali incaselliamo e riduciamo la vita di tanti ragazzi. L’adolescenza non è mai stata tale quale, né sempre così, ossia non è un qualcosa di “naturale” che arriva, passa e scompare come tante altre cose della nostra vita come i denti da latte o come i capelli per i più sfortunati. Essa è sicuramente influenzata da dati biologici riferiti allo sviluppo, ma molto di più da elementi culturali storicamente determinati e dalla ricerca delle scienze umane tutt’ora in corso.
La definizione dell’adolescenza, così come la intendiamo oggi, se collocata all’interno del corso della storia nel suo scorrere, è qualcosa di abbastanza recente, tanto che le epoche precedenti hanno visto bambini che fin dalla tenera età venivano posti nel mondo dei grandi, si pensi all’età precoce dell’ingresso nel mondo del lavoro. Erano tempi nei quali precisi riti di passaggio accompagnavano la crescita e immettevano nella comunità adulta, questo fino all’inizio del diciannovesimo secolo, quando un maggior benessere collettivo e personale, nonché il riconosciuto ruolo dell’istruzione, fecero pian piano nascere una fase di vita a sé stante rispetto le altre. Rimase ancora per molto tempo non riconosciuta nella propria specificità, ma si arrivò con il termine della seconda guerra mondiale, al nascere di fenomeni tipicamente giovanili che preannunciarono l’entrata in scena in modo forte dell’adolescenza.
Sono sempre le istituzioni più classiche e antiche a trovarsi in difficoltà di fronte ai cambiamenti che il tempo porta, così la Chiesa si è trovata e lo è ancora come presa in contropiede, faticosamente messa alla rincorsa di un qualcosa che ancora non coglie appieno e in alcune cose ancora ferma come fosse presa di stucco.  Pensiamo al sacramento della Cresima, che nell’uso comune delle nostre comunità è conferito negli anni della scuole medie, che viene spiegato come l’ingresso nella comunità cristiana adulta. Si era bambini e ora improvvisamente si è grandi, ma qualcosa non torna in tutto questo, ciò ha portato negli ultimi decenni alla nascita e cura particolare di quel periodo di crescita della fede denominato “postcresima”.  Ugualmente come Chiesa rimaniamo ancora indietro nel saper riconoscere e accompagnare i cammini concreti dei ragazzi così come sono in un dato tempo e spazio. Molto più pronto si dimostra il mondo dei consumi, attraverso la pubblicità li vede come primi referenti nella maggior parte dei prodotti reclamizzati.
 L’adolescenza è un periodo di vita che chiede di lasciare gli orizzonti famigliari per aprirsi una nuova compagnia, quella degli amici del gruppo informale, in questa ricerca ce li vediamo sfrecciare davanti, nel senso che certe occasioni previste per loro dal mondo adulto diventano solo di passaggio se non “sorvolate”.
Noi comunità adulta ci sentiamo trascurati e inermi, eppure se è vero che da un lato la ricerca è rivolta verso il gruppo dei pari con il quale stare bene e diventare popolare, dall’altro credo che siano interessati ancora a figure adulte che non sono più nemici da combattere, ma possibili alleati per la proprio buona battaglia. Questo accade in modo trasversale, può essere l’allenatore, un insegnate, un parente, l’educatore del gruppo parrocchiale, gli si riconoscono competenze riguardo a come poter saltar fuori da questa vita complicata.
Non è necessario che questa figura sia esperta in pedagogia o capace di fare giochi di prestigio, quanto affascina i ragazzi è più l’incontrare qualcuno entusiasta della propria vita e di quello che fa proprio perché loro fanno fatica ad essere così. Un adulto che dimostri in quello che dice e fa, che tiene presente il mondo degli adolescenti, in particolare la loro appartenenza gruppale e come questa influenzi tante cose della vita. Un viso, una voce, che riesca a comunicare che sa di cosa sta parlando, che ha competenze riguardo le discussioni che si fanno insieme siano esse riferite all’amore o alla guerra, alla vita o alla morte. Qualcuno che non si arrende davanti alle difficoltà, che sa collocare la relazione complicata con alcuni ragazzi all’interno di un cammino evolutivo nel quale si sa e si intravvede lo spiraglio, che può anche intervenire quando è ora per difendere i deboli e ristabilire una giustizia che i giovani stessi sanno violata ma che faticano a ristabilire da soli.
Un adulto cristiano, parte di una Chiesa che non si scandalizza del fatto che tutto ciò che è “tradizionale” viene rimesso in questione. È così per l’amore che non ha più quei riferimenti che la religione e le consuetudini avevano costruito, che però lascia così i ragazzi scoperti e un po’ improvvisati in tanti temi ad esso legati. Una raggiunta “libertà” nel divorzio e nella separazione che però espone fortemente nel momento della difficoltà e che non ascolta la voce dei figli. L’aborto, gli anticoncezionali, la fecondazione assistita, che ha sempre più allontanato l’atto unitivo da quello procreativo e che rischiano di abbandonare i ragazzi in una solitudine senza precedenti. L’omosessualità e l’omofobia, diventati cavalli di battaglia che portano alla contrapposizione delle parti e sempre più rinchiusi in discussioni tecniche e scientifiche un po’ artificiali che non tengono conto di chi si ha davanti.
Adulti capaci di non giudicare i ragazzi che vivono in questo contesto, ma che nel contempo sanno affrontare situazioni che sono da considerare tutt’altro che “normali” e che portano con sé effetti non positivi per la crescita di un ragazzo. Occorre certamente favorire la responsabilità dei nostri giovani, ma senza lasciarli soli, perché hanno ancora bisogno della nostra voce per poter sognare insieme il futuro.


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