È un dato di fatto, criticabile ma non bypassabile, che i
giovani di oggi giudichino le cose secondo criteri diversi dai nostri, in
particolare per loro una cosa è importante se attraente, indicando con questo
anche l’aspetto estetico che porta a prenderne immediatamente una posizione
secondo criteri che sono anche emozionali; la partecipazione a un evento è
qualcosa di “sentito” nel senso che per loro ha una grande importanza la
dimensione affettiva e relazionale nel giudicare una cosa con tutto quello che
si porta dietro al riguardo un certa fragilità ancora in maturazione; inoltre i
criteri di comunicazione riferiti ai nuovi linguaggi di socializzazione e di
scambio maturati in questi ultimi anni, sono molto diversi da quelli ai quali
eravamo abituati noi non più giovani.
Quanto fin qui detto è un’introduzione necessaria per
chiarire in parte, come le nuove generazioni si collocano nei confronti
dell’adesione personale alla religiosità e nella partecipazione attiva agli
eventi a essa connessi. Il “praticare la fede” non è più un qualcosa che passa
in automatico da generazione a generazione, è una scelta. Così oggi è
particolarmente difficile per un giovane avere a che fare con il fenomeno
religioso così com’è strutturato e vissuto, come si è sedimentato in secoli di
storia. Un tesoro sicuramente prezioso, ma che risulta immediatamente difficile
nei linguaggi, nelle forme rituali, nei simboli; tutte cose che non è detto
riescano a entrare in contatto con il proprio sentire così come ho descritto
all’inizio del testo.
Succede così, che questo mancato incontro porti a una crisi
con conseguenze sia in ambito di partecipazione dei giovani ai cammini
proposti, sia di frequenza alla celebrazione domenicale della fede. Il tutto è
successo abbastanza velocemente così da lasciare la comunità ecclesiale in
difficoltà e in difesa di fronte a questi eventi; si era in tanti, tutto
sembrava facile e strutturato, oggi si fatica a esserci e occorre sintonizzarsi
secondo le attese che i ragazzi portano con sé, così che le iniziative sono di
volta in volta giudicate adeguate o meno alla propria ricerca, senza essere più
sdoganate in anticipo solo perché fatte dal prete o dall’educatore di turno.
Non sono allineato con quanti giudicano le nuove generazioni
come non disposte a credere, certamente esse si portano dietro una componente
maggiormente profana rispetto al passato, ossia una vita che non si sente
abitata in sé dal sacro, ma più dalle cose che accadono tutti i giorni, questo
li porta a fatica ad aprirsi al mistero cristiano già presente in seme in ogni
persona. Per loro la Messa non riesce più a essere via per celebrare e
ringraziare quanto di vero sentono al centro della propria esistenza, così che
percepiscono tutto l’ambito rituale come non capace di incontrarli nelle loro
ricerche. È così che se interrogati intorno a questa materia, non mancano di
mostrare tutta la propria fatica comunicando le sensazioni che la
partecipazione alla messa spesso si porta dietro: noia, peso, lontananza, il
non senso.
Credo che un’opportunità offerta alla pastorale giovanile di
oggi sia una conversione di approccio, non più andare a caccia dei ragazzi
inventandosi le più strane iniziative, ma andare dove già ci sono così da
raggiungerli, dopo di che far loro proposte affascinati per riattivare il
cammino verso Gesù e di riaggancio alla Chiesa.
Nel corso della propria crescita l’adolescente non nasconde
la nascita di tanti dubbi, diventa scettico per istinto e portato per presa di
posizione a negare in anticipo piuttosto che fidarsi. L’apice di questa
dinamica la si osserva per i maschi nella fascia compresa tra i tredici e i
sedici anni, mentre per le femmine con un lieve anticipo. Ciò che comincia a
fare problema è il riuscire a tenere insieme Dio e la scoperta dell’esistenza
delle leggi della natura, anche l’evidenza della sofferenza e l’esperienza del
male contribuisce a questo, nonché il desiderio di autonomia e una crescente
riflessione in ambito morale con particolare attenzione ai temi legati alla
sessualità.
