domenica 11 dicembre 2016

Adulti accoglienti

Mi trovo in una situazione tragicomica, non so se ridere o mettermi le mani tra i capelli.
Mi capita tra le mani un documento della Conferenza Episcopale Italiana[1] riguardo l’educazione dei giovani alla fede, tra le prime parole della sua premessa indica importante il saper maturare un atteggiamento accogliente nei confronti dei ragazzi; viene presa come icona di riferimento il dialogo tra Gesù e il “giovane ricco”. L’invito è quello di accogliere con disponibilità le richieste forti che ci vengono dal mondo giovanile, anche se spesso il tutto avviene attraverso modi smaliziati o con silenzi enigmatici, anche quando sembrano diffidenti o indifferenti verso quanto a loro proposto.
Eppure una domenica mattina, mentre il parroco stava presiedendo la Messa principale della comunità e io mi trovavo negli spazi esterni della parrocchia ad accompagnare le attività di un’uscita scout, mi vedo arrivare un gruppetto di cinque ragazzi di prima superiore. Li conosco bene, ho fatto insieme con loro il campo estivo, due di loro vengono da un’altra parrocchia e hanno deciso di continuare il loro cammino qui da noi insieme al gruppo dei coetanei, sono molto uniti e vanno pazzi per il calcio, vengono regolarmente agli incontri e alla Messa anche se si fermano sempre un po’ in fondo e in disparte in una chiesa ampia come la nostra.
Sono ragazzi in gamba, con i quali si dialoga volentieri, quindi senza problemi mi avvicino loro e chiedo come mai, a Messa ormai iniziata, siano fuori e non dentro; in modo molto diretto mi dicono che erano stati invitati ad uscire da un signore che stava partecipando alla celebrazione, il quale disturbato dalle chiacchiere che facevano li ha invitati ad andarsene fuori sottolineando che era meglio così visto il loro comportamento. Loro non hanno avuto problema a riconoscere che non erano attenti, conoscendoli ci credo così come immagino che non stessero facendo poi chissà che di particolarmente distraente; non nascosero il fatto di esserci rimasti un po’ male nel come si erano messe le cose. Io cercai un po’ di mediare rimanendo comunque dalla loro parte, loro molto bravi nel perdonare senza prendersela, decisero di attendere un po’ e poi rientrare per continuare la celebrazione e fare la comunione. Così avvenne, li rividi a fine Messa quando vennero da me a confermarmi che avevano mantenuto il loro impegno e la loro parola.
Sono molto contento per loro tanto quanto sono arrabbiato con questo anonimo signore, certamente non rappresentativo della Chiesa, ma forse una parte di essa con la testa e il cuore un po’ troppo duri. Capite che il contrasto tra quanto ricordato sopra dai nostri vescovi e questo esempio concreto di vita fa nascere un po’ di scintille. Continuiamo a lamentarci che i ragazzi e i bambini non vengono più a Messa, quando poi ci vengono a quei pochi diciamo di uscire, di stare fermi, zitti, ascoltare cose un po’ strane che non centrano con la loro vita così che noi adulti possiamo goderci la messa in silenzio facendoci gli affari nostri e così via. Siamo comunità schizofreniche o ipocrite (credo che Gesù ci chiamerebbe così), perché ci riempiamo di belle parole e poi la nostra vita rimane come prima, ci diciamo il cammino da fare ma non iniziamo la conversione.
Come prete di questa comunità riprenderò il discorso con questi ragazzi e chiederò scusa, così come credo di doverlo fare con i loro genitori che hanno decido di condividere con noi il cammino di educazione alla fede in una età tanto delicata, inoltre quando mi capiterà inviterò la comunità ad essere più attenta alla cosa.
So che non sempre è semplice, dopo un lungo periodo dove il sistema educativo si è basato sullo sviluppo di figure specializzate, oggi richiede una grossa capacità di sintesi che non è di tutti, in più lavorare con gli adolescenti è molto dura, è proprio un servizio e quasi una chiamata al martirio se essa è scelta liberamente e accettata nelle condizioni di difficoltà che presenta.
Rimane il fatto che ci si trova spesso a convivere in una ambivalenza, come Chiesa siamo chiamati ad abitarla, il modo per farlo è quello di sapere creare relazioni e una presenza che va quindi anche fuori le “mura” che delimitano i nostri spazi, stando attenti da una parte a non adeguarci a certe cose tipiche del mondo d’oggi, ma dall’altro evitando di portare fuori pari pari linguaggi, riti, usi ed altro tipici del nostro mondo ecclesiale.




[1] CEI, Educare i giovani alla fede - Orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea Generale, 1999.

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