giovedì 7 settembre 2017

Gruppi formali e informali

C’è una domanda che tiene svegli genitori ed educatori i ragazzi in procinto di fare la Cresima: rimarranno o se ne andranno? Una risposta unica non c’è, anche se ce ne sono tante che contribuiscono a spiegare un fenomeno che solitamente lascia a bocca aperta intere comunità di adulti. Qui mi soffermerò a trattare della posizione presa dai ragazzi nei confronti dei gruppi formali e informali, mentre in atri articoli ho già avuto occasione di trattare il fenomeno da altri punti di vista.
Normalmente, il cammino d’iniziazione cristiana, avviene in gruppi omogenei di età, con uno stile che tende a ripetersi nel tempo nonostante l’età cambi. Si convocano bambini e ragazzi in strutture per incontri pensati per loro da adulti, notando che a un certo punto, proprio con l’inizio dell’adolescenza, il modello va in crisi.
All’inizio dell’adolescenza, per semplificare si può dire nell’età delle scuole medie, i ragazzi stanno bene insieme trovando utilità nel fare insieme delle cose, dandosi da fare. Gli incontri organizzati in ambito ecclesiale assumono l’aspetto di gruppi formali in quanto pensati da adulti con uno scopo ben preciso. I giovani sentono appartenenza a queste compagnie perché specificamente incentrate a scoprire insieme qualcosa di nuovo che li accomuna e di conseguenza a parlarne insieme, oppure anche solo per passare il tempo.
In questa età i gruppi formali, quindi anche quelli nati per sostenere il cammino di fede, sono un passaggio che avvia, con l’arrivo dell’età delle scuole superiori, al nascere di gruppi informali che hanno la caratteristica di essere spontanei e senza la presenza di adulti. Questi ultimi rappresentano il luogo principale di crescita, di ricerca d’identità e maturazione di tante istanze dei ragazzi. Così capita che insieme all’incontro fatto in parrocchia, poi un ragazzo abbia un altro cammino parallelo con una compagnia di amici.
Proprio per questo i gruppi formali, nella fase della piena adolescenza, faticano a mantenere una propria centralità se non sanno pian piano rivedersi, mettendo da parte il proprio riferimento istituzionale, avviando al proprio interno processi informali. Così capita che i gruppi parrocchiali più numerosi, sono quelli che uniscono al proprio interno insieme al cammino di fede anche una relazione di amicizia.
Un processo del genere non è sempre possibile, quando lo sia occorre comunque tenere presente che l’aumento dell’affiatamento dei membri diventa anche ostacolo all’ingresso di nuovi giovani laddove non vengano percepiti dal gruppo come parte di sé. Questo porta quindi a una certa forma di chiusura non preoccupante in quanto si spiega secondo i bisogni specifici della fase di crescita che vivono gli adolescenti, ma che comunque fa nascere polemiche soprattutto in un ambite come quello ecclesiale dove per principio tutto deve essere accogliente. Un educatore può quindi trovarsi a dover decidere se dare o meno una connotazione fortemente caratterizzata dai legami tra i ragazzi del gruppo oppure concentrarsi maggiormente sui fini istituzionali da raggiungere. Nel primo caso si avranno maggiori possibilità di mantenere il cuore del gruppo a scapito di un’adeguata apertura a tutti, nel secondo caso l’aderire al principio che tutti vi devono essere accolti porta al costituirsi di legami più deboli fra i partecipanti.
Capita spesso che l’abbandono dei gruppi parrocchiali da parte dei ragazzi, porti pian piano al loro morire, in seguito a questo lutto gli stessi educatori e genitori tendono ad allentare la presa se non a “lasciar perdere”. Questo rischia di lasciarsi fuggire un’occasione, nella tarda adolescenza il desiderio e il beneficio dell’adesione a un gruppo formale riacquista attrazione, in seguito anche alla fine dell’utilità del gruppo informale, così che c’è l’opportunità di riunire i giovani per un nuovo impegno che assuma un ruolo più deciso e responsabili in diversi aspetti della vita tra i quali anche la fede.
Semplificando molto , si può dire che l’allontanamento che segue alla Cresima è una cosa prevedibile e da mettere in conto al giorno d’oggi perché ha dei motivi, ciò considerando sia l’organizzazione dei cammini stessi, sia le novità intervenute nella vita dei ragazzi che sentono ora di doversi occupare di altre cose così che la pratica della fede e le relative scelte vengono spostate in avanti.
Occorre accettare la sfida per far sentire i ragazzi maggiormente protagonisti del tutto, questo chiede di accettare di scendere a compromessi, di negoziare perché il tutto sia cogestito; la questione più spinosa diventa il rapporto con le regole poste dal mondo adulto che vive normalmente secondo una diversa lunghezza d’onda. Servono quindi educatori capaci di un ascolto che non sia dall’alto al basso di chi la sa già lunga su tutto, ma soprattutto capaci e disponibili a negoziare i limiti previsti per mettere in gioco autenticamente la responsabilità degli adolescenti.
Per ora ci fermiamo qua avendo voluto chiarire come il rapporto fra gruppi formali e informali, può influenzare e quindi spiegare alcune dinamiche che vivono coloro che stanno accanto ai più giovani. in un prossimo articolo entrerò più approfonditamente dentro il tema del rapporto tra i ragazzi e la religiosità, come questo chieda il mettere in discussione la nostra pastorale.


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