Di per sé i dubbi che nascono nel corso della crescita
possono essere positivi, cioè se aiutano a cercare in modo più deciso la
verità, ne esistono però anche di negativi nel senso che portano a una crisi e
a uno stallo, capita spesso che in adolescenza quando questi riguardano la fede,
essi aprono la strada all’indifferentismo se non al rifiuto del fenomeno
religioso in sé.
Parlando quindi di vita spirituale dei nostri adolescenti,
occorre prendere coscienza che le istanze della loro crescita, chiedono di
mettersi alla ricerca di una religione pratica e che divenga personale, questo
perché desiderano prendere da soli le proprie decisioni. Tutti coloro che hanno
accompagnato giovani nel loro percorso di fede, si sono resi conto che sono più
disposti al servizio che non alla riflessione, nonostante cerchino ideali per
la propria vita facendolo però non teoricamente, sono impegnati nella ricerca
di amici e quindi una comunità che si esprima come presenza di un gruppo di
compagni che serva da sostegno. Nella vita vogliono fare la differenza, per
questo cercano consigli nelle decisioni in ambito morale, così come anche di
essere ascolti e accolti nei tanti interrogativi che riguardano la religione.
In questo cammino non ci si può aspettare che la dimensione
spirituale cresca linearmente verso la maturità, le emozioni che tanto guidano
in questo periodo di vita, prima o poi perdono di potenza lasciando
l’adolescente in balia di tanti dubbi, questo è normale. Occorre quindi
aspettarsi passi avanti e indietro, ma del resto una fede forte è proprio
frutto di questo viaggio avventuroso e pericoloso, sperando che abbia come
esito quello di incontrare quel Gesù che è capace di riportare pace calmando il
vento e le onde che si abbattono contro la barca, che è la vita dei nostri
ragazzi.
Occorre quindi un approccio che sappia prendere spunto da
diversi aspetti: dare informazioni e contenuti inerenti la fede con attenzione
allo sviluppo intellettuale e alla capacità del ragazzo di saperle farle
proprie, come adulti e giovani più grandi della comunità cercare di dare
l’esempio con uno stile di vita che mostri la possibilità di integrare nella
propria vita la presenza di Dio, aiutare a non guardare solo a sé ma introdurre
a un sistema di valori che esiste perché ci sono anche gli altri, ragionare sui
motivi che guidano a mettere in pratica certi comportamenti in coerenza con
quanto si crede o alla comunità ecclesiale alla quale si appartiene, lavorare
affinché il gruppo dei pari come gruppo di incontro bello e ci si senta bene,
come Chiesa impegnarsi per recuperare una immagine positiva e credibile, saper
pazientemente e ripetitivamente riproporre i valori come risposta alle domande
e ricerche che emergono.
Il giorno dopo
Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su
Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!". E i suoi due
discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e,
osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?".
Gli risposero: "Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove
dimori?". Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e
videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le
quattro del pomeriggio (Gv 1, 35-39).
Questo brano rappresenta un’icona del compito che ci viene
richiesto, il saper guardare e volgerci verso i giovani di oggi sapendo
suscitare e riconoscere un desiderio, spesso esso non si esprime sotto forma di certezza, ma può
riportare altre interrogativi, i discepoli di Giovanni rispondono con una
domanda a quella posta da Gesù. Di fronte a tutta l’insicurezza e la
provvisorietà che a volte si coglie nella vita dei ragazzi, così come in quella
dei due del Vangelo, occorre il coraggio di fare una proposta, porre una sfida
che si giochi in una scommessa e non su una certezza, è così che i discepoli di
Giovanni si mettono prima in cammino e solo poi vedranno (non l’opposto: vedere
per poi venire) diventando discepoli di Gesù.
In tutto questo hanno bisogno di guide adulte nella fede,
che sappiano prenderli sul serio, amandoli, che racconti e mostrino con la
propria vita che si può e come si fa a vivere quello in cui si crede; un adulto
onesto con loro, sincero nel prendersi cura di loro con il buon pastore e non
da mercenario, che abbia un propria vita di relazione con Dio.
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