Di recente mi è capitato tra le mani un documento ormai
“datato” scritto dai vescovi italiani[1], visti i
rapidi cambiamenti ai cui è soggetto il mondo dei giovani, qualcuno potrebbe
chiedersi se ha senza riprendere in mani qualcosa anni fa. Credo di sì, sia
perché come chiesa abbiamo tempi di conversione abbastanza lunghi, sia perché
contiene degli orientamenti tuttora attuali e utili; alla luce di questo,
desidero rilanciare quando mi ha fatto bene il poterlo leggerlo e come sono
riuscito a digerirlo pensando al contesto di vita nel mio attuale ministero di
prete accanto a giovani e a una serie di adulti che si prendono cura di loro.
Come evidenziato da tanti discorsi che spesso di fanno e
dalla quantità di volte che la parola “giovani” entra nella dialettica
ecclesiale, sicuramente si può affermare che è molto attiva l’attenzione nei
confronti di una pastorale capace di rivolgersi ai giovani di oggi, questo ha
chiesto di lavorare molto a livello territoriale per far sì che il tutto non si
esaurisca in un insieme caotico di iniziative a spot, ma emerga un realtà
coordinata in crescita secondo specifici obiettivi e che ricorre a strumenti
coerenti ad essi.
Accanto a questo occorre però vigilare, perché è forte il
rischio di limitarsi a discorsi di puro principio senza poi che vi sia una
ricaduta concreta nel tessuto delle nostre comunità, per questo è tempo di
maturare non idee nuove, ma atteggiamenti capaci di creare accoglienza e spazio
nei nostri ambiti ecclesiali. La sfida è lanciata, essa non è semplice perché
occorre che entri in dialogo con modi di fare che spesso possono anche urtare
la nostra sensibilità di adulti mettendoci nella condizione di non capire,
oppure del non riuscire a sentire e percepire tutte quelle richieste e domande
che risuonano mute ai nostri orecchi disattenti o mal sintonizzati.
Questo campo di servizio, come probabilmente altri, chiede
innanzitutto ascolto e accoglienza; quello dei giovani ne chiede di più perché
occorre adottare nuovi criteri interpretativi ai quali, come adulti, non siamo
abituati. Non si tratta solamente di dare una facciata di giovinezza e allegria
alle tante cose fatte dalla Chiesa, si tratta di integrare culture e linguaggi
nuovi, diversificati e non sempre coerenti fra di loro, sicuramente non
perfetti, ma che chiedono di non essere approcciati con il pregiudizio di chi
guarda dall’alto al basso, ma da chi cerca sicuro di trovarci del bene, del
buono e del vero.
Questo viaggio conduce in nuovi porti, a volte può essere
necessario lasciare quelli soliti della pastorale ordinaria alla quale siamo
abituati, per fare nostri quei luoghi dove i giovani vivono, crescono e
maturano quei valori che formano il loro essere adulti di domani, spazi da
esplorare e che posso risultare anche inaspettati e prendere contropiede
l’abitudine del nostro porci come Chiesa che spera che siano solo quelli propri
gli spazi da usare e che quindi non vedono di buon occhio il concentrarsi su
altri, quasi come se fosse un impoverimento invece che un arricchimento.
Con questo non si vuole togliere niente all’importanza della
comunità ecclesiale come luogo che rimane centrale per sperimentare e vivere
una autentica esperienza di fede, essa infatti racconta di un percorso che non
è possibile compiere da soli o con pochi amici con i quali si sta bene;
comunità chiamate ad essere realmente luoghi di fraternità, dove si è attenti
gli uni gli altri, che non escludono nessuno e allo stesso tempo non rinunciano
ad essere luogo di incontro con Dio. Per fare questo, evitando di rinchiudersi
dentro le proprie logiche sicure, occorre vivere con e in mezzo ai giovani,
sentendo proprie le loro aspirazioni perché si sa che Gesù desidera incontrarle
e così anche noi, evitando la tentazione di cadere in un proselitismo che vuole
attirare a tutti i costi i giovani.
A conclusione, entriamo più nella concretezza di quei luoghi
che ci aspettano e che sono abitati da tanti giovani, spazi missionari con una
grande potenzialità che troppo spesso la Chiesa dimentica concentrando le forze
più presidiando il territorio, a volte deserto, più che non i posti dove pulsa
la vita dei nostri ragazzi.
La scuola rappresenta tutt’ora un crocevia che incontra la
totalità dei giovani, affiancandoli di fatto nelle loro fasi di sviluppo fin
dall’infanzia, oggi con il progressivo innalzarsi dell’obbligo scolastico e
dell’allungamento del tempo dedicato allo studio risulta ancora più
determinante nelle proprie potenzialità. Eppure si riconosce a volte il suo
cammino faticoso per non perdere il suo specifico non solo “istruttivo” ma
anche educativo; riguardo ad essa le attenzioni da porre in campo chiedono il
maturare di una più giusta e umanizzante trasmissione delle conoscenze, così
come il saperla mantenere libera e plurale, ispiratrice perché tanti vi
maturino il desiderio di un impegno educativo nel mondo nelle sue diverse
sfaccettature.
L’associazionismo giovanile vede molti giovani scegliere un
impegno di formazione o di servizio specifici secondo anche una propria
sensibilità, un modo attraverso il quale crescono in una forte appartenenza
sentendosi utili per la società e spendendosi per essa. Un ruolo particolare è
ricoperto dai movimenti o associazioni giovanili cattoliche spesso capaci di
aiutare nel momento della giovinezza la ricerca della propria identità e di
come spendere la vita, esse andrebbero curate maggiormente da parte delle
diocesi e delle parrocchie, penso in particolare allo scautismo vissuto
nell’AGESI e all’Azione Cattolica.
Lo spazio del tempo libero e del divertimento vede il
moltiplicarsi di attività e di gruppi informali che vi gravitano intorno, qui
vengono spesso creati nuovi linguaggi e culture che poi si diffondo in tutto
l’orizzonte giovanile. Anche questi campi appartengono alla pastorale, ad essi
sicuramente si affiancano gli oratori parrocchiali anche se non possono
sostituirsi nell’impegno che anche là è richiesto. L’ideale sarebbe riuscire a
collegarsi in rete con i servizi sociali e amministrativi locali così da essere
realmente aperti al territorio e capaci di intercettare il vissuto dei ragazzi.
Il vasto mondo della sofferenza giovanile, pensiamo alla
marginalità, la devianza, l’assenza di lavoro prolungata, hanno una popolazione
giovanile molto presente. L’impegno in questi settori è molto vario e trova già
diversi interventi nati a seconda dei problemi maggiormente emergenti,
continuano però a nascere nuove povertà che chiedono di non fermarsi nel
comprenderne le ragioni così da riuscire pensare una alternativa sostenibile
che la fede può suggerire.
Ultimo aspetto che spicca oggi più che ami, è quello dei
grossi flussi migratori di cui l’Italia è tra le nazione maggiormente toccate,
un fenomeno che vede la presenza di tanti giovani stranieri dei quali ci si
occupa spesso solo dal punto di vista dei bisogno primari di sopravvivenza,
dimenticandosi che anche altro serve per una vita dignitosa. Comunità che li
accolgano, in dialogo con la loro cultura e in continuità con cammini cristiani
iniziati nei propri paesi di provenienza, oppure con altre fede professate che
chiedono di essere avvicinati con rispetto, ma anche nella consapevolezza della
bellezza che la fede cristiana ha da offrire anche a loro.
[1] CEI, Educare i giovani alla fede - Orientamenti
emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, 1999.
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