martedì 20 dicembre 2016

Educare i giovani alla fede: un cammino di conversione

Di recente mi è capitato tra le mani un documento ormai “datato” scritto dai vescovi italiani[1], visti i rapidi cambiamenti ai cui è soggetto il mondo dei giovani, qualcuno potrebbe chiedersi se ha senza riprendere in mani qualcosa anni fa. Credo di sì, sia perché come chiesa abbiamo tempi di conversione abbastanza lunghi, sia perché contiene degli orientamenti tuttora attuali e utili; alla luce di questo, desidero rilanciare quando mi ha fatto bene il poterlo leggerlo e come sono riuscito a digerirlo pensando al contesto di vita nel mio attuale ministero di prete accanto a giovani e a una serie di adulti che si prendono cura di loro.
Come evidenziato da tanti discorsi che spesso di fanno e dalla quantità di volte che la parola “giovani” entra nella dialettica ecclesiale, sicuramente si può affermare che è molto attiva l’attenzione nei confronti di una pastorale capace di rivolgersi ai giovani di oggi, questo ha chiesto di lavorare molto a livello territoriale per far sì che il tutto non si esaurisca in un insieme caotico di iniziative a spot, ma emerga un realtà coordinata in crescita secondo specifici obiettivi e che ricorre a strumenti coerenti ad essi.
Accanto a questo occorre però vigilare, perché è forte il rischio di limitarsi a discorsi di puro principio senza poi che vi sia una ricaduta concreta nel tessuto delle nostre comunità, per questo è tempo di maturare non idee nuove, ma atteggiamenti capaci di creare accoglienza e spazio nei nostri ambiti ecclesiali. La sfida è lanciata, essa non è semplice perché occorre che entri in dialogo con modi di fare che spesso possono anche urtare la nostra sensibilità di adulti mettendoci nella condizione di non capire, oppure del non riuscire a sentire e percepire tutte quelle richieste e domande che risuonano mute ai nostri orecchi disattenti o mal sintonizzati.
Questo campo di servizio, come probabilmente altri, chiede innanzitutto ascolto e accoglienza; quello dei giovani ne chiede di più perché occorre adottare nuovi criteri interpretativi ai quali, come adulti, non siamo abituati. Non si tratta solamente di dare una facciata di giovinezza e allegria alle tante cose fatte dalla Chiesa, si tratta di integrare culture e linguaggi nuovi, diversificati e non sempre coerenti fra di loro, sicuramente non perfetti, ma che chiedono di non essere approcciati con il pregiudizio di chi guarda dall’alto al basso, ma da chi cerca sicuro di trovarci del bene, del buono e del vero.
Questo viaggio conduce in nuovi porti, a volte può essere necessario lasciare quelli soliti della pastorale ordinaria alla quale siamo abituati, per fare nostri quei luoghi dove i giovani vivono, crescono e maturano quei valori che formano il loro essere adulti di domani, spazi da esplorare e che posso risultare anche inaspettati e prendere contropiede l’abitudine del nostro porci come Chiesa che spera che siano solo quelli propri gli spazi da usare e che quindi non vedono di buon occhio il concentrarsi su altri, quasi come se fosse un impoverimento invece che un arricchimento.
Con questo non si vuole togliere niente all’importanza della comunità ecclesiale come luogo che rimane centrale per sperimentare e vivere una autentica esperienza di fede, essa infatti racconta di un percorso che non è possibile compiere da soli o con pochi amici con i quali si sta bene; comunità chiamate ad essere realmente luoghi di fraternità, dove si è attenti gli uni gli altri, che non escludono nessuno e allo stesso tempo non rinunciano ad essere luogo di incontro con Dio. Per fare questo, evitando di rinchiudersi dentro le proprie logiche sicure, occorre vivere con e in mezzo ai giovani, sentendo proprie le loro aspirazioni perché si sa che Gesù desidera incontrarle e così anche noi, evitando la tentazione di cadere in un proselitismo che vuole attirare a tutti i costi i giovani.
A conclusione, entriamo più nella concretezza di quei luoghi che ci aspettano e che sono abitati da tanti giovani, spazi missionari con una grande potenzialità che troppo spesso la Chiesa dimentica concentrando le forze più presidiando il territorio, a volte deserto, più che non i posti dove pulsa la vita dei nostri ragazzi.
La scuola rappresenta tutt’ora un crocevia che incontra la totalità dei giovani, affiancandoli di fatto nelle loro fasi di sviluppo fin dall’infanzia, oggi con il progressivo innalzarsi dell’obbligo scolastico e dell’allungamento del tempo dedicato allo studio risulta ancora più determinante nelle proprie potenzialità. Eppure si riconosce a volte il suo cammino faticoso per non perdere il suo specifico non solo “istruttivo” ma anche educativo; riguardo ad essa le attenzioni da porre in campo chiedono il maturare di una più giusta e umanizzante trasmissione delle conoscenze, così come il saperla mantenere libera e plurale, ispiratrice perché tanti vi maturino il desiderio di un impegno educativo nel mondo nelle sue diverse sfaccettature.
L’associazionismo giovanile vede molti giovani scegliere un impegno di formazione o di servizio specifici secondo anche una propria sensibilità, un modo attraverso il quale crescono in una forte appartenenza sentendosi utili per la società e spendendosi per essa. Un ruolo particolare è ricoperto dai movimenti o associazioni giovanili cattoliche spesso capaci di aiutare nel momento della giovinezza la ricerca della propria identità e di come spendere la vita, esse andrebbero curate maggiormente da parte delle diocesi e delle parrocchie, penso in particolare allo scautismo vissuto nell’AGESI e all’Azione Cattolica.
Lo spazio del tempo libero e del divertimento vede il moltiplicarsi di attività e di gruppi informali che vi gravitano intorno, qui vengono spesso creati nuovi linguaggi e culture che poi si diffondo in tutto l’orizzonte giovanile. Anche questi campi appartengono alla pastorale, ad essi sicuramente si affiancano gli oratori parrocchiali anche se non possono sostituirsi nell’impegno che anche là è richiesto. L’ideale sarebbe riuscire a collegarsi in rete con i servizi sociali e amministrativi locali così da essere realmente aperti al territorio e capaci di intercettare il vissuto dei ragazzi.
Il vasto mondo della sofferenza giovanile, pensiamo alla marginalità, la devianza, l’assenza di lavoro prolungata, hanno una popolazione giovanile molto presente. L’impegno in questi settori è molto vario e trova già diversi interventi nati a seconda dei problemi maggiormente emergenti, continuano però a nascere nuove povertà che chiedono di non fermarsi nel comprenderne le ragioni così da riuscire pensare una alternativa sostenibile che la fede può suggerire.
Ultimo aspetto che spicca oggi più che ami, è quello dei grossi flussi migratori di cui l’Italia è tra le nazione maggiormente toccate, un fenomeno che vede la presenza di tanti giovani stranieri dei quali ci si occupa spesso solo dal punto di vista dei bisogno primari di sopravvivenza, dimenticandosi che anche altro serve per una vita dignitosa. Comunità che li accolgano, in dialogo con la loro cultura e in continuità con cammini cristiani iniziati nei propri paesi di provenienza, oppure con altre fede professate che chiedono di essere avvicinati con rispetto, ma anche nella consapevolezza della bellezza che la fede cristiana ha da offrire anche a loro.




[1] CEI, Educare i giovani alla fede - Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, 1999.

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